di James Bradburne
«Tua figlia erediterà il tuo Tablet?» è il titolo dell’intervento che James Bradburne, da un anno direttore della Pinacoteca di Brera, terrà venerdì 9 settembre al III Festival della Comunicazione di Camogli, ideato e diretto da Rosangela Bonsignorio e Danco Singer e organizzato dal Comune e da Frame, in collaborazione con la Regione Liguria (www.festivalcomunicazione.it). Quattro giornate con oltre un centinaio di appuntamenti tra incontri, laboratori, spettacoli, mostre ed escursioni e più di 130 ospiti (tra cui Luca Doninelli, Claudio Magris, Pietrangelo Buttafuoco, Andrea De Carlo, Paolo Giordano, Massimiliano Fuksas, Claudio Bisio , Michele Serra, Evgenij Morozov. Sabino Cassese, Lucrezia Reichlin, Monica Maggioni, Carlo Freccero, Piero Angela, Mario Calabresi, Aldo Cazzullo, Roberto Cotroneo, Ferruccio de Bortoli, Massimo Gramellini, Aldo Grasso, Beppe Severgnini, Marco Travaglio...). A tema il world wide web e in particolare la domanda «Pro e contro il web», secondo uno spunto lanciato da Umberto Eco. Durante il Festival Roberto Benigni riceverà il premio «Comunicazione».
Da anni mi interrogo sulle conseguenze della rivoluzione digitale sia nella vita privata che nel mondo del lavoro e alla triennale Icom del 1991 ho tenuto la mia prima conferenza sulle sfide del mondo museale nella conservazione dell’eredità digitale. Sono uno studioso e un bibliofilo e, per una felice coincidenza, sono anche il direttore generale della Biblioteca nazionale braidense. Dagli albori della cultura umana, la parola e l’immagine sono avvinte in un abbraccio dialettico di yin e yang in cui nessuna delle due è del tutto indipendente. Il Mouseion di Alessandria, eretto da Tolomeo II Filadelfo intorno al 280 a.C. includeva la famosa Biblioteca di Alessandria. Non dovrebbe quindi sorprendere il mio profondo interesse per il futuro del libro, della lettura e delle biblioteca.
E di questi tre elementi vorrei parlare oggi. Incomincerò dal libro. Che cosa rende il libro speciale, a prescindere dai contenuti? Innanzitutto il libro, così come lo conosciamo oggi, il codex, ha dato il via a una delle rivoluzioni tecnologiche più significative dei suoi tempi, perché permetteva al lettore di muoversi avanti e indietro nel testo senza dover riavvolgere la pergamena. A distruggere la Biblioteca di Alessandria non fu il fuoco, ma il fatto che i fragili e ingombranti rotoli di papiro non fossero stati trascritti. Allo stesso modo, frammenti importanti nostro passato sono andati persi perché i contenuti dei dischi in vinile non sono stati trasferiti su nastro, su Cd o digitalizzati. Nonostante questi rischi, i libri, in pergamena o di carta, rimangono manufatti molto duraturi.
Resistono bene alle ingiurie del tempo e hanno bisogno soltanto delle tecnologie più semplici come un dizionario e una grammatica per essere decodificati. Portano la loro età con dignità, persino con orgoglio. Annotazioni, cancellature, danni, ingiallimenti dovuti alla fiamma o alla luce solare, persino tarli e muffa raramente distruggono un libro, anzi rendono il libro profondamente diverso dal tablet. I tablet sono belli perché perfetti, contenitori gioiello, capolavori di ingegneria, la cui virtù consiste nell’essere costantemente al passo con i tempi, nel non registrare il passare del tempo. Un tablet con uno schermo incrinato non diventa più affascinante e prezioso, un tablet che non è più in grado di accedere ai file scritti anche solo pochi anni prima non ci è per questo più caro.
