10 ottobre 2013

Morire democristiani da sventura ad auspicio

E Pacciardi disse: «Meglio una messa al giorno che una messa al muro»
di Pierluigi Battista
Dicono: «moriremo democristiani». E lo dicono con costernazione e raccapriccio. Se davvero fosse verosimile, tuttavia aggiungerei, da elettore che mai e poi mai ha optato in vita sua per lo Scudo Crociato, ma che ha visto tutte le miserie della Seconda Repubblica: magari.
Una «damnatio memoriae» politico-storiografica getta sulla storia dell'Italia governata dalla Dc l'ombra fosca di un passato ignobile. E invece, magari qualche merito il partito che raccolse l'eredità di Sturzo e De Gasperi, può legittimamente vantarlo. Chissà se morirà democristiana, ma l'Italia democristiana visse in regime di libertà, grazie alla partecipazione dei cattolici alla guerra di liberazione antifascista e alla storica vittoria contro i comunisti stalinisti del 18 aprile del 1948. L'Italia democristiana, incalzata dalle altre forze politiche, dai sindacati, dalle spinte delle organizzazioni sociali, varò una coraggiosa e lungimirante riforma agraria. Nell'Italia democristiana una Nazione devastata e piegata dalla guerra trovò in pochi anni la forza di reagire, di crescere, di mettersi in cammino. L'Italia democristiana cambiò in pochi anni la sua natura e divenne una potenza industriale, all'avanguardia nella chimica, nella siderurgia, nella produzione metalmeccanica. L'Italia democristiana, descritta come il regno dell'immobilismo, conobbe una rivoluzione gigantesca lasciando integro il suo sistema democratico e il rispetto delle libertà fondamentali: dalla miseria si passò in meno di una generazione alla civiltà dei consumi, l'ascensore sociale era in pieno movimento, il benessere diffuso con una velocità impressionante, cambiando radicalmente la vita di milioni e milioni di italiani in un quadro di stabilità democratica che ha del miracoloso.
L'Italia democristiana era molto bacchettona, ma con la Dc al governo l'Italia ebbe (tardivamente) il divorzio e le donne che abortivano non furono più criminalizzate. L'Italia democristiana consentiva il dissenso, l'opposizione, la cultura libera. Alberto Ronchey ha raccontato che Randolfo Pacciardi, quando nel '48 gli chiedevano se non si sentisse prigioniero del clericalismo, rispondeva così: «meglio una messa al giorno che una messa al muro». Sentenza che, nella sua ruvida icasticità, riassume i termini di un intero ciclo storico.
L'Italia democristiana ha conosciuto storture, stragi impunite, statalismo, corruzione. Ma non voleva essere una società santa e perfetta, come sempre accade nei regimi liberal-democratici in cui si sa che la dittatura della virtù è l'anticamera del totalitarismo. Nella guerra fredda l'Italia democristiana, con sbavature terzomondiste e anti-israeliane e qualche servilismo, è sempre stata dalla parte giusta: quella atlantica. Nell'Italia democristiana si tendeva a smorzare i conflitti, a non infierire sui vinti, a tenere insieme la società, a garantire la rappresentanza di tutti gli interessi, persino troppo. Moriremo democristiani? Magari fosse vero.
«Corriere della Sera» del 7 ottobre 2013

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