06 febbraio 2007

Una Italia divisa in tre

Luca Ricolfi spiega perché le scelte del governo stanno portando il Paese verso la spaccatura
di Piero Ostellino
«Garantita», «illegale», «a rischio»: sempre più lontane
Luca Ricolfi è un «uomo tranquillo», un pacifico e metodico sociologo torinese. Ma ogni volta che leggo un suo scritto - si tratti di un editoriale sulla «Stampa», di un saggio su «Polena», la rivista che dirige, o di un libro - a me sembra Clint Eastwood nei film western diretti da Sergio Leone. Poche chiacchiere e tanti fatti. Se il governo - quale ne sia il colore - trucca le carte, Luca Eastwood estrae. Invece della rivoltella, il computer, caricato di rilevazioni, statistiche e dati di fatto. Ma il risultato è lo stesso. Pam, pam. Il baro è steso, bello che stecchito. Ci siamo conosciuti qualche anno fa e, come si dice, ci siamo subito presi. Lui di matrice di sinistra, io di matrice liberale, ci siamo incontrati «altrove». Nella fertile prateria della metodologia empirica della conoscenza e dell’individualismo metodologico. Assieme ad alcuni giovani studiosi, abbiamo dato vita alla Fondazione David Hume. Io non ho chiesto a Luca, a Nicola, Raffaella, Pierluigi dalla parte di chi stanno nello schieramento politico, per chi votano; loro non l’hanno chiesto a me (anche perché già sapevano che non voto, che sto dalla parte di chiunque accresca le opportunità di libertà, al plurale, degli individui e dei loro diritti naturali soggettivi). Così, della Legge di Hume abbiamo fatto la nostra comune parola d’ordine: non si passa dall’essere al dover essere, da una proposizione descrittiva a una prescrittiva, perché è un salto logico dall’empirismo del «senso comune» all’utopismo della «volontà generale». Insomma, siamo e ci sentiamo culturalmente più figli dell’Illuminismo scozzese, empirico, scettico e tollerante delle «virtù sociali» - i cui prodromi già erano aleggiati sulla «gloriosa rivoluzione» inglese del 1688, e che avrebbe poi accompagnato la nascita degli Stati Uniti nel 1776 (lo stesso anno della pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith) - che dell’Illuminismo razionalista francese, ideologico, dogmatico, degenerato poi nel Terrore e nei totalitarismi del Novecento. Adesso, arriva nelle librerie il nuovo libro di Luca Ricolfi-Clint Eastwood: Le tre società. È ancora possibile salvare l’unità d’Italia? (edizioni Guerini e Associati, pagine 174, 15,50). Le tre società di Ricolfi sono: 1) quella delle garanzie (di cui fanno parte i pensionati, i dipendenti pubblici, gli operai e gli impiegati delle grandi imprese; per intenderci, gli italiani scarsamente esposti ai rischi del mercato e protetti dalle organizzazioni sindacali); 2) quella del rischio (di cui fanno parte gli artigiani, i commercianti, i piccoli imprenditori, i dipendenti di questi ultimi, gli occupati atipici, i lavoratori irregolari e i disoccupati); per intenderci, gli italiani esposti sia agli alti e bassi del mercato sia alle vessazioni dello Stato; 3) quella della forza (fondata sul controllo dell’economia e del territorio da parte della criminalità organizzata e sulle clientele, gli abusi e i favori della politica locale). La tesi del libro: «È difficile pensare a uno sviluppo del sistema Italia che continui a ignorare, eludere, sacrificare o penalizzare le richieste liberiste della seconda società, se non altro perché essa è una delle colonne portanti del nostro modo di produrre. (...) Nello stesso tempo è difficile che i territori in cui la seconda società è più radicata, a cominciare da molte regioni del Nord, accettino in eterno l’invadenza e l’inefficienza degli apparati pubblici: tanta burocrazia, tantissime tasse, servizi mediocri, giustizia lenta, infrastrutture inadeguate». Insomma, il governo di centrosinistra, invece che unire il Paese - che il governo di centrodestra avrebbe diviso, rivelandosi, in ogni caso, incapace di rispondere alla domanda di efficienza della seconda società - rischia di accrescerne le divisioni. Hanno bloccato la Tav; confiscato il Tfr; sono generosi con gli impiegati pubblici e avari con gli operai e gli impiegati privati; sensibilissimi a «ogni stormir di sindacalista, ma indifferenti al popolo dei Cipputi»; attenti agli equilibri dei salotti buoni, ma lontani dalla moltitudine delle partite Iva. «E soprattutto - scrive Ricolfi, confermando la diagnosi del suo libro precedente sui vizi della sinistra - supponenti, paternalistici, ubiqui, onnipresenti in ogni più piccolo recesso della vita economica». Pam, pam, pam. I bari cadono stecchiti l’uno dopo l’altro sotto i colpi di Luca Ricolfi-Clint Eastwood - dal governo «liberale» del Cavaliere, che avrebbe dovuto sanare i conti pubblici e li ha peggiorati (salvo che nell’ultima Finanziaria), a quello «progressista» di Prodi con la sua «presa per il cuneo» (del quale ha goduto «un lavoratore su quattro ad essere generosi») - in una girandola di rilevazioni, statistiche e dati di fatto. Ce ne fossero uomini di sinistra (e liberali) così.
«Corriere della sera» del 4 febbraio 2007

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