Un commento al trattato di Gilles Bernheim sul matrimonio omosessuale
di Alberto Moshe Somekh
Ebrei e cattolici per la dignità, la stabilità e la sacralità della famiglia
Leggo con piacere il testo del rav Gilles Bernheim sull'omosessualità. È questo un tema assai delicato, trattato di rado nel mondo ebraico e ringrazio pertanto il gran rabbino di Francia per aver rotto il silenzio con tanta chiarezza, competenza e apertura. (...) Mi limiterei soltanto a fare alcune osservazioni di carattere generale e di ordine metodologico per guidarne la lettura, sgomberando anticipatamente il terreno da possibili fraintendimenti e confusioni.
L’antico diritto talmudico proibisce in linea di principio che questioni di natura sessuale vengano trattate coram populo per il timore che ascoltatori non adeguatamente preparati possano fraintendere i dettagli talvolta sottili della Legge e compiere atti illeciti pensando che siano permessi (Chaghigah, 11b). In realtà negli ultimi decenni queste tematiche sono state affrontate dai media in modo tanto plateale quanto incompleto e parziale, facendo sì che una puntualizzazione adeguata e accurata degli argomenti in questione si rendesse non soltanto permessa, ma addirittura necessaria.
A differenza di quanto avviene in altri credi, nell’ebraismo è l’azione che ha importanza teologica assai più del sentimento e del pensiero.Sul tema in oggetto la tradizione ebraica guarda negativamente all’attività omosessuale, ma non alla natura omosessuale di per sé, quale che sia la sua origine. Mentre, come si è detto, l’attività omosessuale è sempre proibita, cionondimeno dobbiamo evitare il giudizio nei confronti di coloro che soccombono.
Ben venga dunque la collaborazione con i vertici della Chiesa cattolica, con la quale per molti versi il mondo ebraico può sviluppare un’adeguata azione comune per la difesa della dignità, della stabilità e della sacralità della famiglia, richiamandosi agli insegnamenti della tradizione biblica fin dai primordi: «E l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e saranno un’unica carne» (Genesi, 2, 24).
Un’ultima considerazione, che credo sia al centro del messaggio del rav Bernheim, riguarda lo Stato. Il Talmud ci insegna che, in linea di principio, non si devono riconoscere benefici legali a un comportamento trasgressivo (Ketubbot, 11a e a.). In un passo più specifico è scritto che a quell’epoca, millecinquecento anni fa, anche quei “figli di Noè” che non si astenevano dalle pratiche omosessuali avevano almeno il pudore di non redigere un contratto nuziale fra le parti (Chullin, 92a-b). Pur con tutta la comprensione del caso, scelte che attengono alla sfera più intima del singolo individuo, alle sue inclinazioni e alla sua coscienza personale, non possono divenire oggetto di un riconoscimento formale, né dar luogo a un iter legislativo, e tanto meno assurgere a valore di riferimento del costume sociale, pena la dissoluzione della società stessa. «Maschio e femmina li fece» (Genesi, 5, 2).
L’antico diritto talmudico proibisce in linea di principio che questioni di natura sessuale vengano trattate coram populo per il timore che ascoltatori non adeguatamente preparati possano fraintendere i dettagli talvolta sottili della Legge e compiere atti illeciti pensando che siano permessi (Chaghigah, 11b). In realtà negli ultimi decenni queste tematiche sono state affrontate dai media in modo tanto plateale quanto incompleto e parziale, facendo sì che una puntualizzazione adeguata e accurata degli argomenti in questione si rendesse non soltanto permessa, ma addirittura necessaria.
A differenza di quanto avviene in altri credi, nell’ebraismo è l’azione che ha importanza teologica assai più del sentimento e del pensiero.Sul tema in oggetto la tradizione ebraica guarda negativamente all’attività omosessuale, ma non alla natura omosessuale di per sé, quale che sia la sua origine. Mentre, come si è detto, l’attività omosessuale è sempre proibita, cionondimeno dobbiamo evitare il giudizio nei confronti di coloro che soccombono.
Ben venga dunque la collaborazione con i vertici della Chiesa cattolica, con la quale per molti versi il mondo ebraico può sviluppare un’adeguata azione comune per la difesa della dignità, della stabilità e della sacralità della famiglia, richiamandosi agli insegnamenti della tradizione biblica fin dai primordi: «E l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e saranno un’unica carne» (Genesi, 2, 24).
Un’ultima considerazione, che credo sia al centro del messaggio del rav Bernheim, riguarda lo Stato. Il Talmud ci insegna che, in linea di principio, non si devono riconoscere benefici legali a un comportamento trasgressivo (Ketubbot, 11a e a.). In un passo più specifico è scritto che a quell’epoca, millecinquecento anni fa, anche quei “figli di Noè” che non si astenevano dalle pratiche omosessuali avevano almeno il pudore di non redigere un contratto nuziale fra le parti (Chullin, 92a-b). Pur con tutta la comprensione del caso, scelte che attengono alla sfera più intima del singolo individuo, alle sue inclinazioni e alla sua coscienza personale, non possono divenire oggetto di un riconoscimento formale, né dar luogo a un iter legislativo, e tanto meno assurgere a valore di riferimento del costume sociale, pena la dissoluzione della società stessa. «Maschio e femmina li fece» (Genesi, 5, 2).
«Osservatore romano» del 6 febbraio 2013
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