16 dicembre 2009

Quell’impossibilità di non essere arci-italiano

di Davide Rondoni
Il Duomo in faccia.
Anche nell’offesa e nella ferita il presidente del Consiglio ci regala qualcosa di spettacolare. Mica colpito da una bastonata. Da una pietra, o che so, da un pezzo di tubo. Nemmeno una banalissima bottiglia, molotov o d’altro genere. Persino il treppiede di qualche anno fa era una robetta rimediata. No, a lui, milanese che più milanese non si può, gli arriva il suo duomo in faccia. E mentre tutti, giustamente si prodigano in analisi politico-psichiatriche sull’accaduto, permettette che insieme agli auguri di guarigione, qui si offra anche una lettura estetico-sociale.
L’oggetto lanciato è un souvenir. Uno degli oggetti più italici che ci sia. Il ricordino, il regalo un po’ kitch. Un Duomo in miniatura, uno degli infiniti pezzi d’Italia in miniatura che affollano migliaia di negozi, bancarelle, una roba da turismo all’ingrosso, che un italiano di solito si chiede chi li compra (a parte Tranfaglia, l’aggressore e, lo confesso, io per regalarli a chi non se li aspetta proprio).
Ecco, proprio un oggetto così è diventato nella penombra folle e eccitata di un 'attentato' il più adeguato per colpire al volto l’arci-italiano presidente. Con una certa lucidità nella scelta. Non il Colosseo, non la gondola veneziana, non un carillon con Pulcinella, ma il 'suo' duomo. E per giunta non chiuso in una dura ma meno offensiva bigliona di vetro con la neve che scende se la rovesci. Ma nudo e appuntito. In un certo senso, potrebbe pure esserne orgoglioso, il milanese Berlusconi.
Colpito con il simbolo più alto della sua città. Vogliamo leggerci dentro uno stravolto omaggio ? Vogliamo rovesciare la follia del gesto e farlo diventare uno stralunato atto di simpatia: insomma, se ti devo colpire, visto che sei Berlusconi e sei simbolo di Milano 'capitale morale' d’Italia, ti tiro il Duomo. Come se nel gesto del folle, per vie misteriosissime e sfuggenti alle logiche umane normali, figuriamoci alle logiche politiche o faziose, si fosse provveduto a ridire al premier quanto il suo viso c’entri con l’Italia, quanta responsabilità porti nel rappresentare la terra che ha visto nascere i duomi di Milano, di Pisa, di Orvieto, di Firenze, e gli altri mille capolavori che hanno fatto di questo posto il più bello del mondo.
Ora che lo spavento è passato, qui si vuole interpretare poeticamente il gesto sgraziato. E andare oltre la immediata e sacrosanta solidarietà umana al capo del governo e la condanna dell’atto malefico. Il duomo in faccia indica un destino, oltre che 'regalare' diversi dolorosi punti di sutura e necessari interventi odontoiatrici. Il duomo scagliato indica quasi una necessità, come se Berlusconi non possa fare a meno dell’Italia, dell’immagine italiana, quella da facile souvenir, quella popolare, nemmeno quando è usata contro di lui. Certo, i malevoli potrebbero sentenziare, ricordando certe sparate o certi stili del premier: chi di Italia da cartolina ferisce, di Italia da cartolina perisce. Ma più forte credo che sia la lettura del gesto di Tartaglia come uno strano, perverso omaggio.
Non meno del Duomo di Milano ci vuole per colpire il Berlusca. Nel dolore, un onore. Nello sfregio, un omaggio. E un invito. Merita, anche quando viene colpito, di attirare su di sé i segni più alti e duraturi della nostra storia, drammatica e meravigliosa. Come per ribadire la responsabilità alta che il ruolo che oggi ricopre prevede, come per un invito a servire sempre questo Paese perché non diventi 'aiuola feroce' di scontri.
Merita, anche quando viene colpito, di attirare su di sé i segni più alti e duraturi della nostra storia, drammatica e meravigliosa
«Avvenire» del 15 dicembre 2009

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