Un tablet che può contenere un migliaio di libri interattivi non ha lo stesso valore affettivo delle favole di Gianni Rodari che tua madre ti leggeva da piccolo. Arriviamo così al secondo punto: che cosa significa leggere? In passato i libri erano spesso letti ad alta voce. Quando un erudito del II secolo d.C andava a trovare un amico al mare, portava con sé un libro che di solito veniva dato a uno schiavo perché venisse trascritto e poi restituito. Il libro era letto ad alta voce, analizzato e discusso. Proprio perché letto ad alta voce, veniva utilizzata la scripta continua, un’ininterrotta sequenza di lettere. Le parole, infatti, furono un’invenzione di alcuni monaci irlandesi dell’VIII secolo che avevano fatto il voto del silenzio. Leggere era un atto sociale fondamentale, costruttivo.
Nella lettura, la semplice informazione diventava conoscenza. Facendo giganteschi balzi in avanti, la rivoluzione digitale recente sembra averci portato molto indietro. Invece di leggere ad alta voce, i genitori danno ai loro figli dei tablet. L’interazione faccia a faccia è diventata un’interazione anonima con un dispositivo. Invece di essere creatori attivi di contenuti e discorsi, siamo diventati semplici consumatori di notizie, brevi frasi dal forte impatto mediatico in televisione e tweet su uno schermo. Come osservato da Leon Wieseltier nel 2013, «nell’universo digitale, la conoscenza è diventata pura informazione. Chi saprà ancora che la conoscenza sta all’informazione come l’arte sta al kitsch, che l’informazione è il tipo più infimo di conoscenza, dato che è il più esteriore?
Un grande pensatore ebreo del primo Medioevo si chiedeva perché Dio se davvero avesse voluto che conoscessimo la verità su tutto, non ci dicesse semplicemente la verità su tutto. La sua saggia risposta fu che se ci avesse semplicemente detto ciò che abbiamo bisogno di sapere, noi non l’avremmo conosciuto davvero, in senso stretto. La conoscenza può essere acquisita soltanto con il tempo e con il metodo». È legittimo chiedersi come tutto questo possa influenzare la nostra capacità di essere coinvolti nei rapporti umani, la nostra partecipazione come cittadini attivi al dibattito sociale sul futuro di un mondo che ci sta lentamente sfuggendo di mano. I media 'social' hanno creato un mondo che è sempre meno sociale. Clicco, quindi sono.
La conoscenza senza sforzo. 142 caratteri. «Mi piace» Greenpeace. La politica… della distrazione. Questo ci porta alla terza e ultima riflessione: perché le biblioteche sono importanti nell’era digitale? Anche se condividono molte caratteristiche, la cultura della biblioteca non è identificabile tout court con la cultura del museo e una biblioteca non è semplicemente un museo di libri. Oltre ad essere un luogo di raccolta e conservazione, le biblioteche sono istituzioni molto attive sul territorio, da sempre luoghi di dibattito, discussione e dialogo. La biblioteca è una casa per lo scrittore e scrivere è una forma di attivismo sociale che lega gli scrittori del passato e del presente ai lettori del presente e del futuro in una grande repubblica delle lettere. La lettura e la scrittura sono infatti intimamente legate, più di qualsiasi altro mezzo di comunicazione culturale.
Vedere un film al cinema non implica che si sia in grado di girarne uno, ammirare Raffaello non significa che si sappia dipingere; giocare a Grand Theft Auto III non mi dà la capacità di inventare un videogioco. Posso essere coinvolto, commosso, o persino interagire, ma non sono un creatore. Leggere e scrivere sono diversi. Se so leggere, so scrivere – le due abilità sono indissolubilmente connesse. La biblioteca deve abbracciare per la sua natura sia il mondo del libro stampato che quello digitale, senza esitazioni né reticenze – questo non è il tempo per un nuovo, nostalgico movimento Arts and Crafts (delle arti e dei mestieri). La biblioteca deve essere un centro di produzione, un campione di cultura del saper fare, un posto dove le menti siano libere, curiose, e critiche.
