08 dicembre 2009

Il Kgb e i dossier della vendetta

di Adriano Prosperi
A differenza di Berlusconi, non abbiamo capito il significato di ciò che ha fatto Lukashenko nel consegnargli quattro libroni di dossier dei servizi segreti. Esoprattutto non siamo sicuri di aver capito con quale spirito quel dono sia stato accolto. È stato certo un singolare dono natalizio per il primo capo di governo occidentale che ha rotto l'isolamento del presidente della Bielorussia, uno dei personaggi meno presentabili nel mondo delle democrazie. Vedremo a tempo debito che cosa contiene. Ma una cosa va detta in via assolutamente preliminare. Non ci piace l'aria di mistero che si è voluto creare intorno a questo passaggio di mano delle carte: segreto e mistero, occhi luccicanti di commozione di chi li riceve, promesse e allusioni di chi li dona. In democrazia non c'è, non ci deve mai essere mistero. Non da parte di chi, per essere il presidente del Consiglio, è lì per garantire la democrazia, per rispettare le regole, per fare tutto il necessario perché sia accertata in nome di tutti la verità storica e politica che ci riguarda. Se quello che si cerca in questi documenti è la verità e solo questo, allora va bene. Se la soddisfazione e la commozione nascono dalla speranza di accertare tale verità nell' interesse del paese e di farlo per le vie della acquisizione e della esplorazione di ogni fonte a ciò necessaria e disponibile, allora siamo d' accordo. Ma non vorremmo che dietro quella commozione e quell' accorato ringraziamento ci fossero altri e meno confessabili sentimenti: ci fosse per esempio il desiderio di trovare in quelle carte il profilo di avversari da colpire, lo strumento per condurre in porto qualche resa dei conti. Si tratta, a quanto si dice, di dossier che riguardano italiani. E non è chiaro di quali italiani e di quali servizi segreti si tratti: il Kgb, quello sovietico o quello della Bielorussia? Italiani degli anni Trenta, della seconda guerra mondiale o dei recenti anni settanta? Vittime o carnefici dello stalinismo oppure inviati del partito comunista italiano degli anni di Berlinguer? Questa è comunque la notizia, l' unica emersa con risalto da un viaggio nello stile consueto delle spedizioni improvvise e un po' misteriose di Berlusconi, tipiche più di un affarista che di un uomo di governo. Misterioso il viaggio, misterioso il dossier. L' elogio che Berlusconi ha fatto del presidente bielorusso - «è amato dal popolo» - ricorda quelli che si tributavano un tempo al «piccolo padre» dell' Urss, Stalin. Sarà vero che il popolo lo ama? Può darsi. Come diceva negli anni Trenta Ettore Petrolini parlando di Nerone e pensando a Mussolini, il popolo alla fine ti si affeziona. Alla fine, però. Finché c'è la democrazia il popolo non ama ma pensa, lotta, parteggia, vota; e oggi in Italia si parteggia e si vota, anche se il virus della demagogia si sta diffondendo. E si vota non l' uomo ma il partito, si elegge non il «piccolo padre» ma un Parlamento. Ma parliamo del dossier.È stato messo insieme da polizie segrete, corpi operanti al di fuori delle regole, specializzati nella raccolta di documenti infamanti e nell' arte della disinformazione. Da sempre nella storia il segreto dei documenti ha avuto la funzione di sostenere un regime e di fondarlo sulla paura.I dossier affidavano all'occhio del dittatore le informazioni necessarie per distruggere i suoi nemici e per presentarsi come il potere rassicurante e onnisciente. I dossier segreti servono ancora oggi a ricattare, a impaurire, a far fuori i nemici o le persone scomode. A dare segnali. Si pensi al caso di Dino Boffo, caso esemplare e a tutt' oggi impunito di esecuzione sommaria per mezzo di un'informativa nello stile dei servizi segreti, un segnale per impaurire chi non si piega. E oggi forse c'è già chi da queste carte giunte dalla Bielorussia si aspetta l'occasione per colpire qualche personaggio scomodo, per insegnare a tutti la regola base: amare il capo e anche nello stesso tempo averne paura. Ebbene quel pacco dono del presidente del Consiglio non appartiene a lui ma al paese. Prima che qualcuno dei suoi organi di informazione ne ricavi materiale scandalisticoe prima che si apra una caccia alle streghe deve essere chiaro a tutti che un uomo di stato ha dei doveri precisi quando entra in possesso di carte che riguardano il suo paese. Prima ancora dei numerosi interrogativi che sono emersi subito nella stampa italiana, la domanda che ci si deve porre è quella di chi e come debba prendere in esame questo materiale. Se è vero che viviamo ancora in un sistema democratico parlamentare, allora il presidente del Consiglio non ha altro compito che quello di affidare al Parlamento la documentazione giunta così fortunosamente in suo possesso. La democrazia non è fatta di popoli che amano un capo. E nemmeno è fatta di paure e di misteri. La democrazia è esattamente il contrario dei regimi dove c' è paura. Un sistema democratico non ha paura della verità , al contrario: ne vive. La verità storica e politica rende più liberi, rafforza la vita civile. È di misteri non svelati, di risposte non date, di dossier segretati che la nostra vita pubblica soffre da tempo. Dunque quel dossier non può che essere affidato al Parlamento, espressione indiscutibile della sovranità del popolo.
«La Repubblica» del 4 dicembre 2009

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