di Alessandro D’Avenia
Se smettessi di fare l’insegnante non avrei più niente da raccontare, perché affronto venti ragazzi nel periodo di ribellione, che è la benedizione dell’adolescente, quando finalmente inizia a gestire la sua libertà, inizia a toccare con mano la sua unicità: questa è la finestra da cui entra la realtà delle storie che mi ispirano di più. sia il primo che il secondo romanzo raccontano storie di ribellione: il primo di fornte alla mallattia insipegabile della ragazza di cui è follemente innamorato, la seconda dal fatto che il papà se n’è andato di casa all’improvviso. la vita ci “presenta il conto” e noi inevitabilmente ci ribelliamo; però, poi, il più delle volte questa ribellione porta i ragazzi a trovare il senso di ciò che è accaduto. Se non ci fosse ribellione, non ci sarebbe neanche quella possibilità di perdono che poi dà senso a questi ‘non-sensi’ che la vita ci propone. A me piace del mondo dei ragazzi questa presa di posizione, secondo cui il mondo non ti sta bene: l’adolescenza è l’età in cui per la prima volta mettiamo in discussione tutto quello che i genitori ci hanno detto. Ed è la benedizione per il ragazzo: mentre il bambino si fa dire cosa fare e chi essere dai genitori, l’adolescente comincia a gestire la propria libertà e a toccare quell’unicità che è venuto a portare sulla terra. Questo comporta una ribellione, perché ha paura che altri continuino a dare significati che lui invece trovare da solo. È un passaggio necessario per approdare ad un senso della vita. Se non accadesse, il ragazzo la pagherebbe con l’omologazione.
Intervista a RaiScuola del 24 aprile 2013
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