La "biblioclastia"
di Giuliano Vigini
Le distruzioni dell'Is ripetono la lunga storia dei roghi di libri
Può apparire soltanto un particolare di poco conto di fronte all’ininterrotta sfilata di notizie e immagini dei massacri di vite umane compiuti dall’Is. Ma non lo è. Dopo che agli inizi dell’anno era stata bruciata la principale biblioteca della città irachena di Mosul, e distrutte o saccheggiate altre biblioteche, ora il nuovo califfato aggiunge orrore a orrore, passando al setaccio abitazioni private o sedi pubbliche per scovare i libri degli “infedeli” e farne uno scoppiettante falò. Così migliaia di libri, di contenuto religioso, ma anche scientifico e letterario (come si sa, non è meno violento l’odio jihadista per la scienza e la letteratura), rinnovano l’antico spettacolo dei roghi di libri, che spesso hanno cancellato la memoria storica di interi popoli. Mosul, Palmira e chissà quante altre località dell’Iraq o della Siria stanno conoscendo anche questo volto dei nuovi fanatismi, che colpiscono la cultura “deviata” e i luoghi che la conservano, a cominciare dalle biblioteche.
Tanti celebri film e libri – da Brave new world (1932) di Huxley a 1984 (1950) di Orwell a Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut – ci hanno già in vario modo ricordato che l’intolleranza verso la cultura è un pericolo sempre in agguato, perché la barbarie non si stanca mai di rinnovarsi. Così anche oggi continua a levarsi un’interminabile e densa scia di fumo, senza delimitazioni di confini e latitudini, perpetuando una storia di secoli.
Non si sa esattamente quando questa triste storia sia cominciata, ma si ricorda che già Tebe era stata distrutta nel 1.358 a.C.; Ninive, rasa al suolo nel 612 a.C., e soprattutto Alessandria, incendiata nel 48 a.C.: formidabili biblioteche, indipendentemente dal numero di rotoli e documenti conservati, comunque molto cospicui. Che dire, poi, della fine di altre biblioteche antiche, come quelle di Tiro o di Pergamo, di Persepoli o Cartagine, di Gerusalemme o Antiochia, di Atene o Roma? La censura trasformata in vera e propria biblioclastia (ossia in odio persecutorio e distruttore di libri) trova già nell’editto (303) di Diocleziano giustificazione e impulso per altri scempi. Dal Concilio di Nicea (325) in poi, il divieto, la condanna, il sequestro e l’eliminazione di tanti scritti eretici, eterodossi e comunque giudicati nocivi o pericolosi per la fede e i costumi diventa una pratica abituale. Per non parlare poi dell’Inquisizione medioevale e moderna. Ma, per tornare al presente, anche la storia del Novecento presenta un teatro d’azione impressionante; dal Vicino Oriente all’Europa (Germania, Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Polonia...), dalla Cina all’India, dal Cile all’Argentina, dal Messico alla Cambogia, dall’Iraq a Cuba, è tutto un susseguirsi di incredibili devastazioni, oltre a quelle legate agli eventi naturali (incendi, terremoti, alluvioni...).
Milioni e milioni di manoscritti, libri, documenti che non ci sono pervenuti per ragioni ideologiche o politiche, religiose o morali. Classici greci e latini, scritti cristiani e anticristiani, testi dell’ebraismo e dell’islam, opere di storia e documentazione (tra questi, anche tanti libri aztechi e maya) finiti nel nulla per la furia, la follia e, non ultima, l’ignoranza degli uomini. Un’ulteriore conferma che la libertà di pensiero e d’espressione è stata e resta ancora in molti luoghi della terra per alcuni un tabù inviolabile, per altri una speranza.
Purtroppo, tra l’inasprirsi e l’estendersi delle guerre (aveva forse ragione Chesterton che l’espressione “scoppiare la guerra” è impropria, perché la guerra è la condizione normale delle cose; è la pace che deve scoppiare) e l’acuirsi di tanti fenomeni di intolleranza religiosa e culturale rendono tale speranza molto più precaria. Ma per fortuna possiamo pur sempre contare su tante biblioteche nel mondo che continuano a testimoniare il valore insostituibile della loro presenza: quello che significa, cioè, conservare e valorizzare la memoria del passato e del presente, svolgere una funzione al servizio di un’umanità che vuole conoscere, imparare e ascoltare tutti coloro che desiderano parlarle.
Tanti celebri film e libri – da Brave new world (1932) di Huxley a 1984 (1950) di Orwell a Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut – ci hanno già in vario modo ricordato che l’intolleranza verso la cultura è un pericolo sempre in agguato, perché la barbarie non si stanca mai di rinnovarsi. Così anche oggi continua a levarsi un’interminabile e densa scia di fumo, senza delimitazioni di confini e latitudini, perpetuando una storia di secoli.
Non si sa esattamente quando questa triste storia sia cominciata, ma si ricorda che già Tebe era stata distrutta nel 1.358 a.C.; Ninive, rasa al suolo nel 612 a.C., e soprattutto Alessandria, incendiata nel 48 a.C.: formidabili biblioteche, indipendentemente dal numero di rotoli e documenti conservati, comunque molto cospicui. Che dire, poi, della fine di altre biblioteche antiche, come quelle di Tiro o di Pergamo, di Persepoli o Cartagine, di Gerusalemme o Antiochia, di Atene o Roma? La censura trasformata in vera e propria biblioclastia (ossia in odio persecutorio e distruttore di libri) trova già nell’editto (303) di Diocleziano giustificazione e impulso per altri scempi. Dal Concilio di Nicea (325) in poi, il divieto, la condanna, il sequestro e l’eliminazione di tanti scritti eretici, eterodossi e comunque giudicati nocivi o pericolosi per la fede e i costumi diventa una pratica abituale. Per non parlare poi dell’Inquisizione medioevale e moderna. Ma, per tornare al presente, anche la storia del Novecento presenta un teatro d’azione impressionante; dal Vicino Oriente all’Europa (Germania, Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Polonia...), dalla Cina all’India, dal Cile all’Argentina, dal Messico alla Cambogia, dall’Iraq a Cuba, è tutto un susseguirsi di incredibili devastazioni, oltre a quelle legate agli eventi naturali (incendi, terremoti, alluvioni...).
Milioni e milioni di manoscritti, libri, documenti che non ci sono pervenuti per ragioni ideologiche o politiche, religiose o morali. Classici greci e latini, scritti cristiani e anticristiani, testi dell’ebraismo e dell’islam, opere di storia e documentazione (tra questi, anche tanti libri aztechi e maya) finiti nel nulla per la furia, la follia e, non ultima, l’ignoranza degli uomini. Un’ulteriore conferma che la libertà di pensiero e d’espressione è stata e resta ancora in molti luoghi della terra per alcuni un tabù inviolabile, per altri una speranza.
Purtroppo, tra l’inasprirsi e l’estendersi delle guerre (aveva forse ragione Chesterton che l’espressione “scoppiare la guerra” è impropria, perché la guerra è la condizione normale delle cose; è la pace che deve scoppiare) e l’acuirsi di tanti fenomeni di intolleranza religiosa e culturale rendono tale speranza molto più precaria. Ma per fortuna possiamo pur sempre contare su tante biblioteche nel mondo che continuano a testimoniare il valore insostituibile della loro presenza: quello che significa, cioè, conservare e valorizzare la memoria del passato e del presente, svolgere una funzione al servizio di un’umanità che vuole conoscere, imparare e ascoltare tutti coloro che desiderano parlarle.
«Avvenire» del 25 settembre 2015