03 dicembre 2009

«L' ateismo ci distrugge: nella Chiesa c'è bisogno di coerenza e credibilità»

Il porporato racconta le sue attività «in pensione». A cominciare da un convegno internazionale dedicato al tema della fede
di Gian Guido Vecchi
I cristiani sono sempre stati una minoranza. E possono diventare davvero minoranza creativa» come ha chiesto spesso Benedetto XVIIl cardinale Ruini: gravi errori anche nell'evangelizzazione La cultura ignora Dio, i fedeli devono essere veri testimoni
«Vede, la testimonianza della fede dev'essere coerente e credibile. Talvolta coloro che pensano d'essere credenti in realtà si illudono, s'ingannano da sé...». Lo studio è affacciato sulle mura vaticane, la Torre di San Giovanni e la Cupola di Michelangelo. Alle sue spalle, posate su una mensola, una foto seppiata dei suoi genitori, il papà medico, la mamma che studiò Lettere, e le immagini di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Libri dappertutto. Il cardinale Camillo Ruini è in piena attività e ha un lampo negli occhi, «io non ho mai avuto paura di andare in pensione», sorride. Difatti, dal 10 al 12 dicembre, il Comitato per il progetto culturale della Cei, da lui presieduto, riunirà a Roma un evento internazionale su Dio. Teologi, filosofi, studiosi, artisti, scienziati. «Sto anche lavorando a un libro su Dio. Penso sarà in libreria nel 2011. Non è facile, ho insegnato per 29 anni e il rischio è di fare il professore, cosa che la gente non gradisce».
Eminenza, il tema del convegno è radicale: «Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto». La situazione è così preoccupante? «È preoccupante sul piano culturale, perché oggi sono molto forti e diffuse, fino ad apparire prevalenti, le tendenze a negare o a ignorare Dio: lo si riduce a un prodotto della nostra mente, del nostro desiderio o della nostra struttura psichica, oppure si sostiene che per via razionale di Dio non si possa conoscere nulla, che lo si possa conoscere solo attraverso una scelta di fede puramente soggettiva. Questo è motivo di preoccupazione per noi».
Le fedi non hanno forse acquistato un peso sempre maggiore nel mondo? «Certamente, è un fatto innegabile. E proprio questo mette a nudo una frattura tra le tendenze prevalenti nella cultura e il sentire della gente: una frattura dannosa per tutti, perché rende la cultura autoreferenziale e alla fine sterile, e perché d'altra parte dà a tanti credenti la sensazione sbagliata e pericolosa che per credere in Dio vadano rifiutati gli sviluppi attuali della storia, ci si debba isolare dalla storia». La sua analisi richiama ciò che scrisse Benedetto XVI, il 10 marzo, nella lettera ai vescovi del mondo: «Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini» e questo ha «effetti distruttivi».
Quali? «Anzitutto, dare all' umanità la sensazione di essere sola nell'universo, abbandonata al cieco divenire del cosmo senza una direzione, uno scopo. Tutto ciò pesa sull'anima delle persone, fa sentire la nostra vita inutile e priva di senso. Ma anche la società e la cultura perdono il loro riferimento decisivo. Se non c'è Dio, l'uomo è soltanto una particella della natura, manipolabile come tutto il resto. Si perde così il riferimento principe della vita sociale, l'idea che l'uomo, come diceva Kant, è sempre un fine cui tendere e mai un mezzo».
C'è un campo nel quale questa emergenza si mostri con particolare evidenza? «Potrei dire che questo nodo di fondo emerge quando gli esseri umani sono trattati in modo puramente funzionale, come semplici strumenti dei quali servirsi, nella bioetica come in campo sociale, politico o economico».
In genere si parla sempre di bioetica... «C'è manipolazione anche nello sfruttamento totale, quando l' uomo viene brutalizzato e trattato come uno strumento di cui servirsi senza pensare alla sua dignità. Ma la questione, in realtà, riguarda tutta la nostra esistenza, non solo alcuni ambiti: il problema di Dio non è settoriale, è una questione globale dell' uomo in quanto tale».
La Chiesa ha sbagliato in qualcosa? «Faccio una premessa: secondo la fede cattolica, la Chiesa è costituita da due dimensioni inseparabili. La prima è fatta degli uomini e delle donne credenti, delle realtà istituzionali che rendono la Chiesa visibile. La seconda si riferisce allo Spirito Santo che la anima. Perciò la Chiesa è una realtà storico-sociale e insieme il corpo mistico di Gesù Cristo. Quando si parla di sbagli, di peccato, è più appropriato riferirsi agli uomini o alle istituzioni della Chiesa, piuttosto che alla Chiesa come tale che è inseparabile da Cristo, dallo Spirito Santo, da Dio».
