Le nozze gay e la relazione (che non è solo gratificazione)
di Francesco D'Agostino
Ho molto apprezzato la chiarezza, serena e ferma, con la quale il direttore di questo giornale, stimolato da una serie di lettere, ha commentato e ha risposto sul tema delle nozze gay e delle adozioni omoparentali, facendo lo scorso 25 aprile due promesse ai lettori: da una parte quella di non tacere mai sulle grandi questioni della vita e della famiglia e dall’altra di non venire mai meno al «rispetto» e alla «delicatezza» verso le persone omosessuali (rispetto e delicatezza che peraltro l’insegnamento della Chiesa raccomanda esplicitamente). Vorrei aggiungere un’ulteriore considerazione, cui anch’io ho già altre volte fatto cenno dalle colonne di Avvenire e che è già implicita nelle riflessioni del direttore Tarquinio. Non dobbiamo, mai, in nessun caso, cadere nell’errore di pensare che il processo di ridefinizione del matrimonio che si sta vistosamente e velocemente manifestando nelle parti più disparate del mondo (dall’Europa all’Oceania alle due Americhe) vada attribuito alle manovre oscure e ai sottili e diabolici progetti di subdole lobby omofile, ferocemente e astutamente ostili alla tradizione cristiana. Con questo non intendo negare che esistano movimenti ideologici molto ben strutturati a favore dei diritti dei gay (tra i quali in primo luogo il preteso diritto al matrimonio), movimenti che si contrassegnano per quanto sono vistosamente (e persino H volgarmente) combattivi e per la sottigliezza con la quale individuano i loro obiettivi (si pensi alle battaglie contro l’omofobia, in sé e per sé assolutamente giustificate, ma che spesso si trasformano in battaglie finalizzate a censurare e ad escludere dal dibattito pubblico chiunque voglia serenamente riflettere sulla "naturalità" della differenza sessuale). Non sono però questi movimenti i responsabili dei fenomeni di alterazione del matrimonio che si moltiplicano sotto i nostri occhi. La rivendicazione dell’omoconiugalità e i trionfi che essa arriva oggi a celebrare in tanti Paesi di cultura occidentale sono una diretta conseguenza di una ben nota dinamica di alterazione antropologica, che possiamo sintetizzare in un termine ormai abusato, ma dotato di un’assoluta precisione: l’individualismo.
L’uomo moderno vede unicamente se stesso al centro dell’universo (o almeno del "suo" universo) e non riesce a dare alla relazione alcun valore se non quello di gratificazione della sua propria individualità. In tal modo il matrimonio, da istituzione antropologica volta a garantire l’ordine delle generazioni e a confermare la nostra appartenenza alla "famiglia umana" si è trasformato in uno strumento, tutto sommato occasionale e quindi fragilissimo, per la realizzazione del bene "privato", non però della coppia, ma dei singoli individui che trovano gratificazione nel loro rapporto (finché trovano tale gratificazione, cioè fino al divorzio ).
La stessa esperienza della genitorialità viene rimodulata e alterata dall’individualismo in chiave di auto-gratificazione dei genitori, che sempre più spesso ricorrono alla procreazione assistita non come terapia della sterilità, ma come tecnica per soddisfare il loro desiderio soggettivo di avere "un figlio a tutti i costi". Tutto qui. È conseguente quindi che, leggendo in tal modo il matrimonio e la procreazione, non solo non si riesca più a trovare una valida ragione per negarli agli omosessuali, ma si inquadri questa battaglia nel contesto della lotta per i diritti umani, ormai anche essi impazziti e divenuti, a causa del dilagante individualismo, "insaziabili". Non ci si oppone efficacemente alle nozze gay considerando questo un tema circoscritto e traendo eventualmente soddisfazione da dighe provvisorie e fragilissime che è possibile alzare contro i progetti di legge in materia. Bisogna riportare la questione alle sue radici e mostrare come il futuro che ci attende o sarà relazionale o – letteralmente – non sarà, perché l’ordine sociale, l’economia, la promozione dei valori umani e culturali, la tutela dei soggetti più deboli non trovano risposte in un orizzonte individualistico, ma in un orizzonte relazionale e generazionale, segnato dal mistero della differenza complementare tra l’uomo e la donna. È all’incapacità tutta moderna di leggere in profondità la nostra identità sessuale, prima ancora che ai movimenti gay, che siamo chiamati a reagire con fermezza, senza mai venir meno a quel «rispetto» e a quella «delicatezza» verso tutti in cui si deve riassumere la sensibilità dei cristiani.
L’uomo moderno vede unicamente se stesso al centro dell’universo (o almeno del "suo" universo) e non riesce a dare alla relazione alcun valore se non quello di gratificazione della sua propria individualità. In tal modo il matrimonio, da istituzione antropologica volta a garantire l’ordine delle generazioni e a confermare la nostra appartenenza alla "famiglia umana" si è trasformato in uno strumento, tutto sommato occasionale e quindi fragilissimo, per la realizzazione del bene "privato", non però della coppia, ma dei singoli individui che trovano gratificazione nel loro rapporto (finché trovano tale gratificazione, cioè fino al divorzio ).
La stessa esperienza della genitorialità viene rimodulata e alterata dall’individualismo in chiave di auto-gratificazione dei genitori, che sempre più spesso ricorrono alla procreazione assistita non come terapia della sterilità, ma come tecnica per soddisfare il loro desiderio soggettivo di avere "un figlio a tutti i costi". Tutto qui. È conseguente quindi che, leggendo in tal modo il matrimonio e la procreazione, non solo non si riesca più a trovare una valida ragione per negarli agli omosessuali, ma si inquadri questa battaglia nel contesto della lotta per i diritti umani, ormai anche essi impazziti e divenuti, a causa del dilagante individualismo, "insaziabili". Non ci si oppone efficacemente alle nozze gay considerando questo un tema circoscritto e traendo eventualmente soddisfazione da dighe provvisorie e fragilissime che è possibile alzare contro i progetti di legge in materia. Bisogna riportare la questione alle sue radici e mostrare come il futuro che ci attende o sarà relazionale o – letteralmente – non sarà, perché l’ordine sociale, l’economia, la promozione dei valori umani e culturali, la tutela dei soggetti più deboli non trovano risposte in un orizzonte individualistico, ma in un orizzonte relazionale e generazionale, segnato dal mistero della differenza complementare tra l’uomo e la donna. È all’incapacità tutta moderna di leggere in profondità la nostra identità sessuale, prima ancora che ai movimenti gay, che siamo chiamati a reagire con fermezza, senza mai venir meno a quel «rispetto» e a quella «delicatezza» verso tutti in cui si deve riassumere la sensibilità dei cristiani.
«Avvenire» del marzo 2013
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