Sul web è sempre più facile imbattersi in una falsa notizia, più o meno riconoscibile. E i protagonisti potremmo essere noi. Ecco come si creano finte news "social". E i rischi possibili
di Diana Orefice
Potrebbe succedere a chiunque di ritrovarsi coinvolti in curiose e spiacevoli storie di cronaca. Un giorno, navigando tranquillamente su Facebook, Mario Rossi di Roma potrebbe leggere questo titolo: "Shock ornitofilia a Roma: Mario Rossi stuprava volatili di grandi dimensioni". E c'è anche la foto: proprio quella che Mario aveva scelto come immagine del profilo, qualche anno prima. L'articolo è stato pubblicato nel giorno in cui viene letto e ha già 1000 mi piace e 100 condivisioni, anche da parte di persone che non rientrano nella cerchia di conoscenti di Mario.
Basta però leggere non più di dieci righe per avere il sospetto che si tratti di una bufala. "Il giovane [...] sarebbe stato trovato ad abusare di poveri animali, quali volatili di grandi dimensioni come pappagalli, aironi e gufi, tutti maniacalmente tenuti dentro una stanza a luci rosse, munita di schermi a led proiettanti film hard". Se si arriva a fine pagina, non si hanno più dubbi: "Fai subito questo scherzo", incita il sito Pinibook. Si tratta di un generatore di bufale. La tecnica è semplice: basta inserire nome, cognome e luogo di nascita della vittima, caricare una foto e scrivere la città nella quale si vuole ambientare la falsa notizia. Un click su "accetto termini e condizioni" e l'articolo è pronto da diffondere sui social. E a quel punto, per chi è vittima dello scherzo, possono venire fuori delle complicazioni.
Il pericolo. Il problema, per Mario Rossi, è che non è da tutti leggere più di dieci righe. Non è da tutti nemmeno aprire il link. Rapiti dalla gravità dello scandalo, alcuni utenti del web leggono il titolo e condividono. Fidandosi del fatto che chi per primo ha condiviso l'articolo, magari un "amico", ne abbia letto il contenuto. Proprio così si creano le catene di bufale, condivise per migliaia di volte prima che qualcuno riesca a smentirle. Non basta accorgersi che la notizia è falsa: il problema è farlo sapere a quelle migliaia di persone che l'hanno presa per vera. E ora ne stanno parlando non solo su Facebook, ma con gli amici al bar.
Rischio valanga. Il rischio della bufala infatti è che una volta lanciata non se ne ha più il controllo. Mario Rossi ha subito uno scherzo potenzialmente mondiale e senza scadenza. Come lui, anche tutti quelli che fino ad oggi sono stati vittime di Pinibook: in un giorno vengono create decine di bufale. Andando ad indagare in "termini e condizioni", si scopre che tutti i falsi articoli vengono archiviati nel database, ma possono essere rimossi con una "apposita richiesta" fatta ai gestori del sito, senza ulteriori informazioni su che cosa significhi. Non c'è nessun indirizzo email e nessuna sezione "contatti" in vista. In compenso si può diventare fan della pagina facebook del generatore di bufale. Ma anche se Mario riuscisse a contattare i gestori ed ottenere la cancellazione dell'articolo, non avrebbe la garanzia di aver cancellato l'esistenza di quella notizia, perchè altri siti web potrebbero averne ripreso il testo.
Di chi è la responsabilità? Pinibook specifica che l'utente che crea la falsa notizia è responsabile di quanto inserito e consapevole che si tratti di uno scherzo. Soprattutto, l'utente garantisce che il materiale non è lesivo, quindi è vietato trasmettere commenti e foto il cui contenuto è diffamatorio, ingiurioso, lesivo della privacy o comunque illecito. In realtà, è il testo della falsa notizia, generato automaticamente dal sito e identico per ogni vittima, che potrebbe risultare diffamatorio o ingiurioso. La diffamazione (art.595 del Codice penale) è una offesa qualunque, comunicata ad altri con qualsiasi mezzo, in assenza dell'offeso. L'ingiuria, invece, ne prevede la presenza.
Naturalmente, Pinibook non genera solo notizie di "ornitofilia". Si può scegliere anche "Mario Rossi scatenato: 'Adesso basta, voglio una donna al giorno'", oppure "Mario Rossi stuprato da un branco di nani: 'Mi sento sporco'", o anche il più nobile "Scazzottata nella notte, Mario Rossi seda una rissa e diventa un eroe". Nel panorama nazionale dei generatori di bufale, c'è anche Magnaromagna. Il sito propone una gamma che va dallo "stupido incidente" all'"arrestato organizzatore festini hard". Magnaromagna, a differenza di Pinibook, non conserva i testi e non li rende rintracciabili tramite motori di ricerca. Una garanzia per la vittima: in questo caso gli autori hanno il controllo della notizia e possono decidere se stamparla in pdf o inviarla per email. Senza la possibilità, quindi, di rovinare la reputazione di un amico cliccando su "condividi". Un gesto tanto semplice quanto incontrollabile.
