L’astinenza di Sophie Fontanel, le foto hot di Anthony Weiner
di Francesco Piccolo
Il sesso è soprattutto intimità e memoria Chi non lo fa o ne fa tanto (ma virtuale) nega il senso dell’amore come esperienza
Sophie Fontanel ha scritto la cronaca di dodici anni di castità (da 27 a 39), successo discusso in Francia e in uscita in questi giorni negli Stati Uniti con il titolo The Art of Sleeping Alone. Sostiene di aver imparato migliaia di cose e di aver perfino provato piacere nel vedere Robert Redford lavare i capelli di Meryl Streep in La mia Africa (non fate i furbi, non pensate che era messa male…). In pratica, la scelta della Fontanel è nata da questo assunto: non fare sesso è meglio che fare sesso deludente.
In seguito è diventata un’esplorazione della realtà da un punto di vista inedito, e le conclusioni che ha raggiunto rimangono interessanti. Anche se per chi pratica sesso, la questione più stringente rimane che cosa è successo quella notte al termine dei dodici anni. La risposta è allo stesso tempo soddisfacente e deludente: Sophie ha incontrato la persona giusta. Tutto qui.
Sia chiaro: ho rispetto per la castità come per ogni pratica estrema, fosse anche fanatica — a meno che il fanatismo non porti (come accade quasi sempre) a un passaggio di comunicazione: da «io pratico la castità» (presa di posizione rispettabile) a «dovresti praticarla anche tu». Se non vogliono imporsi agli altri, mi sembrano interessanti i vegetariani, i buddisti, i ciclisti, i complottisti, gli scambisti e perfino quelli che vanno a vivere in campagna — insomma, chiunque è diverso da me. La castità ottiene il mio rispetto come quelli che fanno free climbing o non mangiano dolci — i primi danno la misura invalicabile dei miei limiti, i secondi li preferisco perché se andiamo a cena insieme so che parte della loro porzione potrebbe toccare a me.
Ora passiamo all’estremo opposto: il protagonista dei pettegolezzi mondiali del momento, Anthony Weiner. La sua pratica reiterata di messaggi erotici e di foto delle sue nudità, spediti con insistenza a ragazze conosciute su Internet, sono diventati lo scandalo americano dell’estate, e hanno richiamato alla memoria la storia tra Bill Clinton e Monica Lewinsky; con grande irritazione di Hillary, toccata dal coinvolgimento della sua assistente Huma Abedin, moglie di Weiner. Tutti guardano impietositi la bella Huma, incline al perdono; tutti dicono: ma come si fa a tradire una donna così? Ma la questione acclarata è che nessuno di questi contatti virtuali si è trasformato in un incontro dal vivo. È questa la difesa morale (moralistica) di Weiner. Del resto, il candidato sindaco di New York è anche il simbolo della nuova abitudine sessuale di noi tutti: il sesso virtuale. Sta diventando un’abitudine autosufficiente, cioè slegata dai vincoli dell’incontro reale e del sesso reale. Si chiama «sexting», e potrebbe avere come sottotitolo quest’altro assunto: «Non fare sesso è meglio che essere deludenti».
Il problema del sexting, infatti, è quello di spingersi molto oltre, di promettere tantissimo, di mostrare ossessioni e pratiche estreme, del tutto slegate dalla vita reale. Perfino le foto possono promettere di più della realtà. Quindi, poi, essere all’altezza delle promesse diventa una questione ansiogena, che si combatte non dando seguito alle possibilità astratte. Del resto, quasi tutti gli uomini fanno intendere di essere superdotati, ma questa dichiarazione avventata poi li rende terrorizzati di mostrarsi, perché pensano: e se non fosse così? Ovviamente non si fa sexting solo per timore, ma anche come pratica sufficiente alle proprie esigenze.
Allora, è chiaro che il personaggio Sophie (la castità) e il personaggio Anthony (il sexting) hanno qualcosa in comune: l’eliminazione del sesso reale. Di quel fatto concreto e ineluttabile che si svolge (di solito) tra due persone in carne e ossa. E in qualche modo paradossale, il sexting contiene caratteristiche più moralistiche della castità e si può sintetizzare nella frase tremante che i traditori dicono ai traditi: però non è successo niente!
