di Piero Macrì
Siamo tradizionalmente portati a credere che sono i giornali che fanno e faranno l'informazione online. Si discute di un modello di business sostenibile, dell'introduzione di micro-pagamenti, di una formula redazionale che possa rendere più efficiente il processo di creazione e produzione delle notizie su carta e web.
Ma è pur vero che una nuova forma di distribuzione delle notizie è possibile solo attraverso piattaforme tecnologiche ereditate da internet. Motori di ricerca come Google e servizi come Google News rappresentano un modo attraverso il quale avere una sorta di impaginazione delle notizie in stile elettronico. Un ruolo altrettanto complementare potrebbe essere esercitato dai siti di social network come Facebook e MySpace.
Mentre i giornali cercano di evolvere, portando le notizie sui propri portali e configurando i propri spazi per essere il più possibile attraenti nei confronti dei lettori, grazie anche all'innesto di ingredienti multimediali,i grandi aggregatori di notizie, nati attorno alla logica del web, forniscono i mezzi affinchè l'informazione dispersa sulla rete possa essere assemblata secondo i desideri del lettore. Le piattaforme tecnologiche non creano le notizie le catalogano e le assemblano, un servizio che, per quanto possa essere contestato per non riconoscere un valore a coloro che le notizie le creano, potrebbe in qualche modo essere definito come un servizio di pubblica utilità.
Ma accanto alla logica dei motori di ricerca, vi è un altro contesto nato nell'universo di internet che potrebbe modificare radicalmente il mondo dell'informazione. Sono i social network, luoghi dove gli utenti possono condividere esperienze, informazioni e conoscenza. E' il caso di Facebook e Myspace, per citare i più noti., il primo ancor indipendente, il secondo di proprietà di Murdoch. Il loro punto di forza è essere utilizzati da milioni di persone in tutto il mondo e il loro obiettivo è monetizzare o valorizzare economicamente i sottoscirttori del servizio . Facebook ha raggiunto i 300 milioni di utenti . In Italia il tasso di penetrazione del servizio, in rapporto al numero di utenti internet attivi (fonte CIA World Factbook) , è del 26,4% (più o meno 8 milioni di utenti). La crescita trimestrale media nell'ultimo anno è stata di 50 milioni di persone, dimostrando una capacità di attrazione senza uguali.
E poiché nel mondo di internet le notizie, per essere valorizzate e diffuse, hanno necessariamente bisogno di audience di grandi numeri, c'è chi si chiede, come Ben La Mothe, nell'articolo pubblicato su Econsultancy, se Facebook non sia nelle condizioni per diventare il nuovo publisher dell'informazione. La Mothe parte dalla considerazione che la maggioranza degli utenti di Facebook ha un'età compresa tra i 18 e 34 anni, tipicamente persone abituate a ricercare le notizie online, persone che sono abituate all'idea che siano le notizie a trovare loro e non il contrario come vorrebbe la logica della stampa tradizionale. Di fatto già adesso Facebook permette di condividere notizie articoli. Come ampiamente dimostrato Facebook può avere un notevole effetto di propagazione della notizia, basta che venga inserito in rete perché un video, un articolo o altro possa essere visto o letto in base a un meccanismo virale. Ma una risposta, è già nei fatti. Quando Murdoch nel 2005 acquisì Myspace, l'intenzione era sfruttare il potenziale di aggregazione e audience del social network per diffondere contenuti prodotti da News Corp. Tanto è vero che Murdoch in quell'occasione così si espresse:"We have the experience, the brands, the resources, and the know-how to get it done. We have unique content to differentiate ourselves in a world where news is becoming increasingly commoditized."
Certo, Facebook potrebbe evolvere come piattaforma di condivisione dell'informazione, lo è già per sua stessa natura, ma succede in modo spontaneo senza che vi sia ancora una reale strategia orientata in questo senso. Potrebbe prendere in considerazione l'idea di acquisire un giornale, come già era successo per Google, intenzione poi immediatamente rientrata , oppure prestarsi per essere un aggregatore di notizie, mettendo a punto una sorta di servizi alla Google News. Tutti meccansimi che però riprodurrebbero il contenzioso già in atto tra Google ed editori.
Ma l'idea di LaMothe quando si avventura nell'ipotizzare una struttura redazionale in grado di produrre essa stessa, in una sorta di giornalismo dal basso, un'informazione alternativa o complementare ai canali tradizionali, ingaggiando giornalisti professionisti che sono stati in questi ultimi anni estromessi dai giornali, appare poco probabile, se non inverosimile. Le piattaforme tecnologiche nei confronti della nuova informazione prodotta e veicolata su internet sono un mezzo non un fine. Non possono sostituirsi ai giornali ma possono avere delle straordinarie potenzialità per contribuire a una più ampia diffusione dell'informazione a beneficio e vantaggio della stessa stampa tradizionale. L'importante è trovare il meccanismo che possa creare una relazione, anche in termini economici, che soddisfi entrambe le parti.
