Prospettive diverse
di Paul Berman
Il principio della laïcité, che ha portato al divieto del «burkini», non viene capito negli Stati Uniti pur essendo perfettamente comprensibile. È il principio jeffersoniano della divisione tra stato e chiesa: a prescindere da quanto facciano le chiese, lo stato americano resta strettamente non religioso
Quella che segue è una sintesi dell’articolo di Paul Berman pubblicato dalla rivista «Tablet»
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Cannes, Nizza e una decina di altre cittadine balneari in Francia hanno appena varato il divieto di indossare in spiaggia il burkini islamico, ovvero il costume da bagno femminile che copre tutto il corpo. Di conseguenza, e com’era prevedibile, assistiamo a una reazione di sgomento tipicamente americano, di stampo tradizionale e per certi versi persino folkloristico, nei confronti della Francia e della sua antipatia verso alcuni tipi di abbigliamento islamico. Lo sconcerto americano, da un decennio a questa parte, affonda le radici su un unico presupposto, immutabile e incontestato, come se nulla fosse cambiato in questi ultimi anni, e come se non fossero emersi nuovi dati.
Il presupposto è che la Francia voglia dettare norme in fatto di abbigliamento islamico perché i francesi nutrono in sostanza un forte pregiudizio nei confronti della loro minoranza musulmana. Tuttavia, l’interpretazione americana riconosce una complicazione aggiuntiva, e cioè: i francesi, che sono incorreggibili razzisti, non sembrano credere di esserlo. Al contrario, si sono convinti che, nel regolare l’abbigliamento islamico, si stiano comportando in modo straordinariamente illuminato, seguendo addirittura un principio così elevato ed ineffabile che solo il popolo francese è in grado di capirlo. Tale principio è un’assurdità tutta francese, la quale, nella sua raffinatissima nobiltà, non può essere tradotta nel vernacolo inglese, ma deve per forza esprimersi in un vocabolo francese incomprensibile, impronunciabile e intraducibile: la laïcité.
In realtà, laïcité è perfettamente traducibile, significa secolarismo. Non c’è motivo di ricorrere al termine francese nel mondo anglosassone. È un concetto perfettamente comprensibile. È il principio jeffersoniano del muro di divisione tra stato e chiesa, in versione francese. Il principio jeffersoniano in America significa che, a prescindere da quanto facciano o vogliano proclamare le chiese, lo stato americano resta strettamente non religioso. La versione francese è identica. La scuola pubblica, per esempio, non deve diventare terreno di conquista delle chiese – o degli imam islamisti, nella situazione attuale.
Il secolarismo repubblicano non è, dopo tutto, solo un concetto negativo, il cui unico scopo è quello di tenere alla larga il fanatismo religioso. Il secolarismo repubblicano è un principio positivo, capace di offrire qualcosa all’individuo. È questo il principio della cittadinanza. Nella sua versione francese, il secolarismo repubblicano dice a ciascun individuo: i «diritti dell’uomo e del cittadino» sono i tuoi diritti, indipendentemente da quanto vadano proclamando le chiese. L’ideale repubblicano francese, nel suo secolarismo, è qualcosa di più grande ed emozionante di qualunque cosa possano offrire gli islamisti. L’ideale islamista è una promessa falsa e degradante, che corrisponde all’auto oppressione. L’ideale repubblicano francese è la liberazione – almeno in principio.
Pertanto questa laïcité così perfettamente comprensibile e traducibile, incarna l’ideale repubblicano secolare: questo vuole la maggioranza dei francesi, anche se taluni sono razzisti. L’ideale repubblicano secolare incarna quello che la maggioranza dei musulmani francese vuole, anche se taluni sono stati sedotti e fuorviati dall’odio e dalle manovre degli islamisti. Gli immigrati dall’Africa del nord sono venuti in Francia inseguendo questo ideale. Il dibattito su quali misure adottare per contenere ed emarginare il movimento islamista si è svolto nell’ambito di questo ideale. Ed è stato un dibattito fecondo.
Mi auguro che i commentari americani sulla Francia sapranno mostrare un po’ più di rispetto per la serietà con la quale è stato affrontato questo dibattito: chiedo troppo? Ahimè, temo di sì. In Francia persiste da decenni un certo qual vezzo di far mostra di anti americanismo, e in America si riscontra un’usanza altrettanto antica e curiosa di prendere in giro i francesi. Questa purtroppo è l’abitudine americana che da una decina d’anni a questa parte spinge gli analisti a vedere nel secolarismo della Francia repubblicana un mero attacco razzista contro le libertà individuali, anziché capire che si tratta di una difesa antirazzista delle libertà individuali.