La castità è una scelta liberatoria, e lo sanno bene tutti coloro che sono ossessionati dal sesso e pilotano le giornate o le settimane alla ricerca di idee buone per andare a letto con qualcuno, quelli che si rigirano di notte nel letto solitario perché pensano al corpo che amano e che dorme beatamente in un altro letto solitario. Quante scelte, quanti errori sono stati compiuti per schiavitù del desiderio, e la cosa più grave è che non ci si pente mai. Quindi, immaginare una vita libera dal vincolo asfissiante del sesso, è anche infinitamente liberatorio — il risultato a cui mirava Sophie Fontanel.
La vita sessuale di solito si esprime in due grandi categorie: fare sesso una sola volta con tante persone diverse; fare sesso tante volte con una persona. Ci possono essere molti gradi intermedi, ma nella sostanza sono questi i due aspetti radicati nel pensiero sessuale: la serialità e la relazione. La serialità è praticata da coloro che cercano un piacere sessuale generico e non coinvolto, e per questo cercano uomini o donne diverse, di continuo. Sono riconoscibili, perché dopo averci fatto sesso il loro atteggiamento verso il partner della notte precedente invece di migliorare, peggiora.
Se prima di fare sesso erano simpatici e affettuosi, dopo diventano cupi e distanti. È un po’ deprimente, perché passare una notte insieme a fare sesso metterebbe in atto un processo di complicità molto forte, almeno in teoria. Ecco, i seriali respingono proprio questo processo. Hanno un’idea tutta loro dell’intimità, non si riesce a contraddirli: i seriali ritengono che spogliarsi nudi, unire i corpi, mischiare umori, non sia intimità; mentre è intimità andare a cena insieme, o fare una passeggiata. Quindi, possono fare sesso facilmente, ma sono restii in modo patologico ad andare insieme a cena almeno una volta. La relazione sessuale è un processo inverso: le persone cercano nel mondo un’intimità. Cercano, nel fare sesso la prima volta, qualcuno che riconoscono, con cui star bene (con cui fare sesso bene) e quando lo trovano, vogliono ripetere l’esperienza di quel piacere specifico più volte possibile. Per loro, il sesso è soprattutto memoria (ripenso a te e mi eccito perché tu mi piaci), e di conseguenza intimità. Riguardo al tradimento, proprio perché nel caso della serialità non entrano in gioco i sentimenti e nel caso della relazione sì, si finisce per ritenere la serialità meno pericolosa della relazione. Ecco quindi l’atteggiamento moralistico: non sono coinvolto, quindi non ho tradito; se non sono coinvolti sentimenti, quello che ho fatto non ha nessun significato.
Ed ecco infine arrivare il sexting come passaggio ulteriore della mancanza di intimità — come pratica ancora più estrema della serialità. Si svolge a distanza, ci si scambiano propositi pornografici e foto molto azzardate, si desidera ma non si mette in atto. Ci si protegge dalla realtà, e di conseguenza si può chiedere il perdono, si può venire perdonati. Si può praticare sesso con persone che non hai mai visto (ti fai spedire foto per vederle, a volte), si può provare a mandare messaggi a persone a cui non si dovrebbero mandare, pronti alla deviazione se non è aria. Ma la domanda fondamentale, ancor più in presenza della virtualità, rimane la stessa: il sesso respinge o cerca l’intimità? A mio modestissimo parere, dovrebbe cercarla; dovrebbe essere, se non sembra troppo azzardato, il luogo principe dell’intimità. E invece sta crescendo il partito contrario: la fuga dall’intimità. Fare sesso senza coinvolgere la conoscenza (rappresentata simbolicamente dal nome: ti ricordi come mi chiamo?) vuol dire fare sesso senza mettere in campo i sentimenti. Ecco, in questo consiste il moralismo: fino a quando non sono coinvolto emotivamente e non tocco la sfera sentimentale, io non tradisco per davvero. Né me stesso né la persona che amo.
