04 luglio 2010

Quelli che il mercato librario fa schifo

Il critico Cortellessa in versione Michael Moore gira un documentario sul declino dell’industria culturale Tutti gli intervistati contestano un ingranaggio al quale son felici di appartenere. E che garantisce libertà
di Bruno Giurato
Ce la faranno i nostri eroi? A salvare i libri, gli scrittori, la cultura, dagli artigli dei Grandi Editori, dalla filiera della Grande Distribuzione, insomma dalle spire del Capitalismo e dalla «democrazia totalitaria» nella quale viviamo? Intanto i nostri eroi cominciano col documentario nel cinema d’essai. Lunedì sera all’Azzurro Scipioni, sala che ogni cinefilo romano ama, c’è stata la presentazione di Senza Scrittori, documentario del critico Andrea Cortellessa con la regia di Luca Archibugi. Buon parterre nonostante il caldo: Stefania Melandri vestita di bianco, padre e figlio Pedullà Walter e Gabriele, Walter Siti, Franco Cordelli e tanti altri. Senza scrittori è un titolo arbasiniano, e la presentazione del documentario spiega che «il libro è divenuto il feticcio della nostra società del narcisismo», che l’editoria di massa è una «industria della vanità», che i meccanismi delle classifiche sono «numerolatrici», che i «malcapitati lettori sono spinti al consumo più immediato e irriflesso». A decostruire, demistificare, la spirale perversa del mercato librario ci si mette un Andrea Cortellessa di rosso vestito, una specie «di grillo parlante curioso e molesto», insomma una specie di Michael Moore in versione italica, che intervista una serie di scrittori e protagonisti dell’industria libraria, grande o piccola: da Antonio Franchini, direttore della narrativa Mondadori a Giulio Mozzi, da Stefano Mauri (MauriSpagnol) a Carla Bernini e Luca Nicolini del festival delle letteratura di Mantova. Come abbiamo fatto notare ieri ci sarebbe qualcosa da dire sullo status del grillo parlante in questione. Cortellessa, puntualizziamo, pubblica con Bruno Mondadori, Einaudi, Fazi, Le Lettere, Aragno, Chiarelettere; collabora con Adelphi, Bompiani, Garzanti, Mondadori; scrive su Stampa, Poesia, L’indice dei libri del mese. In breve più che un grillo parlante sembra un bell’ingranaggione del perverso meccanismo.
Il documentario si apre con una bandiera rossa di latta e subito dopo c’è la premiazione dello Strega 2009, durante la quale Antonio Scurati precisa che ne uscirà distrutto, anche personalmente. E già si capisce un piccolo segreto per chi voglia stare dentro ma anche fuori dal meccanismo perverso: un po’ di aria da genio gemebondo, della serie non vorrei esserci ma ci sono, e si risolvono tanti guai relativi al vassoio in cui si pilucca. C’è anche un aneddoto su Pasolini e Fenoglio, raccontato da Gabriele Pedullà. Fenoglio non volle ritirarsi dallo Strega pur appartenendo alla stessa casa editrice di Pasolini e il poeta gliela giurò, al punto di scrivere su di lui una stroncatura post mortem.
I capitoli del documentario, che non è breve né particolarmente brillante (al punto che uno degli intervenuti commenta: «Ho concesso settanta minuti di cortesia») raccontano il mondo degli autori, quello degli editori, la distribuzione. C’è un capitolo sulla questione delle librerie di catena, che insidiano l’esistenza delle piccole librerie, usufruendo di sconti consistenti sui titoli di grande vendita. C’è l’intervista ad Antonio Franchini, in cui il capo della narrativa Mondadori viene simpaticamente processato anche con le musiche che mettono in evidenza ogni minimo imbarazzo, potenza della postproduzione. C’è qualche divertente attacco a Margaret Mazzantini, che è un po’ come sparare sulla croce rossa. Ma a parte qualche merito che andrebbe riconosciuto ai grandi editori, come per esempio aver reso accessibile tutto un mondo di scrittori che fino a pochi anni fa non sarebbero mai arrivati al mercato, per motivi di conto economico ma anche di veti ideologici, c’è anche il momento in cui l’asino, o meglio il grillo, cade rovinosamente.
Ed è appunto la pars construens. Perché siamo d’accordo tutti: il fatto che libri commerciali e libri «di ricerca» vengano messi sullo stesso scaffale ha delle controindicazioni. E chi mai vorrebbe vedere chiusa la storica libreria Tombolini di Roma? Però quando Cortellessa dice che a fare da contrappeso al mercato una volta c’erano i critici e oggi i critici contano poco o niente, o quando scrive che il meccanismo perverso può essere demistificato da soggetti «diversamente responsabili» (sic!) ci viene un sospetto. Che il grillo in questione, tutt’altro che irresponsabile rispetto alla filiera di cui fa parte, stia rivendicando un po’ di potere in più. E in modo anacronistico. Se quaranta o cinquant’anni fa i filoni della critica erano più o meno due: quello crociano e quello gramsciano, e il lettore poteva orientarsi, fidarsi di uno come Bo o Pampaloni o Montale adesso che si fa? Ora che gli indirizzi della critica sono centinaia, al punto che ogni critico ha il suo, chi riattacca i cocci del senso comune tra scrittori, critici, lettori, a parte il mercato? E infatti Cortellessa parla molto delle «falle» ma suggerisce pochi, anzi se ben ricordiamo nessuno, libri di «vera» letteratura italiana di oggi. L’unico aspetto propositivo riguarda Topolò. Trattasi di un comune al confine con la Slovenia di una sessantina di anime, dove ogni anno si svolge un festival «in piccolo» in cui i vari autori non vengono ospitati in alberghi ma nelle case rimaste vuote, e in cui c’è, a quanto pare, una felice commistione tra scrittori, pubblico, popolazione. Bello, niente da dire. Ma prima che i nostri eroi si mettano a organizzare festival d’essai a Titi (Rc) o a Campotosto (Aq) ci sarebbe da ridiscutere il problema dei grilli parlanti, specie di quelli apocalittici e integrati. Ce la faranno i nostri eroi?
«Il Giornale» del 30 giugno 2010

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