14 giugno 2010

Pensieri di fine anno scolastico: viene il tempo del realismo

Scelte future complicate per ragazzi e genitori
di Domenico Delle Foglie
«Se potessi tornare indietro, giuro che farei l’idraulico». Quante volte avete sentito questa frase? E magari l’avete pronunciata voi stessi, in un momento di affanno della vostra vita o dinanzi alle difficoltà di lavoro dei vostri figli? Eppure, riconosciamolo, sino a ieri non c’era convinzione in quelle parole. Forse c’era persino una punta di snobismo, di chi fa un lavoro impiegatizio o esercita una professione. Un riflesso da ceto medio. In realtà ci si confortava all’idea di non aver fatto il lavoro durissimo dei propri genitori e dei propri nonni: in fondo, sì, era andata bene. E i figli, intanto, spesso si crogiolavano in un’adolescenza prolungata.
Ma è così anche oggi? Cosa chiedono i ragazzi ai genitori? Cosa sperano per loro i papà e le mamme? Quanto pensano di dover investire sui propri figli, in termini di preparazione culturale e quindi di prosecuzione degli studi? Quali domande si sentono rivolgere dai figli circa il futuro? La sensazione è che una serie di circostanze abbiano cambiato nel profondo l’approccio al tema del futuro e alle scelte ad esso collegate. Proviamo a mettere in fila i cambiamenti, quasi una doccia fredda che in questo 2010 sembra aver gelato le speranze degli italiani. Innanzitutto si è fatta più acuta la percezione della crisi che ha investito il sistema Paese nel contesto di un Occidente oggettivamente in affanno, si è allargata l’area della disoccupazione e della cassa integrazione, si sta materializzando la severità delle scelte per frenare la spesa pubblica, in particolare attraverso il blocco degli stipendi degli statali, con milioni di famiglie coinvolte. Se a tutto questo aggiungiamo che solo pochi giorni fa l’Istat ci ha parlato di ben due milioni di giovani italiani fra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si aggiornano, allora il quadro è completo. Eppure, 500mila studenti italiani fra qualche giorno affronteranno la prova di maturità, uno dei passaggi essenziali dall’adolescenza all’età adulta. Un appuntamento indelebile nella memoria di tutti, proprio per il suo portato antropologico: una tappa decisiva verso il futuro. Oggi quei ragazzi si pongono domande diverse, così come sono differenti le risposte dei genitori. Per molti la scelta futura è sempre più legata non agli studi in sé, ma alla preparazione al lavoro. Non è raro ascoltare ragazzi che chiedono quali saranno i lavori di domani, così come genitori che si impegnano a scovare le nicchie lavorative. Le mamme spiegano alle figlie che «il medico no e l’ostetrica neppure, ma se vuoi, è meglio che tu faccia l’infermiera professionale, la logopedista o la fisioterapista. Ché un lavoro lo troverai». Ecco, il cuore del problema: la preparazione dev’essere possibilmente più breve e meno costosa, di sicuro finalizzata a un lavoro immediato. Guai a parlare di Scienze della Comunicazione, di Psicologia o di Lettere e Filosofia, si rischia la rivolta dei genitori. Le carriere della scuola?
Per carità… E vengono guardate con sospetto pure le Lingue straniere e la Biologia. E Giurisprudenza, poi, «non è più il passepartout di una volta». E «se non hai lo studio di papà lascia perdere». Così come per Farmacia e Architettura. Meglio Ingegneria e beato il genitore che ha un figlio predisposto a studiare Matematica, Statistica o Informatica. Ha maggiori chance di lavoro.
Giorni difficili per i nostri giovani, ma anche per i genitori. E persino chi sino a ieri si sarebbe limitato a dire ai propri figli «segui le tue passioni e vedrai che ce la farai», ci pensa su un attimo, prima di lasciarsi andare al salto nel buio.
Insomma, il realismo sembra aver preso definitivamente il posto dei sogni. Speriamo che sia solo vero e sano pragmatismo. Non semplice, dannata rassegnazione. Figlia dell’immobilismo sociale e di una crisi di speranza.
«Avvenire» del 13 giugno 2010

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