08 dicembre 2009

E il ’900 inventò l’iconoclastia

Besançon indaga sui legami sottili tra il concilio di Nicea e la pittura moderna, mediati dalla «gnosi» di Schopenauer
di Michele Dolz
Alain Besançon, nato nel 1932, ha dedicato le sue mi­gliori capacità di storico allo studio della sovietologia e della Rus­sia. Il saggio L’immagine proibita che ora esce in italiano esula un po’ dal filone principale di ricerca ma è condotto con lo stesso rigore. Pub­blicato per la prima volta da Fayard nel 1994 e quindi ormai ben noto a­gli studiosi italiani, il libro vuol esse­re una storia della raffigurazione del divino. Non però una storia dei fatti, che apparterrebbe alla storia dell’ar­te, ma delle idee che hanno prodot­to i fatti. E in questo senso rappre- senta un notevole contributo di ap­profondimento. Ma anche per que­sto lavoro la scintilla è venuta dalla Russia: «Un seminario sulle avan­guardie russe mi aveva lasciato la convinzione che Malevic e Kandin­skij, rifiutando la figura come capa­ce di abbracciare l’assoluto, recupe­rassero senza saperlo l’argomento classico dell’iconoclastia». Non si può non vedere, se appena si fa at­tenzione alla storia, questo filo rosso che percorre la vita dell’immagine cristiana dalla sua travagliata origi­ne fino all’attuale laicizzazione. Dif­fidenza e timore si alternano e si mescolano all’eccessiva sacralizza­zione dell’oggetto. Questa tensione ha portato, come si sa, a tre grandi esplosioni iconoclaste. La prima, quella dell’VIII secolo con al centro il Concilio di Nicea II (787), che comportò una feroce campagna di distruzione d’immagini ritenute i­dolatriche. Su argomenti molto si­mili, la seconda crisi è legata alla na­scita del protestantesimo, con al­trettanta distruzione d’immagini.
Calvino, il più radicale. E Besançon, perché non si attribuiscano superfi­cialmente queste ondate a un non meglio precisato fanatismo, ricorda la complessità del problema che è alla base: «Quale culto rendere e quale statuto attribuire all’immagi­ne di Cristo, che dopo l’Ascensione si trova ora ad essere, con il suo cor­po 'circoscritto' e rappresentabile, Uno della Trinità, misteriosa, inco­noscibile e di per se stessa irrapre­sentabile? ». Si può rispondere che la teologia e la prassi della Chiesa han­no risolto il problema, ma non si può negare che il problema ci sia stato. E che in qualche modo persi­sta. La terza crisi iconoclasta è quel­la che attraversa la modernità fin dall’epoca dei Lumi. Penso che sia questa la parte più interessante e o­riginale dell’indagine di Besançon.
L’innegabile difficoltà che da tempo la grande arte trova nella raffigura­zione del divino – perché di questo si tratta, più che di qualche meno si­gnificativa fobia verso l’immagine sacra – non è da addebitare, egli di­ce, alla progressiva secolarizzazione della società o della cultura, che ha orientato gli artisti verso altri sog­getti o li ha resi meno vicini alla fe­de. La questione è intrinseca. È mu­tata la visione stessa dell’immagine e l’autocomprensione dell’artista. Il cambiamento si radica nella filoso­fia di Kant e poi dei grandi idealisti tedeschi. Hegel aveva profetizzato la morte dell’immagine sacra. Eppure, nota l’autore, gli artisti quelle opere non le hanno lette. Loro traduttore e mentore della nuova arte è stato Schopenhauer a partire dal 1870. È impressionante la lista qui riportata di artisti e scrittori che hanno letto e meditato le sue opere. In pittura, l’ambiente del simbolismo. Scho­penhauer distingue spudoratamen­te l’umanità in «uomini ordinari» e «geni». I primi sono incapaci di con­templazione, mentre il genio, dotato d’immaginazione, possiede una vi­suale infinitamente più ampia. L’ar­tista, naturalmente, è genio, e in quanto tale è investito di una mis­sione profetica e del ruolo messiani­co di svelare la realtà delle cose. La seconda innovazione di Scho­penhauer consiste nell’eliminazio­ne dell’importanza del soggetto nel­la pittura: il significato reale va oltre ciò che vi è raffigurato. Tutto questo ha per Besançon un’impostazione gnostica, confermata dal pensiero complessivo del filosofo. Ne deriva un cambiamento nella concezione del sacro raffigurato. I simbolisti continuano a dipingere scene bibli­che ma insieme a altre appartenenti al sacro di altre religioni, a fusioni sincretiche o a una spiritualità vaga e sfuggente. Una vetta, Gauguin e la sua ricerca del primitivismo in sen­so gnostico. Sulle spiagge di Tahiti e­gli leggeva appassionatamente le o­pere di Joséphin Péladan, anima pa­rigina dei Rosacroce. Sulle stesse or­me passeranno tanti altri. I tre fon­datori dell’astrattismo, Mondrian, Kandinskij, Malevic, frequentavano Schuré, Madame Blavatsky, Steiner, Uspenkij. Esoterismo. Non che tutto il Novecento sia andato così, ma alla base dei cambiamenti radicali di sti­le c’è un cambiamento di visione di­ventato comune, che rende molto difficile – se non impossibile – la raf­figurazione del divino come in pas­sato. Si potrà non essere d’accordo, ma solo dopo aver riflettuto sui complessi contenuti di queste pagi­ne.
Alain Besançon, L'immagine proibita, Marietti 1820, pp. 440, € 40,00.
«Avvenire» del 5 dicembre 2009

Nessun commento: