La natura insegna ma l'uomo impara?
di Maurizio Patriciello
Gli uomini: eterni scolari di una maestra che non si stanca mai di fare il suo dovere. Di notte e di giorno, d’inverno e d’estate, la vita ci insegna come fare per arrivare al traguardo nel migliore dei modi. Così da secoli. Le lezioni sono tante e tra loro diversissime. Progressi ne abbiamo fatti. Ci siamo spinti sempre oltre. Abbiamo sconfitto mostri che ai nostri antenati facevano paura.
C’è però una lezione alla quale gli studenti non vanno molto volentieri. Eppure è alla base del loro vero progresso. Una lezione che a prima vista sembrerebbe secondaria. Un corso facoltativo e senza obbligo di esame. L’aula non è mai strapiena, a volte, invece, è affollatissima. Nei giorni dolorosi e tragici gli studenti si ammassano alla porta. In quell’aula si insegna l’umiltà. Umiltà: termine desueto. Sentimento che poche volte va di moda. Eppure essere umili è l’unica possibilità che abbiamo per non rischiare di correre invano. L’umiltà, infatti, è l’altra faccia della verità.
Cristo, la Verità fatta carne, disse di essere «mite e umile di cuore» e ci consigliò di imparare da lui. Umiltà è ammettere di essere fragili, mortali. Umiltà vuol dire riconoscere di non bastare a noi stessi. Non siamo 'indipendenti'. Abbiamo bisogno di pane e affetto; amicizia e stima; amore e mete da raggiungere. L’umiltà ti porta a non barare mai. A essere vero, trasparente, schietto, anche quando non sei compreso. Ad andare per la tua strada anche quando sarai lasciato solo. La nostra vita è segnata dal peccato originale.
Un mistero, senza il quale il cristianesimo sbiadisce, perde il suo fascino e anche il suo mordente. Mistero che ognuno, però, sperimenta in se stesso. La realtà è ambigua. «C’è in me il desiderio del bene ma non la capacità di attuarlo... quando voglio fare il bene, il male è accanto a me», scrive san Paolo. L’uomo è libero. Stupendamente e tragicamente libero di fare il bene o il male. Di donare la vita o distruggerla. La Parola di Dio non ce lo ha nascosto. La Chiesa ce lo ha ripetuto fin dalla prima infanzia. Gli uomini sono feriti dalla colpa delle origini. La vittoria, però, è già nostra. Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. Questa è la notizia bella. A una condizione, però: se lo vogliamo. Entra in gioco la nostra volontà. La lotta contro il male – che, tradotto, va sotto i nomi blasfemi di egoismo, avarizia, orgoglio, superbia, vanità, invidia, gelosia – può essere vinta solo se lo vogliamo. Viceversa, potrebbe anche portarci al fallimento.
«Alcuni uomini che sembravano seguire una condotta sublime, caddero nel più basso; e chi mangiava il pane degli angeli l’ho visto compiacersi delle ghiande dei porci» scrive l’autore dell’Imitazione di Cristo. Qualcuno ha detto che la storia dell’umanità è la storia di una guerra intervallata da momenti di pace. È triste ammetterlo, ma non ha tutti i torti. La storia dell’umanità, però, è anche storia di santità, altruismo, abnegazione, solidarietà, fratellanza. Storia di persone che hanno illuminato i giorni loro e quelli dei secoli che sono venuti e che verranno dopo. Madre Teresa di Calcutta, Agostino di Ippona, Francesco d’Assisi, Giovanni Bosco, Massimiliano Kolbe, Giovanni Paolo II e mille altri ce lo confermano. Non c’è santità senza umiltà.
Non c’è stato un santo che non abbia dubitato di se stesso e si sia gettato nelle braccia del buon Dio. Napoli è bella. È vero. La montagna che si erge sullo sfondo e incornicia il mare incanta il mondo. Napoli è bella e tragica. Tragicamente bella. Stupendamente tragica. Quel monte, infatti, fa paura. È un vulcano attivo. I napoletani lo sanno bene ma fingono di non saperlo. E tirano a campare. Quella montagna ha fatto piangere lacrime di sangue ai loro antenati tante e tante volte. Ha una forza di distruzione spaventosa, quel gigante così bello da vedere. I napoletani non gli hanno voluto bene. E il gigante, bistrattato, da amico potrebbe trasformarsi, ancora una volta, in un terribile nemico.
Ricordiamolo mentre piangiamo le vittime dell’ennesimo terremoto. Il Vesuvio obbedisce a leggi alle quali non potrà mai venire meno. Dopo tante eruzioni disastrose – ultima quella del 1944 – era il caso di continuare a costruire alle sue falde? No, assolutamente. Eppure le case arrivano a lambire la sua bocca. Bocca di fuoco e di veleni. Possiamo mettere al sicuro i nostri figli? Certamente, basta volerlo. Con competenza, volontà e immensa umiltà. Non dobbiamo cedere alla tentazione di sfidare la natura, ma a quella di diventarle amici. Non è bene ignorare i problemi. Se ci sono, occorre affrontarli, discuterli, risolverli. Con determinazione. Facciamolo. In ogni campo. Iscriviamoci a quel corso opzionale tanto poco frequentato nei momenti di benessere e di serenità.
