04 aprile 2007

Viva gli indifferenti. Purché dicano di esserlo

I giudizi su Federico Moccia e le «Liale del Novecento»
di Alberto Bevilacqua
Adorno: «Comunque agisca, l’intellettuale sbaglia». Léon-Paul Fargue: «L’artista contiene l’intellettuale, l’inverso è raramente vero». Intellettuale: termine non da oggi disputabile. Prendendolo a spunto in un recente intervento in queste pagine, mi limitavo a sottolineare la genericità. Nessun malinconico amarcord, dunque. Semmai il rammarico, settoriale, che gli intellettuali confluiscano sempre meno in una «critica» sistematica e non occasionale. Sistema: sentimento del quadro generale, sintonia d’intenti per evitare vuoti, omissioni, personalismi nel contesto storico. Il lassismo consente, ad esempio, che di volta in volta ci si imbatta in liquidazioni (hanno il sapore di sommari colpi di scena) anche degli scrittori di riferimento: Sciascia, Pasolini, Moravia, e via dicendo. Le liquidazioni mi fanno orrore. E ribadisco che la liquidazione che da noi si verificò di Cassola e Bassani, declassati a «Liale», non fu affatto una forma di pensiero e di giudizio più che rispettabile, fu piuttosto una calata in foiba, essendo la fossa scavata non nel fango, ma nel toi e moi per signorine. E non c’era di mezzo il marketing editoriale, con le sue trame di profitto da contrastare. Lo stesso accade con le liquidazioni che oggi serpeggiano, con reazioni intellettuali assai deboli (vizio non solo di casa nostra, visto l’abbattimento del simulacro Hemingway). Ho parlato di alcune «sindromi ombra» degli intellettuali che non fanno muro. Non di giudici killer. Ma invitato a fare esempi, ora ne parlo, ossia parlo di tribunali che adottano la mannaia. Un sole economico, che presume l’intervento di molti nomi. C’è stata forse una reazione adeguata all’elenco delle opere messe all’Indice dell’«Opus Dei»? Un elenco impressionante. Oltre ai contemporanei, anche nostri, malati geni della letteratura mondiale. Non reazioni, piuttosto indifferenza. Citando il caso di Federico Moccia, prescindendo dal discorso su valori e contenuti, parlavo appunto di indifferenza. E mi è piaciuto che Giorgio De Rienzo, uno dei nostri critici più lucidi e coraggiosi nel giudizio, abbia espresso il «diritto dell’indifferenza». D’accordo. Ma a mio avviso quel diritto va, appunto, espresso, non ridotto a non me ne può fregà de meno: tormentone romanesco ben analizzato da Filippo La Porta, nelle sue divagazioni morali sulle frasi fatte. Tanto più che il caso nasce da un vasto fenomeno creato, come dice De Rienzo, da «bisogni di lettrici di facile contentatura o da giovani (deboli) lettori». Se così è, l’indifferenza inespressa impedisce di porre qualche rimedio all’evento di larga portata che coinvolge le nuove generazioni. Leggo che proprio a Mantova, nella rassegna «Qui comincia la lettura» ha trionfato la sadica signora in rosa Carolina Invernizio (e qui non c’entrano affatto le strategie del marketing editoriale). E il fenomeno ha divorato anche il cinema.
«Corriere della sera» del 31 marzo 2007

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