04 aprile 2007

Moccia e gli intellettuali, il solito silenzio

Perché prevale «l’astensione melliflua e pilatesca»
di Alberto Bevilacqua
Intellettuali. Definizione che non ha più classe di appartenenza, non ha più senso se rapportata al potere effettivo di dare pensiero, fare opinione. «Deboli pensatori» già pronosticava Benn. «Intellettuali risibile quinto stato» confermava Manganelli. Siamo a un capolinea. Sul «nazismo» di Heidegger c’è un dibattito francese non intellettualmente conformista o affetto da assopita sudditanza. Contro l’incantamento, quasi una malìa che Heidegger esercitò (specie sugli intellettuali deboli), nonostante l’invito a discuterne di avveduti cattolici e comunisti desiderosi di dialogo. Il riscontro che il dibattito francese sta avendo da noi, ha procurato finalmente qualche fiammata - pro e contro, come si dovrebbe - da parte di portatori d’opinione disposti ed esposti a rivedere certe carte, anche in chiave di perplessità. Bene. Ma poche rondini non fanno primavera. Un tempo, gli intellettuali confluivano, ad esempio, in una struttura critica da cui uscivano attendibili coordinate di giudizio (sui portatori di pensiero e di creatività). Ma oggi? La «critica» da chi è composta? Da soggetti scollegati fra di loro, sollecitati dall’occasionalità, capaci di estromissioni sommarie come di isolati inni fuori dalla completezza della visione. «Menti che osservano solo se stesse», come deprecava Camus, fino al parere spietato di Miguel de Unamuno: «Il mondo intellettuale rischia di dividersi in due classi: da una parte i dilettanti, dall’altra i pedanti». Nemmeno il coraggio di tornare «alla francese» su qualche viltà. Penso, come pretesto, al «caso Moccia». Da noi si verificò la liquidazione di narratori come Bassani e Cassola, bollati di ignominia: «Liala!». Se si accusa spesso di storture la Giustizia di casa nostra, non fu quella una vergognosa stortura? Una fucilazione esecrabile, dettata da un’animosa quanto confusa velleità alternativa? Un periodo di cui si allestivano, a lato, le basi del terrorismo pseudopolitico. Gli iscritti di Liala stemperavano un toi et moi di vecchia, languida ascendenza che aveva riscontro nel fantasma idillico delle signorine sognanti. Moccia - non valuto che i suoi inizi - l’hanno preteso fasce giovanili, imponendosi con un’attuale grinta di aggregazione. Lodevole o l’opposto? Gli «intellettuali» non si pronunciano, con l’astensione melliflua e pilatesca che è frutto del loro essere. Ma allora? L’opinione si è ridotta, ormai, a una forza d’urto d’altra estrazione, sconveniente o no che sia? Il potere del giudizio - ironizzava Flaviano - è una delle fonti di soddisfazione dei popoli decaduti. Che sia davvero così?
«Corriere della sera» del 21 marzo 2007

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