In questo senso, ci sono state mancanze nell'evangelizzazione, nell' atteggiamento verso il mondo, nell'elaborazione teologica? «Mancanze anche molto gravi ci sono state, ci sono adesso e purtroppo ci saranno in futuro, in ciascuno degli ambiti che ha ricordato. Nel complesso, direi che tali mancanze hanno a che fare con la testimonianza che i credenti hanno dato al Dio in cui crediamo».
In che modo? «Quando il comportamento personale è tanto divergente da ciò che si dovrebbe esprimere nella fede, c'è il rischio che ci sia un'illusione soggettiva. Una sorta di autoinganno. Devi essere coerente e credibile, nella vita, perché la tua testimonianza non appaia agli altri priva di peso, se tu stesso la smentisci. Allo stesso modo, del resto, uno può ritenersi non credente ma in realtà essere molto più vicino alla fede di quanto non pensi».
Che cosa può fare la Chiesa? Basta una riflessione colta di élite culturali? «Non basta certo una riflessione intellettuale. La questione di Dio e della testimonianza da dare a Dio riguarda tutta la vita, non solo la cultura o l'intelligenza. Il nostro convegno è perciò un contributo molto parziale, ma anche molto utile nel momento storico che viviamo».
Il problema principale non sono forse quelli che non pensano affatto? «Quelli che non pensano e ignorano del tutto la questione di Dio e ogni grande domanda dell'esistenza sono senz'altro un grande problema per l'evangelizzazione. Mi chiedo peraltro se persone del genere esistano sul serio: davvero uno non si pone mai le grandi questioni? L'ateismo e l'agnosticismo diffusi nella nostra cultura sono un problema diverso ma non meno grande. Non pensiamo sia residuale: la cultura ha un influsso sulla vita, prima o poi. Se la cultura ti dice che Dio non c'è e tu vuoi crederci, vivi quantomeno una dissociazione in te stesso».
Il Papa, in volo verso Praga, diceva che le «minoranze creative determinano il futuro» e la Chiesa «deve comprendersi come minoranza creativa». È il destino dei cristiani in Europa? «È difficile e rischioso pronunciarsi sul futuro. Dipende dalla libertà di Dio e dalla libertà degli uomini. Ad ogni modo i cristiani, ma cristiani che siano davvero testimoni di Dio, sono sempre stati minoranza. E sì, possono essere minoranza creativa, come ha chiesto spesso Benedetto XVI».
Nel libro «Il caso serio di Dio» lei inizia dalla preghiera. Perché? «Il mio ultimo piccolo libro è una raccolta di quattro interventi da me fatti quest'anno e che ho ritenuto più significativi di altri. Quello sulla preghiera è per me il più importante perché riguarda l'essenziale: è attraverso la preghiera che viviamo più consapevolmente il nostro rapporto con Dio».
Nel libro parla di laicità. Grozio, nel Seicento, pose le basi dell'ordinamento laico dello Stato con un'espressione memorabile: il diritto si basa sulla natura e sarebbe valido «etsi Deus non daretur», anche se Dio non ci fosse. Benedetto XVI, come il predecessore, propone al contrario che ci si orienti «veluti si Deus daretur», come se Dio ci fosse. Non è una negazione della laicità? Uno Stato dovrebbe legiferare «come se Dio ci fosse»? «La laicità richiede distinzione e autonomia reciproca tra lo Stato e la Chiesa, che non sono in pericolo, a mio parere. Ciò che la laicità non richiede è una posizione relativista fatta propria dallo Stato, in forza della quale la legislazione dovrebbe prescindere da ciò che noi siamo, da ogni riferimento alla realtà oggettiva del nostro essere. In questo senso, il "come se Dio ci fosse" non si oppone all' "anche se Dio non ci fosse" di Grozio: piuttosto, è un modo di mantenerlo vivo nell' attuale situazione storica».
In che senso? «Grozio, giustamente, riteneva che nel suo tempo la condivisione dell'approccio culturale portato storicamente dal cristianesimo fosse comune. Da più di un secolo, però, tale presupposto è caduto. Il Novecento, a cominciare dai grandi totalitarismi, è la storia del rifiuto progressivo di ciò che prima era comunemente accettato. La situazione si è rovesciata, Benedetto XVI ne prende atto e cerca di offrire una riposta anche culturale: per questo la sua proposta trova il favore di tanti intellettuali laici».
C'è chi magari sarà stupito: da decenni, eminenza, il suo nome è regolarmente accostato al tema del rapporto tra Chiesa e politica. Ora parla essenzialmente di Dio. «Per più di vent'anni, dal 1986 al 2008, ho avuto precise responsabilità nell'ambito della Chiesa italiana e ho cercato di onorarle. Dopo la "pensione" ho potuto tornare ai temi cui mi dedicavo prevalentemente prima di diventare vescovo: in particolare, allo studio e alla proposta delle ragioni della fede. È quello che di nuovo cerco ora di fare, con piacere personale e anche un po' di entusiasmo».
«Corriere della Sera» del 2 dicembre 2009

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