Di Weiner si è detto che ha mandato foto del suo pene nel periodo della ricostruzione del suo matrimonio; ammesso che sia così per davvero (ma qui poco importa), esplicita bene questo pensiero: se non sono coinvolto, posso ricostruire la mia relazione amorosa e scambiare messaggi espliciti con donne che nemmeno conosco (la giustificazione secolare nel frequentare prostitute nasce da questo: due sfere diverse. L’intimità non viene violata, perché i sentimenti non sono messi in gioco). Il sexting, quindi, è una pratica ancora più moralistica: mette in moto il sesso senza intimità, e in più senza nemmeno coinvolgere i corpi nella pratica. Solo da lontano. E da lontano «non è peccato». La mancanza di sesso concreto, quindi, instaura una parentela di tipo etico tra castità e sesso virtuale. Però si può ritenere la castità una scelta meno moralistica del sexting. Perché non è alla ricerca della salvezza, soltanto di un modo di stare al mondo, casomai difendendosi dalle delusioni. Invece il sesso virtuale è un modo di avere rapporti con tanti senza essere avvicinati da nessuno. Senza che possa esistere il luogo del delitto.
Il sesso virtuale sta deviando dalle funzioni che gli avevamo affidato all’inizio, così come sta accadendo con i social network: il compito dell’allargamento del tempo di frequentazione, della presenza anche durante l’assenza, era un compito che non doveva sostituire il rapporto, bensì accrescerlo. Farlo dilagare. Pian piano, abbiamo scoperto che potevamo, invece che darci un appuntamento per un aperitivo o un caffè e chiacchierare, comunicare in modo costante per tutto il giorno da lontano, e quindi non riempire il tempo dell’attesa o il tempo dell’abbandono, il prima e dopo l’incontro; ma sostituirlo. È una pratica antica: la diffusione del telefono ha fatto lo stesso. Ha sostituito gli incontri con lunghe telefonate e perfino gli incontri sessuali con pratiche autoerotiche in contemporanea. Così, il sesso virtuale ha aumentato la quantità di partner (cosa costa in fondo giocare un po’ da lontano?), ma ha diminuito la sessualità reale. È diventato soddisfacente. È un risultato in qualche modo prodigioso, ma rimane qualcosa che non funziona.
Il sesso è soprattutto intimità e memoria. Il sesso è ricerca di una conoscenza intima, è messa in moto di memoria. Perfino l’autoerotismo serve a creare una memoria fittizia di coloro che desidereremmo avere e non abbiamo — e se poi succede siamo più pronti, vediamo soddisfatto un desiderio non più astratto, ma più volte vissuto nella testa (si può anche dire: in modo letterario). Certo, parlare di sentimenti può sembrare eccessivo (si possono mettere in moto i sentimenti a ogni incontro sessuale?), quindi è più opportuno parlare di altro: coinvolgimento, curiosità, voglia di conoscere di più. Una relazione vuol dire andare a cena insieme, indagare e occuparsi della vita dell’altro. Se una persona ti interessa sessualmente, e la vuoi rivedere, in modo naturale instauri una confidenza, entri nella sua esistenza, impari i nomi dei genitori (o dei figli), patisci per una sconfitta professionale o per l’attesa di un esame medico. Non puoi fare a meno della complicità.
La questione fondamentale, alla fine, è che se si trova un essere umano con il quale il tuo corpo è in armonia, questo è un bene prezioso, un investimento magnifico, ed è assurdo trascurarlo, lasciarlo andare via. È uno spreco di piacere e felicità possibili. Per questo motivo, la serialità è, d’altra parte, una lunghissima lista di occasioni perdute. Il sesso è concretezza. È un incontro. Il sesso virtuale può essere approccio per l’incontro reale; oppure, continuazione dell’intimità sessuale: ci desideriamo così tanto che, oltre a vederci, ci mandiamo foto e messaggi erotici. Lo facciamo nell’attesa e nell’abbandono. Prima e dopo. Ma tra virtuale e virtuale, in mezzo c’è il reale.
