03 dicembre 2009

Europa, la paura dei musulmani nasce da quell'identità che non c'è più

Dopo il voto sui minareti in Svizzera
di Ian Buruma
La Svizzera ha quattro moschee con minareto e una popolazione di 350 mila musulmani, per lo più europei provenienti dalla Bosnia e dal Kosovo, di cui il 13% circa si reca regolarmente a pregare. Non lo si sarebbe detto un gran problema. Con un recente referendum, il 57,5% dei votanti svizzeri ha però optato per un divieto costituzionale alla costruzione di minareti, apparentemente per timore del «fondamentalismo» e di una strisciante islamizzazione della Svizzera. Gli svizzeri sono più intolleranti degli altri europei? Probabilmente no. I referendum misurano i sentimenti viscerali della popolazione, piuttosto che opinioni ponderate, e i sentimenti viscerali raramente sono liberali. Se si tenesse un referendum del genere in altri Paesi europei, si avrebbe verosimilmente un risultato simile. Attribuire all' islamofobia la messa al bando dei minareti da parte degli svizzeri (un'idea propugnata dal partito di destra svizzero Svp senza la partecipazione di altre forze politiche) sarebbe probabilmente fuori luogo. Una lunga storia di reciproche ostilità tra cristiani e musulmani e i recenti casi di violenza da parte di islamisti radicali hanno sicuramente creato nei confronti dell' islam una diffusa paura che non c'è, ad esempio, verso l' induismo o il buddismo. E il minareto, che sale verso il cielo come un missile, può facilmente divenire in modo distorto l'immagine di questi timori. Se gli svizzeri e gli altri europei avessero maggiori certezze sulla loro identità, sarebbero ancora così spaventati dai cittadini musulmani? Probabilmente no. È da qui che credo nasca il problema. Fino a non molto tempo fa, la maggioranza dei cittadini del mondo occidentale aveva indiscussi simboli di fede e di identità collettiva. Le guglie delle chiese che ancora abbelliscono molte città europee avevano un preciso significato per la maggior parte della gente, e pochi si sposavano con persone di altra religione. In un recente passato, molti europei credevano ai loro re e regine, sventolavano la bandiera, cantavano l'inno nazionale, apprendevano le vicende eroiche della storia nazionale. Il loro Paese era la loro casa. I viaggi all'estero erano riservati ai marinai, ai soldati, ai ricchi. «L'identità» non era ancora vista come un problema. La globalizzazione, il progetto dell' Europa unita, la sconfitta delle aspirazioni nazionaliste in due catastrofiche guerre mondiali e soprattutto la diffusa perdita del sentimento religioso hanno cambiato le cose. La maggior parte di noi vive oggi in un mondo laico, liberale, disincantato. Gli europei sono ora quasi ovunque più liberi di quanto siano mai stati. Non ci viene più detto da preti o da superiori cosa fare o pensare. E se ancora accade, di solito non ce ne curiamo. Questa recente libertà ha però un prezzo. L'affrancamento dalla fede e dalla tradizione non ha sempre prodotto maggiore felicità, ma al contrario è stata spesso causa di un diffuso smarrimento, di timori e risentimenti. Le espressioni di identità collettiva, pur non essendo del tutto scomparse, sono confinate per lo più agli stadi di calcio, dove si trasformano facilmente in violenza e risentimento. I demagoghi populisti attribuiscono alle élite della politica, della cultura e del commercio la colpa delle tensioni del mondo moderno. Esse sono accusate, non senza qualche ragione, di scaricare sull'uomo comune i problemi causati dall' immigrazione di massa, dalla crisi economica e dalla perdita di identità nazionale. Se le élite sono odiate per aver provocato il malessere moderno, i musulmani sono invidiati perché hanno ancora una fede, sanno chi sono, hanno valori per cui vale la pena morire. Non importa che molti musulmani europei siano disincantati e laici come i loro concittadini non musulmani. Quel che conta è la percezione. Gli svettanti minareti e i volti velati rappresentano minacce perché gettano sale sulla ferita di chi soffre la perdita della sua fede. Non è un caso che il populismo anti musulmano abbia trovato alcuni dei suoi adepti più accaniti tra gli ex militanti della sinistra, perché anche loro hanno perso la fede: nella rivoluzione mondiale o in qualcosa di analogo. Molti di loro, tra l'altro, provenivano da famiglie religiose e hanno quindi subito una doppia perdita. Giustificano l'ostilità verso l'islam affermando di difendere «i valori dell'Illuminismo», mentre in realtà lamentano il crollo di un credo. Non c' è, ahimè, una cura immediata al disagio sociale manifestatosi nel referendum svizzero. Il Papa ha una risposta, ovviamente. Vorrebbe che la gente tornasse tra le braccia della Chiesa. Anche i predicatori evangelici hanno una ricetta per la salvezza, e lo stesso vale per i neo conservatori americani. Essi vedono nel malessere europeo una forma della tipica decadenza del Vecchio mondo, uno stato di nichilismo collettivo dovuto al welfare state e a una passiva dipendenza dalla potenza statunitense. Quel che vogliono è ridare slancio al mondo occidentale, guidato dall' America, per combattere con le armi una crociata per la democrazia. Ma nessuna di queste prospettive sembra promettente, a meno di non essere cattolici, evangelici, o neocon. Il meglio che possiamo sperare è piuttosto che le democrazie liberali escano da questo periodo di malessere, che resistano alle tentazioni demagogiche e riescano a contenere gli impulsi violenti. In passato le democrazie hanno superato crisi ben peggiori. Sarebbe meglio, però, se ci fossero meno referendum, perché, al contrario di quanto solitamente si crede, non rafforzano la democrazia ma la indeboliscono, costringendo chi abbiamo eletto ad assecondare i sentimenti viscerali degli arrabbiati anziché governare in modo assennato.
(traduzione di Maria Sepa)
«Corriere della Sera» del 2 dicembre 2009

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