03 maggio 2010

Vuoi far lo scienziato? Studia storia e latino

Il matematico Israel
di Luigi Dell'Aglio
«Non c’è dubbio: è in corso una pressione per ridurre progressivamente lo spazio delle discipline umanistiche nella scuola». Lo afferma paradossalmente uno scienziato, storico della matematica e della scienza di rilievo internazionale: il professor Giorgio Israel, ordinario alla Sapienza di Roma. La materia più colpita, osserva, è il latino «e ciò avviene in un momento in cui curiosamente è alla moda in un Paese non latino come gli Stati Uniti. Ma la pressione – aggiunge Israel – si esercita anche nei confronti della storia, sempre più ridotta a brandelli privi di organicità. E verso la filosofia: il fatto è molto grave in un continente a vocazione filosofica come l’Europa. Parlo di Europa perché le cose vanno ancora peggio che da noi in Paesi come l’Inghilterra, dove l’insegnamento della storia è visto sempre più come un orpello».
Professore, come si manifesta la strategia per soffocare queste materie?
«Predicando l’inutilità delle discipline umanistiche sul mercato del lavoro, o con argomenti demagogici come quello secondo cui il latino agli studenti non piace: con questo argomento si potrebbe proscrivere a maggior ragione l’insegnamento della matematica. Anzi, la soluzione ideale sarebbe chiudere addirittura la scuola…».
Quali conseguenze si producono negli studenti, soprattutto in quelli che progettano di lavorare un giorno nel mondo della ricerca scientifica e tecnologica?
«Le conseguenze? Gli studenti si formano una visione riduttiva della scienza, come se il suo fine fosse esclusivamente la manipolazione e non la conoscenza della natura».
Che tipo di scienza emergerà da studi specialistici e puramente tecnici che sono necessari, ma non si accompagnano ad adeguate conoscenze e riflessioni nel campo della filosofia, dell’etica, degli «studia humanitatis»?
«Un insieme di ricette pratiche alla lunga sterili e ripetitive, incapaci di generare vera "innovazione": ci si riempie la bocca di questa parola, ma a vanvera. La scienza occidentale – quella che ha rivoluzionato in tre secoli il mondo ed è "la" scienza "globalizzata" – è basata su una coesistenza di conoscenze di base e di tecnologia, in cui le prime hanno un ruolo motore. E le conoscenze di base sono, a loro volta, fondate su concezioni del mondo che storicamente si sono intrecciate in modo stretto con il pensiero filosofico e anche religioso. Alla base dello straordinario successo della scienza occidentale è stato proprio il suo rapporto con queste visioni e quelle che vengono chiamate "metafisiche influenti"».
Un esempio?
Tempo fa mi è stato richiesto una consulenza di gruppo da parte di un ingegnere di una nota casa automobilistica che desiderava un aggiornamento di storia della matematica e della scienza. Bizzarria? Perdita di tempo? Nient’affatto. Quella persona era mossa dalla corretta esigenza di un ritorno periodico ai fondamenti concettuali senza i quali anche la tecnologia deperisce. Sono state due giornate di grandissimo interesse. Ho trovato nelle discussioni la conferma di quanto ho sempre pensato: l’innovazione è impossibile senza la scienza di base. Oggi costruiamo automobili la cui concezione risale a un secolo fa (e lo stesso dicasi per i computer, concepiti 70 anni fa). Una vera rivoluzione tecnologica non può che ripartire da idee teoriche completamente nuove. Senza la scienza di base ciò è impossibile. E la scienza di base, senza un rapporto profondo con le scienze umane, non può che deperire. Uno dei nostri più famosi matematici, Federigo Enriques, diceva di essersi iscritto alla facoltà di matematica "per un’infezione filosofica liceale"».
L’umanesimo è un concetto affascinante e ampio. Il movimento si propone come l’erede del pensiero greco-latino e della tradizione giudaico-cristiana. Quali rapporti ha con l’umanesimo che si studiava a scuola, affermatosi nel XIV e XV secolo, quando avviene la scoperta dei classici antichi?
«Quei rapporti sono legati all’idea della dignità dell’uomo, la quale a sua volta dipende dal principio che l’uomo è libero. Pico della Mirandola – esponente di una visione che mirava a riconciliare il razionalismo greco con lo spiritualismo ebraico e cristiano – ammonisce: "Potrai degenerare in forme inferiori come quelle delle bestie o, rigenerato, avvicinarti alle forme superiori, che sono divine". Perciò la libertà non implica di per sé un esito benefico: dipende da come si decide di usarla. L’umanesimo rigetta radicalmente il naturalismo, l’idea che tutto si riduce a natura, che altro non è che una forma di materialismo. È un ammonimento di estrema attualità contro le pretese di certa tecnoscienza di voler rifare l’uomo sulla base di manipolazioni genetiche».
Perché Galileo, Pascal e Cartesio non si chiedevano a quale delle «due culture» (scientifica o umanistica) appartenessero? Quale idea della conoscenza li ispirava?
«Pur secondo punti di vista assai diversi, perseguivano una visione complessiva del processo conoscitivo di cui la scienza della natura era soltanto un aspetto e non la totalità. Perché erano tanto "scienziati" quanto "filosofi". Alcuni germi della divaricazione successiva tra scienze naturali e scienze umane sono già presenti, soprattutto in Galileo, ma la corrente dominante della scienza – almeno fino al prevalere del positivismo – s’ispira a una visione "integrale" della conoscenza».
E come riscoprire il valore «umano» della ricerca scientifica?
«Facendo ricerca e insegnamento in storia della matematica e della scienza, mi trovo in una posizione privilegiata (o, piuttosto, sfortunata…) per assistere al disprezzo con cui troppi colleghi guardano alle discipline di frontiera e le penalizzano in ogni modo, mostrando una rozzezza che avrebbe fatto inorridire qualsiasi scienziato di appena qualche decennio fa. Talvolta vengo assalito dalla tentazione di andare in pensione… Tuttavia, bisogna essere ottimisti. L’atteggiamento degli studenti mostra che, in fin dei conti, soltanto la prospettiva umanistica (storica, filosofica) permette di dare una ragione e una motivazione per fare scienza; e che le mere motivazioni tecniche, professionali o economiche lasciano con un drammatico vuoto interiore. Perciò, anche se attraversiamo un periodo alquanto buio – in cui impazza la dittatura degli "esperti" – i semi della cultura prima o poi germoglieranno, come è avvenuto in altre fasi storiche regressive. La dittatura degli "esperti" è destinata a perdere perché ha una profonda debolezza: non crede negli uomini, ma soltanto nelle proprie tecniche».
«Avvenire» del 29 aprile 2010

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