Una regola semplice per gli incontri sessuali potrebbe essere questa: si fa sesso con persone con le quali si va volentieri a cena. Che vuol dire: relazione, curiosità, tempo da passare insieme. Che vuol dire presenza nella propria vita, in qualche modo, anche clandestino, di una persona con la quale si è stati in un letto nudi a toccarsi. È una regola minima, una formula di intimità nemmeno troppo coinvolgente, che può essere praticata da tutti. Sembra poco, ma è tantissimo.
In seguito è diventata un’esplorazione della realtà da un punto di vista inedito, e le conclusioni che ha raggiunto rimangono interessanti. Anche se per chi pratica sesso, la questione più stringente rimane che cosa è successo quella notte al termine dei dodici anni. La risposta è allo stesso tempo soddisfacente e deludente: Sophie ha incontrato la persona giusta. Tutto qui.
Sia chiaro: ho rispetto per la castità come per ogni pratica estrema, fosse anche fanatica — a meno che il fanatismo non porti (come accade quasi sempre) a un passaggio di comunicazione: da «io pratico la castità» (presa di posizione rispettabile) a «dovresti praticarla anche tu». Se non vogliono imporsi agli altri, mi sembrano interessanti i vegetariani, i buddisti, i ciclisti, i complottisti, gli scambisti e perfino quelli che vanno a vivere in campagna — insomma, chiunque è diverso da me. La castità ottiene il mio rispetto come quelli che fanno free climbing o non mangiano dolci — i primi danno la misura invalicabile dei miei limiti, i secondi li preferisco perché se andiamo a cena insieme so che parte della loro porzione potrebbe toccare a me.
Ora passiamo all’estremo opposto: il protagonista dei pettegolezzi mondiali del momento, Anthony Weiner. La sua pratica reiterata di messaggi erotici e di foto delle sue nudità, spediti con insistenza a ragazze conosciute su Internet, sono diventati lo scandalo americano dell’estate, e hanno richiamato alla memoria la storia tra Bill Clinton e Monica Lewinsky; con grande irritazione di Hillary, toccata dal coinvolgimento della sua assistente Huma Abedin, moglie di Weiner. Tutti guardano impietositi la bella Huma, incline al perdono; tutti dicono: ma come si fa a tradire una donna così? Ma la questione acclarata è che nessuno di questi contatti virtuali si è trasformato in un incontro dal vivo. È questa la difesa morale (moralistica) di Weiner. Del resto, il candidato sindaco di New York è anche il simbolo della nuova abitudine sessuale di noi tutti: il sesso virtuale. Sta diventando un’abitudine autosufficiente, cioè slegata dai vincoli dell’incontro reale e del sesso reale. Si chiama «sexting», e potrebbe avere come sottotitolo quest’altro assunto: «Non fare sesso è meglio che essere deludenti».
Il problema del sexting, infatti, è quello di spingersi molto oltre, di promettere tantissimo, di mostrare ossessioni e pratiche estreme, del tutto slegate dalla vita reale. Perfino le foto possono promettere di più della realtà. Quindi, poi, essere all’altezza delle promesse diventa una questione ansiogena, che si combatte non dando seguito alle possibilità astratte. Del resto, quasi tutti gli uomini fanno intendere di essere superdotati, ma questa dichiarazione avventata poi li rende terrorizzati di mostrarsi, perché pensano: e se non fosse così? Ovviamente non si fa sexting solo per timore, ma anche come pratica sufficiente alle proprie esigenze.
Allora, è chiaro che il personaggio Sophie (la castità) e il personaggio Anthony (il sexting) hanno qualcosa in comune: l’eliminazione del sesso reale. Di quel fatto concreto e ineluttabile che si svolge (di solito) tra due persone in carne e ossa. E in qualche modo paradossale, il sexting contiene caratteristiche più moralistiche della castità e si può sintetizzare nella frase tremante che i traditori dicono ai traditi: però non è successo niente!
