30 luglio 2007

Contini e l’origine «equina» del razzismo

Pubblicati tutti i lavori filologici: dalle stroncature alle etimologie
di Cesare Segre
Contro la «ratio» di Leo Spitzer, faceva risalire la parola alla zoologia
A Gianfranco Contini (1912-1990) accadde come a Roman Jakobson e ad altri critici-filologi o critici-linguisti. Mentre l’attenzione di gran parte della cultura contemporanea si concentrava sui loro giudizi e le loro prese di posizione critiche, ora più ora meno entusiasta, ma in genere ammirata, i loro lavori di specialisti si diffondevano in cerchie molto più ristrette. Questo produce squilibri e incomprensioni, perché si opera come se il lavoro attuato dal critico non fosse attiguo, osmoticamente collegato con quello del linguista o del filologo. Anche per questo motivo è un grande avvenimento l’uscita dei Frammenti di filologia romanza (Edizioni del Galluzzo, Firenze, 2 volumi, pagine XVI-1500, euro 170), in cui sono raccolti tutti i lavori di Contini filologo, escluse le premesse alle grandi edizioni critiche. Il progetto dell’opera risale almeno al 1943, quando Raffaele Mattioli, banchiere e umanista, espresse a Contini il suo desiderio d’inserire una raccolta dei suoi scritti filologici nel programma dell’editore Ricciardi, che Mattioli stava potenziando, all’inizio nell’àmbito della saggistica (anni dopo sarebbe nata la collana «La letteratura italiana. Storia e testi»). Contini, che accettò in linea di massima, propose un titolo poco diverso (Frammenti di tecnica filologica), e, parrebbe, altrettanto riduttivo, come spesso gli piacque; ma ritenne che i tempi, di guerra e di stragi, non fossero i più adatti alla pubblicazione, che venne dunque rinviata a un futuro migliore. Nella «Nota ai testi» dell’opera Giancarlo Breschi, che l’ha curata con un impegno lungo e generoso, ricorda gli altri lavori di Contini che s’intitolano «frammenti» di qualche cosa, comunque alludendo a testi in genere davvero frammentari; ma elenca pure gli scritti di letteratura e musica contemporanee intitolati «frammenti», dai Frammenti per la terra promessa di Ungaretti ai Frammenti sinfonici di Malipiero e di Alfredo Casella, nonché a contributi filosofici di Gentile (Frammenti di estetica e di letteratura) e di Croce (Frammenti di etica). Insomma, l’understatement di Contini era solo apparente. Contini non abbandonò l’idea dell’opera progettata, che la sua mirabile attività di ricerca continuava ad ampliare. Solo negli ultimi anni, presentendo la fine, incominciò a organizzare la raccolta, affidandola al suo allievo Breschi. Ma si presentarono intoppi di carattere pratico. Era giusto che un libro voluto da Mattioli apparisse presso la sua casa editrice; e, morto Mattioli, anche il figlio Maurizio non desiderava di meglio. Si sa però che la Ricciardi fu poi sballottata tra Mondadori ed Einaudi, per finire all’Enciclopedia Italiana. Un volume di questo impegno anche finanziario non era più possibile. Solo con l’intervento della Fondazione Franceschini, che tra l’altro detiene i libri e le carte di Contini, i due volumi hanno potuto trovare una sede e una magnifica veste editoriale. Come può avvicinarsi a questi volumi un lettore «ingenuo»? Uno dei percorsi, anche commemorativo della grande Ricciardi, può essere la ricerca di capitoli nati durante o dopo la preparazione dei Poeti del Duecento, la famosa antologia (che continua a far testo) in cui Contini selezionò e sistemò tutta la nostra poesia, dai componimenti più arcaici sino a Dante. La preparazione durò dal 1948 al 1960, quando venne alla luce. Ma ci si rende conto dell’importanza dell’indagine svolta da Contini su quella produzione leggendo le «schede su testi antichi» (1951-1952) o i capitoli dedicati al poeta siciliano Guido delle Colonne (1954) o alle differenze di attribuzione, nei vari manoscritti, di alcuni testi lirici della Scuola siciliana (1952). Il punto più alto è nel capitolo «Esperienze d’un antologista del Duecento poetico italiano» (1961), che dà più che un’idea delle scoperte filologiche prodotte dall’impegno dell’antologista e dei suoi giovani collaboratori. Ma sono molti e vari i capitoli che possono rendere attraente la tematica dei due volumi. Ricorderemo le stroncature, vivaci, ironiche, irresistibili di lavori tecnicamente immaturi: si veda per esempio quella di Por vebe luminaria factio. Si possono aggiungere anche le dure recensioni di edizioni ragguardevoli, però non sorrette dalla necessaria competenza filologica o linguistica. Interessantissime le proposte etimologiche, tra le quali domina quella relativa alla parola razza. Spitzer, che pure fu lui stesso vittima del razzismo, la riportava al latino ratio, «ragione», con dotti riferimenti filosofici. Contini invece pensa a un termine (haras), di origine incerta, relativo all’allevamento dei cavalli: come sottolinea la documentazione antica, i cavalli di buona razza sono quelli che vengono da un buon allevamento. Contini conclude riflettendo sul razzismo: «per l’appoggio terminologico di tanta abiezione, ferocia e soprattutto stupidità, quanto è più ricreativo», invece dei riferimenti al platonismo e alla Scolastica, «avergli scovata una nascita zoologica, veterinaria, equina!». Illustre collaboratore del Corriere della Sera, Contini non cercò mai di rendere le cose facili ai lettori; preferiva indurli all’impegno di comprendere; che risulta alla fine liberatorio. Crediamo che chi affronterà i Frammenti s’imbatterà in difficoltà anche maggiori, ma che anche maggiori saranno le sue soddisfazioni.

La pubblicazione dei «Frammenti di filologia romanza» (Edizioni del Galluzzo) di Gianfranco Contini nasce da una lontana idea del banchiere e umanista Raffaele Mattioli (1895-1973, nella foto) che, intorno al 1943, aveva espresso a Contini il desiderio d’inserire una raccolta dei suoi scritti filologici nel catalogo dell’editore Ricciardi Gianfranco Contini (1912-1990) è stato filologo e critico. Ha insegnato alle università di Friburgo, di Firenze e alla Normale di Pisa
«Corriere della sera» del 24 luglio 2007

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