12 febbraio 2014

Più attenti per salvare lo studio a scuola

Dibattito
di Daniele Zappalà
Negli ultimi anni, il dibattito fra "apocalittici" e "integrati" sull’impatto cognitivo e sociale della rivoluzione digitale ha preso tante strade, sfociando talora in pantani zeppi di stereotipi stucchevoli. Ma quando la controversia tocca la scuola e gli effetti dell’immersione quotidiana nella "blogosfera" e nel "cyberspazio" sulle capacità di apprendimento dei ragazzi, la platea degli interessati si allarga. Nei periodi di mutazione tecnologica, ricordano gli storici, dopo il clangore iniziale fra le utopie dei "pionieri" e il catastrofismo di accesi conservatori, un confronto più lucido e sano può spiccare il volo.
Così, da qualche tempo, replicando all’entusiasmo dei teorici dell’"intelligenza collettiva" propiziata da Internet e della futura "scuola iperconnessa", gli esperti di scienze dell’educazione cominciano ad uscire allo scoperto con argomenti circostanziati anche all’insegna dello scetticismo. È il caso del francese Philippe Meirieu, docente universitario a Lione e autore di saggi sulla pedagogia tradotti in molte lingue, il quale ha appena denunciato una «scuola in preda alla distrazione" in un lungo intervento sulla prestigiosa rivista "Esprit", fondata da Emmanuel Mounier.
Le tecnologie a scuola sono un bene? Possono divenirlo, risponde Meirieu, ma solo a condizione di elaborare una «necessaria pedagogia dell’attenzione». Quest’ultima, per lo studioso, s’impone ormai come la principale posta in gioco per garantire una transizione felice ed evitare di dilatare al contrario certe fessure già oggi ben visibili: «La minaccia sulla scuola non viene più, prevalentemente, da una sovversione brutale del modello, ma da una sorta di crollo interno di ciò che permetteva all’istituzione – persino all’insaputa dei suoi attori – di perpetuarsi: l’attivazione psichica dei soggetti che la frequentano sugli oggetti che essa propone loro». Fra l’altro ciò accade nel momento in cui la scuola (e i docenti in primo luogo) fa di tutto per avvicinare l’insegnamento alla realtà quotidiana e ai problemi della vita contemporanea.
Si tratta di una sfida quotidiana che può spiazzare gli insegnanti alle prime armi, i quali «paiono soverchiati dai comportamenti incontrollabili dei loro studenti, dalla loro distrazione permanente che anche la trovata più originale non riesce ad annullare per più di qualche secondo». Per Meirieu, rischia così di prodursi a scuola quanto avviene già da tempo nella fruizione televisiva. La tendenza allo zapping degli spettatori spinge vieppiù sceneggiatori e programmatori a replicare con una sorta di "contro-zapping", rompendo e talora stravolgendo i canoni drammaturgici tradizionali.
Citando anche studi sperimentali internazionali come quelli dell’americana Khaterine Hayles, Meirieu sottolinea il progressivo deterioramento di quell’«attenzione profonda» sulla quale un tempo la scuola puntava in vista di traguardi intellettuali ritenuti "alti", come l’immersione nelle grandi opere letterarie o la contemplazione dei capolavori artistici. Attività che, grazie a un allenamento mentale costante, potevano pure divenire, per non pochi studenti, fonti profonde di piacere. Ma oggi, per il saggista francese, le premesse di base di questa ginnastica mentale sono a rischio.
Le reazioni più frequenti dei docenti a un simile scenario nuovo e fluttuante sono di quattro tipi. C’è chi aumenta le cadenze e cerca di "compensare", rischiando così lo sfinimento. Altri adottano uno stile d’insegnamento più severo, se non minaccioso. In altre scuole, si preferirà invece fare maggior ricorso a insegnanti di sostegno o altre figure previste normalmente in casi eccezionali, orientando ad esempio i genitori verso strutture private di doposcuola. In un certo senso, in questo caso, si accettano come studenti "normali" solo quelli già riconosciuti ad un livello potenziale che in realtà la scuola dovrebbe considerare come proprio traguardo. Si cede dunque alla «tentazione di trasformare gli obiettivi della scuola in premesse», con possibili effetti deplorevoli all’insegna di un chiuso elitismo, se non dell’esclusione. L’ultima soluzione, eticamente auspicabile ma concretamente difficile, è quella di forgiare una pedagogia dell’attenzione.
Secondo Meirieu, quest’ultima via di uscita può poggiare solo su un rapporto vero e stimolante dell’insegnante con il sapere. L’arte di far apparire quest’ultimo come una «fonte di molteplici possibili soddisfazioni» dovrebbe in teoria far parte della vocazione stessa di ogni insegnante. Ma oggi, anche quando questa nobile disposizione è presente, rischia di non bastare. Occorre pure saper nutrire e far crescere di continuo, giorno dopo giorno, una motivazione realmente condivisa. Sta proprio qui, secondo Meirieu, la fonte viva per irrorare l’attenzione profonda degli studenti. E in fondo, pure la via per trasmettere ai ragazzi il gusto di «offrire tempo al pensiero», il piacere dell’accesso al simbolico, la bellezza della creatività.
«Avvenire» dell'11 febbraio 2014

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