La biblioteca è il luogo dove dobbiamo reclamare il nostro diritto come cittadini di essere produttori di cultura, non solo consumatori, ed estendere il nostro diritto a tutti i mezzi di comunicazione, alla musica, ai film, al teatro, alla danza, ai videogiochi. Dobbiamo stabilire nuovamente una connessione tra la parola e l’immagine, riappropriandoci del piacere della creazione. Il libro, la lettura e le biblioteche costituiscono il nucleo, sono l’essenza e la sostanza stessa di questa ambizione.
Da anni mi interrogo sulle conseguenze della rivoluzione digitale sia nella vita privata che nel mondo del lavoro e alla triennale Icom del 1991 ho tenuto la mia prima conferenza sulle sfide del mondo museale nella conservazione dell’eredità digitale. Sono uno studioso e un bibliofilo e, per una felice coincidenza, sono anche il direttore generale della Biblioteca nazionale braidense. Dagli albori della cultura umana, la parola e l’immagine sono avvinte in un abbraccio dialettico di yin e yang in cui nessuna delle due è del tutto indipendente. Il Mouseion di Alessandria, eretto da Tolomeo II Filadelfo intorno al 280 a.C. includeva la famosa Biblioteca di Alessandria. Non dovrebbe quindi sorprendere il mio profondo interesse per il futuro del libro, della lettura e delle biblioteca.
E di questi tre elementi vorrei parlare oggi. Incomincerò dal libro. Che cosa rende il libro speciale, a prescindere dai contenuti? Innanzitutto il libro, così come lo conosciamo oggi, il codex, ha dato il via a una delle rivoluzioni tecnologiche più significative dei suoi tempi, perché permetteva al lettore di muoversi avanti e indietro nel testo senza dover riavvolgere la pergamena. A distruggere la Biblioteca di Alessandria non fu il fuoco, ma il fatto che i fragili e ingombranti rotoli di papiro non fossero stati trascritti. Allo stesso modo, frammenti importanti nostro passato sono andati persi perché i contenuti dei dischi in vinile non sono stati trasferiti su nastro, su Cd o digitalizzati. Nonostante questi rischi, i libri, in pergamena o di carta, rimangono manufatti molto duraturi.
Resistono bene alle ingiurie del tempo e hanno bisogno soltanto delle tecnologie più semplici come un dizionario e una grammatica per essere decodificati. Portano la loro età con dignità, persino con orgoglio. Annotazioni, cancellature, danni, ingiallimenti dovuti alla fiamma o alla luce solare, persino tarli e muffa raramente distruggono un libro, anzi rendono il libro profondamente diverso dal tablet. I tablet sono belli perché perfetti, contenitori gioiello, capolavori di ingegneria, la cui virtù consiste nell’essere costantemente al passo con i tempi, nel non registrare il passare del tempo. Un tablet con uno schermo incrinato non diventa più affascinante e prezioso, un tablet che non è più in grado di accedere ai file scritti anche solo pochi anni prima non ci è per questo più caro.
Un tablet che può contenere un migliaio di libri interattivi non ha lo stesso valore affettivo delle favole di Gianni Rodari che tua madre ti leggeva da piccolo. Arriviamo così al secondo punto: che cosa significa leggere? In passato i libri erano spesso letti ad alta voce. Quando un erudito del II secolo d.C andava a trovare un amico al mare, portava con sé un libro che di solito veniva dato a uno schiavo perché venisse trascritto e poi restituito. Il libro era letto ad alta voce, analizzato e discusso. Proprio perché letto ad alta voce, veniva utilizzata la scripta continua, un’ininterrotta sequenza di lettere. Le parole, infatti, furono un’invenzione di alcuni monaci irlandesi dell’VIII secolo che avevano fatto il voto del silenzio. Leggere era un atto sociale fondamentale, costruttivo.