Come uscirne. Se la catena è già partita e il danno è fatto, Mario Rossi può almeno avvalersi della segnalazione su Facebook. Cliccando sulla freccia in alto a destra sopra il link da condividere, se si trova all'interno di un gruppo chiuso, può scegliere di denunciare l'articolo all'amministrazione del gruppo Fb. Che poi può (eventualmente) deciderne la rimozione. In bacheca, invece, bisogna scegliere la voce "non desidero vedere questo contenuto": guidandoci in una serie di scelte, Facebook indaga sulle motivazioni che ci hanno portato a questo gesto. Scartando lo spam e il semplice mancato interesse, si arriva finalmente a segnalare il link in quanto lesivo della nostra dignità. E da qui in poi si può sperare in un legittimo oblio.
Basta però leggere non più di dieci righe per avere il sospetto che si tratti di una bufala. "Il giovane [...] sarebbe stato trovato ad abusare di poveri animali, quali volatili di grandi dimensioni come pappagalli, aironi e gufi, tutti maniacalmente tenuti dentro una stanza a luci rosse, munita di schermi a led proiettanti film hard". Se si arriva a fine pagina, non si hanno più dubbi: "Fai subito questo scherzo", incita il sito Pinibook. Si tratta di un generatore di bufale. La tecnica è semplice: basta inserire nome, cognome e luogo di nascita della vittima, caricare una foto e scrivere la città nella quale si vuole ambientare la falsa notizia. Un click su "accetto termini e condizioni" e l'articolo è pronto da diffondere sui social. E a quel punto, per chi è vittima dello scherzo, possono venire fuori delle complicazioni.
Il pericolo. Il problema, per Mario Rossi, è che non è da tutti leggere più di dieci righe. Non è da tutti nemmeno aprire il link. Rapiti dalla gravità dello scandalo, alcuni utenti del web leggono il titolo e condividono. Fidandosi del fatto che chi per primo ha condiviso l'articolo, magari un "amico", ne abbia letto il contenuto. Proprio così si creano le catene di bufale, condivise per migliaia di volte prima che qualcuno riesca a smentirle. Non basta accorgersi che la notizia è falsa: il problema è farlo sapere a quelle migliaia di persone che l'hanno presa per vera. E ora ne stanno parlando non solo su Facebook, ma con gli amici al bar.
Rischio valanga. Il rischio della bufala infatti è che una volta lanciata non se ne ha più il controllo. Mario Rossi ha subito uno scherzo potenzialmente mondiale e senza scadenza. Come lui, anche tutti quelli che fino ad oggi sono stati vittime di Pinibook: in un giorno vengono create decine di bufale. Andando ad indagare in "termini e condizioni", si scopre che tutti i falsi articoli vengono archiviati nel database, ma possono essere rimossi con una "apposita richiesta" fatta ai gestori del sito, senza ulteriori informazioni su che cosa significhi. Non c'è nessun indirizzo email e nessuna sezione "contatti" in vista. In compenso si può diventare fan della pagina facebook del generatore di bufale. Ma anche se Mario riuscisse a contattare i gestori ed ottenere la cancellazione dell'articolo, non avrebbe la garanzia di aver cancellato l'esistenza di quella notizia, perchè altri siti web potrebbero averne ripreso il testo.
Di chi è la responsabilità? Pinibook specifica che l'utente che crea la falsa notizia è responsabile di quanto inserito e consapevole che si tratti di uno scherzo. Soprattutto, l'utente garantisce che il materiale non è lesivo, quindi è vietato trasmettere commenti e foto il cui contenuto è diffamatorio, ingiurioso, lesivo della privacy o comunque illecito. In realtà, è il testo della falsa notizia, generato automaticamente dal sito e identico per ogni vittima, che potrebbe risultare diffamatorio o ingiurioso. La diffamazione (art.595 del Codice penale) è una offesa qualunque, comunicata ad altri con qualsiasi mezzo, in assenza dell'offeso. L'ingiuria, invece, ne prevede la presenza.
Naturalmente, Pinibook non genera solo notizie di "ornitofilia". Si può scegliere anche "Mario Rossi scatenato: 'Adesso basta, voglio una donna al giorno'", oppure "Mario Rossi stuprato da un branco di nani: 'Mi sento sporco'", o anche il più nobile "Scazzottata nella notte, Mario Rossi seda una rissa e diventa un eroe". Nel panorama nazionale dei generatori di bufale, c'è anche Magnaromagna. Il sito propone una gamma che va dallo "stupido incidente" all'"arrestato organizzatore festini hard". Magnaromagna, a differenza di Pinibook, non conserva i testi e non li rende rintracciabili tramite motori di ricerca. Una garanzia per la vittima: in questo caso gli autori hanno il controllo della notizia e possono decidere se stamparla in pdf o inviarla per email. Senza la possibilità, quindi, di rovinare la reputazione di un amico cliccando su "condividi". Un gesto tanto semplice quanto incontrollabile.
Come uscirne. Se la catena è già partita e il danno è fatto, Mario Rossi può almeno avvalersi della segnalazione su Facebook. Cliccando sulla freccia in alto a destra sopra il link da condividere, se si trova all'interno di un gruppo chiuso, può scegliere di denunciare l'articolo all'amministrazione del gruppo Fb. Che poi può (eventualmente) deciderne la rimozione. In bacheca, invece, bisogna scegliere la voce "non desidero vedere questo contenuto": guidandoci in una serie di scelte, Facebook indaga sulle motivazioni che ci hanno portato a questo gesto. Scartando lo spam e il semplice mancato interesse, si arriva finalmente a segnalare il link in quanto lesivo della nostra dignità. E da qui in poi si può sperare in un legittimo oblio.
«La Repubblica» del 28 giugno 2014
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