Lettera aperta a un candidato deluso
di Luigi Ballerini
Sei dispiaciuto, lo so. Hai portato a casa meno di quello che speravi. Tutti i tuoi calcoli – i crediti accumulati nel triennio, sommati ai voti certi degli scritti e a quelli presunti degli orali – sono stati sconfessati: sul tabellone finale ti sei ritrovato meno di quanto ti aspettavi. E sei deluso. Succede, sai.
Succede che il voto di maturità non rispecchi effettivamente il lavoro fatto durante i cinque anni e neanche l’impegno che ci hai messo. Potrebbe darsi che l’esame che hai sostenuto non sia stato davvero una buona prova e che le tue aspettative non fossero realistiche. Ti si offre in questo caso l’occasione buona per ripensare a cosa è successo e imparare a valutarti meglio, senza sovrastimarti o incolpare sempre gli altri. È questa una tentazione spesso presente in noi che non ci permette di riconoscere gli errori e quindi correggerci.
Potrebbe però essere intervenuto anche quello che potremmo chiamare il "fattore C", che questa volta non porta bene: il fattore commissione. La commissione infatti può essere inquinata da una serie di pregiudizi, in entrambe la sue componenti. I tuoi prof possono essere arrivati a questa tappa finale con l’immagine che si sono fatti di te e magari hanno guardato alla tua prova con occhi vecchi, senza valorizzare gli sforzi e coglierne magari l’originalità.
Quelli venuti da fuori, da parte loro, possono avere avuto i loro motivi per fare i duri: i pregiudizi sulla scuola che hai frequentato, l’incompatibilità con i colleghi che ti hanno accompagnato, la loro interpretazione del ruolo di commissario secondo uno schema un po’ troppo rigido. E tu ti sei trovato in mezzo. E magari è accaduto davvero che entrambi non ti abbiano dato quella soddisfazione che cercavi anche da loro.
Adesso però non ti scoraggiare. Quella manciata di punti in meno, che oggi brucia, fra qualche anno diventerà un aneddoto da raccontare. Ma non è solo questo, conviene cercare anche il guadagno nascosto nell’esperienza che stai vivendo. Hai toccato con mano che non fai tutto tu da solo. Un esame, come moltissime altre cose nella vita, forse persino tutte, è fatto con un altro. Noi ci mettiamo la nostra parte, ma l’altro deve metterci la sua. E l’altro può anche mettercela male, deludere, non essere all’altezza.
Che ciò non ti sia di scandalo. L’altro, che diventa così importante nei nostri risultati, allora va propiziato, va messo in condizione di poterci capire e apprezzare. Non si tratta affatto di una attività manipolatoria, un gioco da furbetti che la sanno più lunga, quanto di imparare a saperci fare, a tenere l’altro dentro il nostro orizzonte. Perché si dia desiderio occorre infatti un altro, così come perché vi sia successo. E le volte che non sarà all’altezza, dopo aver valutato come lo abbiamo trattato in primis noi, ci toccherà ripartire con un rinnovato slancio per cercare qualcuno migliore.
Ecco, sta qui la soluzione. Ripartire. Guardare a ciò che verrà, ancora tutto da costruire. Non permettere che la delusione di oggi copra con un velo di scetticismo le scelte di domani. Adesso c’è da pensare al lavoro o all’università. C’è da pensare al futuro. Pensalo, allora. Dentro la consapevolezza che lo costruirai assieme agli altri che incontrerai, quelli che ti sceglierai tu stesso come compagni e quelli che ti verranno imposti dalle circostanze. Non poter fare a meno di loro non è una condanna, è una risorsa piuttosto. Falla fruttare.
Ma hai ragione, prima c’è da pensare alle vacanze. Si dice che l’estate della maturità sia indimenticabile, forse ancor più dell’esame stesso. Libero dai compiti, per una volta, goditi il tempo, senza sprecarlo. Rafforza i rapporti significativi, stringine altri interessanti, coltiva i tuoi interessi e la tue passioni. Magari leggi (persino) un libro. Sarà ancora più bello ripartire dopo l’estate. Senza strappi. Perché d’estate o d’inverno noi siamo sempre noi.