Nella lettura, la semplice informazione diventava conoscenza. Facendo giganteschi balzi in avanti, la rivoluzione digitale recente sembra averci portato molto indietro. Invece di leggere ad alta voce, i genitori danno ai loro figli dei tablet. L’interazione faccia a faccia è diventata un’interazione anonima con un dispositivo. Invece di essere creatori attivi di contenuti e discorsi, siamo diventati semplici consumatori di notizie, brevi frasi dal forte impatto mediatico in televisione e tweet su uno schermo. Come osservato da Leon Wieseltier nel 2013, «nell’universo digitale, la conoscenza è diventata pura informazione. Chi saprà ancora che la conoscenza sta all’informazione come l’arte sta al kitsch, che l’informazione è il tipo più infimo di conoscenza, dato che è il più esteriore?
Un grande pensatore ebreo del primo Medioevo si chiedeva perché Dio se davvero avesse voluto che conoscessimo la verità su tutto, non ci dicesse semplicemente la verità su tutto. La sua saggia risposta fu che se ci avesse semplicemente detto ciò che abbiamo bisogno di sapere, noi non l’avremmo conosciuto davvero, in senso stretto. La conoscenza può essere acquisita soltanto con il tempo e con il metodo». È legittimo chiedersi come tutto questo possa influenzare la nostra capacità di essere coinvolti nei rapporti umani, la nostra partecipazione come cittadini attivi al dibattito sociale sul futuro di un mondo che ci sta lentamente sfuggendo di mano. I media 'social' hanno creato un mondo che è sempre meno sociale. Clicco, quindi sono.
La conoscenza senza sforzo. 142 caratteri. «Mi piace» Greenpeace. La politica… della distrazione. Questo ci porta alla terza e ultima riflessione: perché le biblioteche sono importanti nell’era digitale? Anche se condividono molte caratteristiche, la cultura della biblioteca non è identificabile tout court con la cultura del museo e una biblioteca non è semplicemente un museo di libri. Oltre ad essere un luogo di raccolta e conservazione, le biblioteche sono istituzioni molto attive sul territorio, da sempre luoghi di dibattito, discussione e dialogo. La biblioteca è una casa per lo scrittore e scrivere è una forma di attivismo sociale che lega gli scrittori del passato e del presente ai lettori del presente e del futuro in una grande repubblica delle lettere. La lettura e la scrittura sono infatti intimamente legate, più di qualsiasi altro mezzo di comunicazione culturale.
Vedere un film al cinema non implica che si sia in grado di girarne uno, ammirare Raffaello non significa che si sappia dipingere; giocare a Grand Theft Auto III non mi dà la capacità di inventare un videogioco. Posso essere coinvolto, commosso, o persino interagire, ma non sono un creatore. Leggere e scrivere sono diversi. Se so leggere, so scrivere – le due abilità sono indissolubilmente connesse. La biblioteca deve abbracciare per la sua natura sia il mondo del libro stampato che quello digitale, senza esitazioni né reticenze – questo non è il tempo per un nuovo, nostalgico movimento Arts and Crafts (delle arti e dei mestieri). La biblioteca deve essere un centro di produzione, un campione di cultura del saper fare, un posto dove le menti siano libere, curiose, e critiche.
La biblioteca è il luogo dove dobbiamo reclamare il nostro diritto come cittadini di essere produttori di cultura, non solo consumatori, ed estendere il nostro diritto a tutti i mezzi di comunicazione, alla musica, ai film, al teatro, alla danza, ai videogiochi. Dobbiamo stabilire nuovamente una connessione tra la parola e l’immagine, riappropriandoci del piacere della creazione. Il libro, la lettura e le biblioteche costituiscono il nucleo, sono l’essenza e la sostanza stessa di questa ambizione.
«Avvenire» del 31 agosto 2016
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