Ma è pur vero che una nuova forma di distribuzione delle notizie è possibile solo attraverso piattaforme tecnologiche ereditate da internet. Motori di ricerca come Google e servizi come Google News rappresentano un modo attraverso il quale avere una sorta di impaginazione delle notizie in stile elettronico. Un ruolo altrettanto complementare potrebbe essere esercitato dai siti di social network come Facebook e MySpace.
Mentre i giornali cercano di evolvere, portando le notizie sui propri portali e configurando i propri spazi per essere il più possibile attraenti nei confronti dei lettori, grazie anche all'innesto di ingredienti multimediali,i grandi aggregatori di notizie, nati attorno alla logica del web, forniscono i mezzi affinchè l'informazione dispersa sulla rete possa essere assemblata secondo i desideri del lettore. Le piattaforme tecnologiche non creano le notizie le catalogano e le assemblano, un servizio che, per quanto possa essere contestato per non riconoscere un valore a coloro che le notizie le creano, potrebbe in qualche modo essere definito come un servizio di pubblica utilità.
Ma accanto alla logica dei motori di ricerca, vi è un altro contesto nato nell'universo di internet che potrebbe modificare radicalmente il mondo dell'informazione. Sono i social network, luoghi dove gli utenti possono condividere esperienze, informazioni e conoscenza. E' il caso di Facebook e Myspace, per citare i più noti., il primo ancor indipendente, il secondo di proprietà di Murdoch. Il loro punto di forza è essere utilizzati da milioni di persone in tutto il mondo e il loro obiettivo è monetizzare o valorizzare economicamente i sottoscirttori del servizio . Facebook ha raggiunto i 300 milioni di utenti . In Italia il tasso di penetrazione del servizio, in rapporto al numero di utenti internet attivi (fonte CIA World Factbook) , è del 26,4% (più o meno 8 milioni di utenti). La crescita trimestrale media nell'ultimo anno è stata di 50 milioni di persone, dimostrando una capacità di attrazione senza uguali.
E poiché nel mondo di internet le notizie, per essere valorizzate e diffuse, hanno necessariamente bisogno di audience di grandi numeri, c'è chi si chiede, come Ben La Mothe, nell'articolo pubblicato su Econsultancy, se Facebook non sia nelle condizioni per diventare il nuovo publisher dell'informazione. La Mothe parte dalla considerazione che la maggioranza degli utenti di Facebook ha un'età compresa tra i 18 e 34 anni, tipicamente persone abituate a ricercare le notizie online, persone che sono abituate all'idea che siano le notizie a trovare loro e non il contrario come vorrebbe la logica della stampa tradizionale. Di fatto già adesso Facebook permette di condividere notizie articoli. Come ampiamente dimostrato Facebook può avere un notevole effetto di propagazione della notizia, basta che venga inserito in rete perché un video, un articolo o altro possa essere visto o letto in base a un meccanismo virale. Ma una risposta, è già nei fatti. Quando Murdoch nel 2005 acquisì Myspace, l'intenzione era sfruttare il potenziale di aggregazione e audience del social network per diffondere contenuti prodotti da News Corp. Tanto è vero che Murdoch in quell'occasione così si espresse:"We have the experience, the brands, the resources, and the know-how to get it done. We have unique content to differentiate ourselves in a world where news is becoming increasingly commoditized."
Certo, Facebook potrebbe evolvere come piattaforma di condivisione dell'informazione, lo è già per sua stessa natura, ma succede in modo spontaneo senza che vi sia ancora una reale strategia orientata in questo senso. Potrebbe prendere in considerazione l'idea di acquisire un giornale, come già era successo per Google, intenzione poi immediatamente rientrata , oppure prestarsi per essere un aggregatore di notizie, mettendo a punto una sorta di servizi alla Google News. Tutti meccansimi che però riprodurrebbero il contenzioso già in atto tra Google ed editori.
Ma l'idea di LaMothe quando si avventura nell'ipotizzare una struttura redazionale in grado di produrre essa stessa, in una sorta di giornalismo dal basso, un'informazione alternativa o complementare ai canali tradizionali, ingaggiando giornalisti professionisti che sono stati in questi ultimi anni estromessi dai giornali, appare poco probabile, se non inverosimile. Le piattaforme tecnologiche nei confronti della nuova informazione prodotta e veicolata su internet sono un mezzo non un fine. Non possono sostituirsi ai giornali ma possono avere delle straordinarie potenzialità per contribuire a una più ampia diffusione dell'informazione a beneficio e vantaggio della stessa stampa tradizionale. L'importante è trovare il meccanismo che possa creare una relazione, anche in termini economici, che soddisfi entrambe le parti.
«Osservatorio europeo di giornalismo» del 16 ottobre 2009