La castità è una scelta liberatoria, e lo sanno bene tutti coloro che sono ossessionati dal sesso e pilotano le giornate o le settimane alla ricerca di idee buone per andare a letto con qualcuno, quelli che si rigirano di notte nel letto solitario perché pensano al corpo che amano e che dorme beatamente in un altro letto solitario. Quante scelte, quanti errori sono stati compiuti per schiavitù del desiderio, e la cosa più grave è che non ci si pente mai. Quindi, immaginare una vita libera dal vincolo asfissiante del sesso, è anche infinitamente liberatorio — il risultato a cui mirava Sophie Fontanel.
La vita sessuale di solito si esprime in due grandi categorie: fare sesso una sola volta con tante persone diverse; fare sesso tante volte con una persona. Ci possono essere molti gradi intermedi, ma nella sostanza sono questi i due aspetti radicati nel pensiero sessuale: la serialità e la relazione. La serialità è praticata da coloro che cercano un piacere sessuale generico e non coinvolto, e per questo cercano uomini o donne diverse, di continuo. Sono riconoscibili, perché dopo averci fatto sesso il loro atteggiamento verso il partner della notte precedente invece di migliorare, peggiora.
Se prima di fare sesso erano simpatici e affettuosi, dopo diventano cupi e distanti. È un po’ deprimente, perché passare una notte insieme a fare sesso metterebbe in atto un processo di complicità molto forte, almeno in teoria. Ecco, i seriali respingono proprio questo processo. Hanno un’idea tutta loro dell’intimità, non si riesce a contraddirli: i seriali ritengono che spogliarsi nudi, unire i corpi, mischiare umori, non sia intimità; mentre è intimità andare a cena insieme, o fare una passeggiata. Quindi, possono fare sesso facilmente, ma sono restii in modo patologico ad andare insieme a cena almeno una volta. La relazione sessuale è un processo inverso: le persone cercano nel mondo un’intimità. Cercano, nel fare sesso la prima volta, qualcuno che riconoscono, con cui star bene (con cui fare sesso bene) e quando lo trovano, vogliono ripetere l’esperienza di quel piacere specifico più volte possibile. Per loro, il sesso è soprattutto memoria (ripenso a te e mi eccito perché tu mi piaci), e di conseguenza intimità. Riguardo al tradimento, proprio perché nel caso della serialità non entrano in gioco i sentimenti e nel caso della relazione sì, si finisce per ritenere la serialità meno pericolosa della relazione. Ecco quindi l’atteggiamento moralistico: non sono coinvolto, quindi non ho tradito; se non sono coinvolti sentimenti, quello che ho fatto non ha nessun significato.
Ed ecco infine arrivare il sexting come passaggio ulteriore della mancanza di intimità — come pratica ancora più estrema della serialità. Si svolge a distanza, ci si scambiano propositi pornografici e foto molto azzardate, si desidera ma non si mette in atto. Ci si protegge dalla realtà, e di conseguenza si può chiedere il perdono, si può venire perdonati. Si può praticare sesso con persone che non hai mai visto (ti fai spedire foto per vederle, a volte), si può provare a mandare messaggi a persone a cui non si dovrebbero mandare, pronti alla deviazione se non è aria. Ma la domanda fondamentale, ancor più in presenza della virtualità, rimane la stessa: il sesso respinge o cerca l’intimità? A mio modestissimo parere, dovrebbe cercarla; dovrebbe essere, se non sembra troppo azzardato, il luogo principe dell’intimità. E invece sta crescendo il partito contrario: la fuga dall’intimità. Fare sesso senza coinvolgere la conoscenza (rappresentata simbolicamente dal nome: ti ricordi come mi chiamo?) vuol dire fare sesso senza mettere in campo i sentimenti. Ecco, in questo consiste il moralismo: fino a quando non sono coinvolto emotivamente e non tocco la sfera sentimentale, io non tradisco per davvero. Né me stesso né la persona che amo.