Succede che il voto di maturità non rispecchi effettivamente il lavoro fatto durante i cinque anni e neanche l’impegno che ci hai messo. Potrebbe darsi che l’esame che hai sostenuto non sia stato davvero una buona prova e che le tue aspettative non fossero realistiche. Ti si offre in questo caso l’occasione buona per ripensare a cosa è successo e imparare a valutarti meglio, senza sovrastimarti o incolpare sempre gli altri. È questa una tentazione spesso presente in noi che non ci permette di riconoscere gli errori e quindi correggerci.
Potrebbe però essere intervenuto anche quello che potremmo chiamare il "fattore C", che questa volta non porta bene: il fattore commissione. La commissione infatti può essere inquinata da una serie di pregiudizi, in entrambe la sue componenti. I tuoi prof possono essere arrivati a questa tappa finale con l’immagine che si sono fatti di te e magari hanno guardato alla tua prova con occhi vecchi, senza valorizzare gli sforzi e coglierne magari l’originalità.
Quelli venuti da fuori, da parte loro, possono avere avuto i loro motivi per fare i duri: i pregiudizi sulla scuola che hai frequentato, l’incompatibilità con i colleghi che ti hanno accompagnato, la loro interpretazione del ruolo di commissario secondo uno schema un po’ troppo rigido. E tu ti sei trovato in mezzo. E magari è accaduto davvero che entrambi non ti abbiano dato quella soddisfazione che cercavi anche da loro.
Adesso però non ti scoraggiare. Quella manciata di punti in meno, che oggi brucia, fra qualche anno diventerà un aneddoto da raccontare. Ma non è solo questo, conviene cercare anche il guadagno nascosto nell’esperienza che stai vivendo. Hai toccato con mano che non fai tutto tu da solo. Un esame, come moltissime altre cose nella vita, forse persino tutte, è fatto con un altro. Noi ci mettiamo la nostra parte, ma l’altro deve metterci la sua. E l’altro può anche mettercela male, deludere, non essere all’altezza.
Che ciò non ti sia di scandalo. L’altro, che diventa così importante nei nostri risultati, allora va propiziato, va messo in condizione di poterci capire e apprezzare. Non si tratta affatto di una attività manipolatoria, un gioco da furbetti che la sanno più lunga, quanto di imparare a saperci fare, a tenere l’altro dentro il nostro orizzonte. Perché si dia desiderio occorre infatti un altro, così come perché vi sia successo. E le volte che non sarà all’altezza, dopo aver valutato come lo abbiamo trattato in primis noi, ci toccherà ripartire con un rinnovato slancio per cercare qualcuno migliore.
Ecco, sta qui la soluzione. Ripartire. Guardare a ciò che verrà, ancora tutto da costruire. Non permettere che la delusione di oggi copra con un velo di scetticismo le scelte di domani. Adesso c’è da pensare al lavoro o all’università. C’è da pensare al futuro. Pensalo, allora. Dentro la consapevolezza che lo costruirai assieme agli altri che incontrerai, quelli che ti sceglierai tu stesso come compagni e quelli che ti verranno imposti dalle circostanze. Non poter fare a meno di loro non è una condanna, è una risorsa piuttosto. Falla fruttare.
Ma hai ragione, prima c’è da pensare alle vacanze. Si dice che l’estate della maturità sia indimenticabile, forse ancor più dell’esame stesso. Libero dai compiti, per una volta, goditi il tempo, senza sprecarlo. Rafforza i rapporti significativi, stringine altri interessanti, coltiva i tuoi interessi e la tue passioni. Magari leggi (persino) un libro. Sarà ancora più bello ripartire dopo l’estate. Senza strappi. Perché d’estate o d’inverno noi siamo sempre noi.
«Avvenire» del 14 luglio 2014
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