15 febbraio 2014

Eutanasia minori, la dimensione nuova di un duro potere

Belgio
di Francesco D'Agostino
Dobbiamo ancora una volta scendere nei particolari e mostrare le tante, diverse, vere e proprie aberrazioni che caratterizzano la legge belga sull’eutanasia pediatrica? Sono mesi e mesi (anzi, anni ed anni) che vengono sistematicamente e analiticamente denunciati i rischi di una legalizzazione dell’eutanasia, senza che si siano ottenute risposte significative, ma solo le più svariate forme di indifferenza. Questa indifferenza sulle prime potrebbe essere interpretata come segno di una assoluta mancanza di volontà dialogica: cosa particolarmente grave, in un sistema culturale, come quello secolarizzato, che assume a proprio vanto il pluralismo ideologico e valoriale, l’attenzione e il rispetto per tutte le visioni del mondo e per i più diversi stili di vita e soprattutto l’antidogmatismo. In realtà, questa indifferenza ha una valenza ben più grave, che è in genere poco percepita e che proprio per questo va risolutamente alla luce. Essa è il segno esplicito – un segno che più esplicito non si potrebbe immaginare – del fallimento della bioetica.
Comunque infatti la si voglia mettere a fuoco o definire, è un fatto che la bioetica, come orizzonte di riflessione interdisciplinare sulla vita, è nata dall’esigenza di dare una risposta ragionata, condivisa e soprattutto non ideologica alle nuove sfide poste nella nostra epoca dal progresso della biomedicina. In pochi decenni si sono moltiplicate le cattedre di bioetica, le e è entra associazioni nazionali e internazionali nonché i comitati di bioetica, i libri e le riviste formalmente dedicati a questa disciplina. L’interesse per la bioetica e i processi di globalizzazione si sono sviluppati di pari passo. Si è consolidato un lessico, si sono oggettivati paradigmi, si sono strutturate scuole di pensiero. Con quale esito? Con quello che abbiamo sotto gli occhi. In primo luogo, il pieno rovesciamento dell’etica medica, che – abbandonato il principio ippocratico della difesa della vita – affida ormai al medico, accanto alle tradizionali funzioni terapeutiche, le nuove e ben più sottili funzioni di avviamento alla morte. In secondo luogo, la cristallizzazione (probabilmente irreversibile) di nuove forme di ipocrisia. È ipocrisia presentare come nobile forma di ossequio alla volontà del paziente la decisione di sopprimerlo (decisione motivata il più delle volte da ragioni economiche, pubbliche o private che siano). È ipocrisia sostenere (come fa la nuova legge belga) che un bambino possa chiedere l’eutanasia liberamente e consapevolmente, senza cioè essere indotto o comunque suggestionato dall’atteggiamento dei genitori o dei medici nei suoi confronti.
È ipocrisia minimizzare il rilievo statistico dell’eutanasia pediatrica, come se la questione fosse appunto meramente statistica e non piuttosto etica e simbolica. Ma accanto al rovesciamento dell’etica medica e alle diverse forme di ipocrisia che questa legge cristallizza, c’è un ulteriore esito che ad essa sarà inevitabilmente da ricondurre. La legge chiede l’assenso dei genitori alla soppressione del bambino malato! Mi chiedo chi avvertirà quanto di malsano c’è in questo principio, che, sotto l’apparenza di rispettare il prioritario interesse dei genitori verso i bambini da essi messi al mondo, in realtà formalizza la forma più cieca di potere che un essere umano possa avere verso un altro essere umano, quello di decidere in forma ultimativa sulla sua vita.
Da più di due millenni nella tradizione giuridica occidentale lo jus vitae ac necis, il diritto di vita e di morte del padre sui figli, appariva cancellato come barbarico e immorale. Ora viene reintrodotto e per di più in forma politicamente corretta, perché non viene attribuito più solo al padre, ma congiuntamente al padre e alla madre. Qualche amante della casistica si è già posto la domanda su quale dovrebbe essere la volontà prevalente, ove i genitori siano di diverso avviso e l’uno indichi la morte e l’altro la vita per il bambino. Ma il solo lasciarsi coinvolgere in un dibattito di tale natura è sconfortante. Cosa hanno detto, cosa stanno dicendo, cosa diranno i bioeticisti, le associazioni, i Comitati di bioetica sull’eutanasia pediatrica? Probabilmente nulla: ci troveremo ancora una volta davanti a un silenzio assordante. La bioetica è fallita, è fallita da tempo e per di più senza che nessuno se ne sia reso conto. Quella che doveva essere pensata come etica della vita si è trasformata in un’etica del potere: il potere di chi vuole creare artificialmente e a suo piacimento la vita in provetta, di chi vuole artificialmente e a suo piacimento manipolarla, e di chi pretende, sempre a suo piacimento e artificialmente, sopprimerla. A chi si fosse illuso che nel mondo contemporaneo attraverso la bioetica si stesse aprendo una nuova fase della coscienza morale dell’umanità, la legge belga dovrebbe aprire definitivamente gli occhi. Ciò che si è aperto davanti a noi e nelle forme più dure e imperative, quelle della legge, è semplicemente una nuova e inaspettata dimensione del potere. Chi credeva che la vocazione della bioetica fosse quella di elaborare nuove forme di difesa della vita deve ormai ricredersi: la bioetica sta diventando (e probabilmente è già diventata) la forma più sottile della burocratizzazione legalistica del morire.
«Avvenire» del 14 febbraio 2014

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