(Traduzione di Rita Baldassarre)
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Cannes, Nizza e una decina di altre cittadine balneari in Francia hanno appena varato il divieto di indossare in spiaggia il burkini islamico, ovvero il costume da bagno femminile che copre tutto il corpo. Di conseguenza, e com’era prevedibile, assistiamo a una reazione di sgomento tipicamente americano, di stampo tradizionale e per certi versi persino folkloristico, nei confronti della Francia e della sua antipatia verso alcuni tipi di abbigliamento islamico. Lo sconcerto americano, da un decennio a questa parte, affonda le radici su un unico presupposto, immutabile e incontestato, come se nulla fosse cambiato in questi ultimi anni, e come se non fossero emersi nuovi dati.
Il presupposto è che la Francia voglia dettare norme in fatto di abbigliamento islamico perché i francesi nutrono in sostanza un forte pregiudizio nei confronti della loro minoranza musulmana. Tuttavia, l’interpretazione americana riconosce una complicazione aggiuntiva, e cioè: i francesi, che sono incorreggibili razzisti, non sembrano credere di esserlo. Al contrario, si sono convinti che, nel regolare l’abbigliamento islamico, si stiano comportando in modo straordinariamente illuminato, seguendo addirittura un principio così elevato ed ineffabile che solo il popolo francese è in grado di capirlo. Tale principio è un’assurdità tutta francese, la quale, nella sua raffinatissima nobiltà, non può essere tradotta nel vernacolo inglese, ma deve per forza esprimersi in un vocabolo francese incomprensibile, impronunciabile e intraducibile: la laïcité.
In realtà, laïcité è perfettamente traducibile, significa secolarismo. Non c’è motivo di ricorrere al termine francese nel mondo anglosassone. È un concetto perfettamente comprensibile. È il principio jeffersoniano del muro di divisione tra stato e chiesa, in versione francese. Il principio jeffersoniano in America significa che, a prescindere da quanto facciano o vogliano proclamare le chiese, lo stato americano resta strettamente non religioso. La versione francese è identica. La scuola pubblica, per esempio, non deve diventare terreno di conquista delle chiese – o degli imam islamisti, nella situazione attuale.
Il secolarismo repubblicano non è, dopo tutto, solo un concetto negativo, il cui unico scopo è quello di tenere alla larga il fanatismo religioso. Il secolarismo repubblicano è un principio positivo, capace di offrire qualcosa all’individuo. È questo il principio della cittadinanza. Nella sua versione francese, il secolarismo repubblicano dice a ciascun individuo: i «diritti dell’uomo e del cittadino» sono i tuoi diritti, indipendentemente da quanto vadano proclamando le chiese. L’ideale repubblicano francese, nel suo secolarismo, è qualcosa di più grande ed emozionante di qualunque cosa possano offrire gli islamisti. L’ideale islamista è una promessa falsa e degradante, che corrisponde all’auto oppressione. L’ideale repubblicano francese è la liberazione – almeno in principio.
Pertanto questa laïcité così perfettamente comprensibile e traducibile, incarna l’ideale repubblicano secolare: questo vuole la maggioranza dei francesi, anche se taluni sono razzisti. L’ideale repubblicano secolare incarna quello che la maggioranza dei musulmani francese vuole, anche se taluni sono stati sedotti e fuorviati dall’odio e dalle manovre degli islamisti. Gli immigrati dall’Africa del nord sono venuti in Francia inseguendo questo ideale. Il dibattito su quali misure adottare per contenere ed emarginare il movimento islamista si è svolto nell’ambito di questo ideale. Ed è stato un dibattito fecondo.
Mi auguro che i commentari americani sulla Francia sapranno mostrare un po’ più di rispetto per la serietà con la quale è stato affrontato questo dibattito: chiedo troppo? Ahimè, temo di sì. In Francia persiste da decenni un certo qual vezzo di far mostra di anti americanismo, e in America si riscontra un’usanza altrettanto antica e curiosa di prendere in giro i francesi. Questa purtroppo è l’abitudine americana che da una decina d’anni a questa parte spinge gli analisti a vedere nel secolarismo della Francia repubblicana un mero attacco razzista contro le libertà individuali, anziché capire che si tratta di una difesa antirazzista delle libertà individuali.
(Traduzione di Rita Baldassarre)
«Il corriere della sera» dell'8 settembre 2016
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