Di Weiner si è detto che ha mandato foto del suo pene nel periodo della ricostruzione del suo matrimonio; ammesso che sia così per davvero (ma qui poco importa), esplicita bene questo pensiero: se non sono coinvolto, posso ricostruire la mia relazione amorosa e scambiare messaggi espliciti con donne che nemmeno conosco (la giustificazione secolare nel frequentare prostitute nasce da questo: due sfere diverse. L’intimità non viene violata, perché i sentimenti non sono messi in gioco). Il sexting, quindi, è una pratica ancora più moralistica: mette in moto il sesso senza intimità, e in più senza nemmeno coinvolgere i corpi nella pratica. Solo da lontano. E da lontano «non è peccato». La mancanza di sesso concreto, quindi, instaura una parentela di tipo etico tra castità e sesso virtuale. Però si può ritenere la castità una scelta meno moralistica del sexting. Perché non è alla ricerca della salvezza, soltanto di un modo di stare al mondo, casomai difendendosi dalle delusioni. Invece il sesso virtuale è un modo di avere rapporti con tanti senza essere avvicinati da nessuno. Senza che possa esistere il luogo del delitto.
Il sesso virtuale sta deviando dalle funzioni che gli avevamo affidato all’inizio, così come sta accadendo con i social network: il compito dell’allargamento del tempo di frequentazione, della presenza anche durante l’assenza, era un compito che non doveva sostituire il rapporto, bensì accrescerlo. Farlo dilagare. Pian piano, abbiamo scoperto che potevamo, invece che darci un appuntamento per un aperitivo o un caffè e chiacchierare, comunicare in modo costante per tutto il giorno da lontano, e quindi non riempire il tempo dell’attesa o il tempo dell’abbandono, il prima e dopo l’incontro; ma sostituirlo. È una pratica antica: la diffusione del telefono ha fatto lo stesso. Ha sostituito gli incontri con lunghe telefonate e perfino gli incontri sessuali con pratiche autoerotiche in contemporanea. Così, il sesso virtuale ha aumentato la quantità di partner (cosa costa in fondo giocare un po’ da lontano?), ma ha diminuito la sessualità reale. È diventato soddisfacente. È un risultato in qualche modo prodigioso, ma rimane qualcosa che non funziona.
Il sesso è soprattutto intimità e memoria. Il sesso è ricerca di una conoscenza intima, è messa in moto di memoria. Perfino l’autoerotismo serve a creare una memoria fittizia di coloro che desidereremmo avere e non abbiamo — e se poi succede siamo più pronti, vediamo soddisfatto un desiderio non più astratto, ma più volte vissuto nella testa (si può anche dire: in modo letterario). Certo, parlare di sentimenti può sembrare eccessivo (si possono mettere in moto i sentimenti a ogni incontro sessuale?), quindi è più opportuno parlare di altro: coinvolgimento, curiosità, voglia di conoscere di più. Una relazione vuol dire andare a cena insieme, indagare e occuparsi della vita dell’altro. Se una persona ti interessa sessualmente, e la vuoi rivedere, in modo naturale instauri una confidenza, entri nella sua esistenza, impari i nomi dei genitori (o dei figli), patisci per una sconfitta professionale o per l’attesa di un esame medico. Non puoi fare a meno della complicità.
La questione fondamentale, alla fine, è che se si trova un essere umano con il quale il tuo corpo è in armonia, questo è un bene prezioso, un investimento magnifico, ed è assurdo trascurarlo, lasciarlo andare via. È uno spreco di piacere e felicità possibili. Per questo motivo, la serialità è, d’altra parte, una lunghissima lista di occasioni perdute. Il sesso è concretezza. È un incontro. Il sesso virtuale può essere approccio per l’incontro reale; oppure, continuazione dell’intimità sessuale: ci desideriamo così tanto che, oltre a vederci, ci mandiamo foto e messaggi erotici. Lo facciamo nell’attesa e nell’abbandono. Prima e dopo. Ma tra virtuale e virtuale, in mezzo c’è il reale.
Una regola semplice per gli incontri sessuali potrebbe essere questa: si fa sesso con persone con le quali si va volentieri a cena. Che vuol dire: relazione, curiosità, tempo da passare insieme. Che vuol dire presenza nella propria vita, in qualche modo, anche clandestino, di una persona con la quale si è stati in un letto nudi a toccarsi. È una regola minima, una formula di intimità nemmeno troppo coinvolgente, che può essere praticata da tutti. Sembra poco, ma è tantissimo.
«Corriere della Sera - suppl. La lettura» dell'11 agosto 2013
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