Affolliamo l’aula dove si insegna l’umiltà. È l’unica virtù che ci fa veramente, completamente, misteriosamente uomini. Capaci di ragionare e amare. Condividere e gioire. Giocare e lavorare. Capaci di contemplare il Creato e, commossi e riconoscenti, sussurrare: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?».
C’è però una lezione alla quale gli studenti non vanno molto volentieri. Eppure è alla base del loro vero progresso. Una lezione che a prima vista sembrerebbe secondaria. Un corso facoltativo e senza obbligo di esame. L’aula non è mai strapiena, a volte, invece, è affollatissima. Nei giorni dolorosi e tragici gli studenti si ammassano alla porta. In quell’aula si insegna l’umiltà. Umiltà: termine desueto. Sentimento che poche volte va di moda. Eppure essere umili è l’unica possibilità che abbiamo per non rischiare di correre invano. L’umiltà, infatti, è l’altra faccia della verità.
Cristo, la Verità fatta carne, disse di essere «mite e umile di cuore» e ci consigliò di imparare da lui. Umiltà è ammettere di essere fragili, mortali. Umiltà vuol dire riconoscere di non bastare a noi stessi. Non siamo 'indipendenti'. Abbiamo bisogno di pane e affetto; amicizia e stima; amore e mete da raggiungere. L’umiltà ti porta a non barare mai. A essere vero, trasparente, schietto, anche quando non sei compreso. Ad andare per la tua strada anche quando sarai lasciato solo. La nostra vita è segnata dal peccato originale.
Un mistero, senza il quale il cristianesimo sbiadisce, perde il suo fascino e anche il suo mordente. Mistero che ognuno, però, sperimenta in se stesso. La realtà è ambigua. «C’è in me il desiderio del bene ma non la capacità di attuarlo... quando voglio fare il bene, il male è accanto a me», scrive san Paolo. L’uomo è libero. Stupendamente e tragicamente libero di fare il bene o il male. Di donare la vita o distruggerla. La Parola di Dio non ce lo ha nascosto. La Chiesa ce lo ha ripetuto fin dalla prima infanzia. Gli uomini sono feriti dalla colpa delle origini. La vittoria, però, è già nostra. Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. Questa è la notizia bella. A una condizione, però: se lo vogliamo. Entra in gioco la nostra volontà. La lotta contro il male – che, tradotto, va sotto i nomi blasfemi di egoismo, avarizia, orgoglio, superbia, vanità, invidia, gelosia – può essere vinta solo se lo vogliamo. Viceversa, potrebbe anche portarci al fallimento.
«Alcuni uomini che sembravano seguire una condotta sublime, caddero nel più basso; e chi mangiava il pane degli angeli l’ho visto compiacersi delle ghiande dei porci» scrive l’autore dell’Imitazione di Cristo. Qualcuno ha detto che la storia dell’umanità è la storia di una guerra intervallata da momenti di pace. È triste ammetterlo, ma non ha tutti i torti. La storia dell’umanità, però, è anche storia di santità, altruismo, abnegazione, solidarietà, fratellanza. Storia di persone che hanno illuminato i giorni loro e quelli dei secoli che sono venuti e che verranno dopo. Madre Teresa di Calcutta, Agostino di Ippona, Francesco d’Assisi, Giovanni Bosco, Massimiliano Kolbe, Giovanni Paolo II e mille altri ce lo confermano. Non c’è santità senza umiltà.
Non c’è stato un santo che non abbia dubitato di se stesso e si sia gettato nelle braccia del buon Dio. Napoli è bella. È vero. La montagna che si erge sullo sfondo e incornicia il mare incanta il mondo. Napoli è bella e tragica. Tragicamente bella. Stupendamente tragica. Quel monte, infatti, fa paura. È un vulcano attivo. I napoletani lo sanno bene ma fingono di non saperlo. E tirano a campare. Quella montagna ha fatto piangere lacrime di sangue ai loro antenati tante e tante volte. Ha una forza di distruzione spaventosa, quel gigante così bello da vedere. I napoletani non gli hanno voluto bene. E il gigante, bistrattato, da amico potrebbe trasformarsi, ancora una volta, in un terribile nemico.
Ricordiamolo mentre piangiamo le vittime dell’ennesimo terremoto. Il Vesuvio obbedisce a leggi alle quali non potrà mai venire meno. Dopo tante eruzioni disastrose – ultima quella del 1944 – era il caso di continuare a costruire alle sue falde? No, assolutamente. Eppure le case arrivano a lambire la sua bocca. Bocca di fuoco e di veleni. Possiamo mettere al sicuro i nostri figli? Certamente, basta volerlo. Con competenza, volontà e immensa umiltà. Non dobbiamo cedere alla tentazione di sfidare la natura, ma a quella di diventarle amici. Non è bene ignorare i problemi. Se ci sono, occorre affrontarli, discuterli, risolverli. Con determinazione. Facciamolo. In ogni campo. Iscriviamoci a quel corso opzionale tanto poco frequentato nei momenti di benessere e di serenità.
Affolliamo l’aula dove si insegna l’umiltà. È l’unica virtù che ci fa veramente, completamente, misteriosamente uomini. Capaci di ragionare e amare. Condividere e gioire. Giocare e lavorare. Capaci di contemplare il Creato e, commossi e riconoscenti, sussurrare: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?».
«Avvenire» del 3 settembre 2016
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