La legge proposta è superflua e rischiosa? Chiarire si può
di Francesco D'Agostino
Tra i primi disegni di legge presentati nella nuova legislatura spicca quello per la criminalizzazione dell’omofobia: è stato depositato poche settimane fa alla Camera, supportato dalle firme di più di duecento deputati, le prime delle quali sono quelle di Scalfarotto (Pd), Tinagli (Scelta Civica), Zan (Sel), Chimienti (Movimento 5 Stelle). I proponenti non negano ovviamente che violenze omofobe possano già essere punite in base alle leggi vigenti, ma osservano che tale punibilità, ove non si prevedano ulteriori specifiche norme penali, ha poca visibilità simbolica e non risponde adeguatamente alle istanze che hanno portato l’Unione Europea, già da molti anni, a proclamare una “Giornata internazionale contro l’omofobia” (che ricorre il 17 maggio) e a richiedere a tutti i Paesi europei forti iniziative in tal senso. Se, come ha detto il presidente Napolitano lo scorso maggio in un importante discorso, «il contrasto all’omofobia deve costituire un impegno fermo e costante non solo per le istituzioni, ma per la società tutta» è più che ragionevole –si dice da parte dei fautori del disegno di legge – che il Parlamento italiano rafforzi la nostra legislazione e la adegui a quella dei tanti Paesi europei che già si sono mossi in questo senso.
Non tutti ne sono convinti. Molti - anche su queste colonne lo si è scritto più volte – pensano che questo progetto di legge sia superfluo, ricordando che il nostro ordinamento giuridico proibisce severamente ogni aggressione all’ integrità fisica e morale delle persone e che sono già previsti nel nostro codice come aggravanti i “motivi abietti”, quelli che stanno alla base delle violenze e delle aggressioni omofobe. Accanto a questo argomento, inoppugnabile, ne viene avanzato anche un altro e, a mio parere, di maggior rilievo. Se approvata, la nuova normativa contro l’omofobia metterebbe in pericolo la libertà di espressione, di ricerca scientifica e di religione: e questo perché qualsiasi giudizio critico che qualifichi come innaturali tutte le pratiche non eterosessuali potrebbe essere qualificato come omofobo e diventare l’occasione per aggredire penalmente chi lo avesse formulato. Si tratta di un’obiezione particolarmente pesante, perché mette in gioco né più né meno che il rispetto dei valori fondanti di una società libera come la nostra.
È indubbio che della forza di questa obiezione i promotori del disegno di legge sembra che siano ben consapevoli. La fronteggiano infatti, ed esplicitamente, nella relazione introduttiva all’ articolato, osservando che ciò che si vuole sanzionare con il loro disegno di legge non sono idee, ma «condotte», specifiche e puntuali, tali da tradursi nell’istigazione a commettere vere e proprie violenze. E per non lasciare equivoci, essi scrivono che non solo non si intende sanzionare opinioni fondate e argomentate, ma nemmeno «mere» opinioni, «quand’anche esse esprimano un pregiudizio».
Sono sufficienti queste dichiarazioni per fugare le perplessità? No. Da più parti si sottolinea che potrebbe essere denunciato come istigazione all’omofobia anche il semplice definire «perversione» l’omosessualità (utilizzando un’espressione oggi desueta, ma condivisa fino a pochi anni fa da decine di studiosi di psicopatologie sessuali) o il qualificarla «peccaminosa» (come fece, venendo poi sanzionato, un pastore luterano svedese dal pulpito della sua chiesa). Il nocciolo del problema quindi è piuttosto spinoso. È indubbio che alla convinzione diffusa e sacrosanta che ritiene intollerabile ogni forma di discriminazione sociale contro gli omosessuali, si accompagni da parte di molti militanti di movimenti gay la pretesa di squalificare ideologicamente e reprimere giuridicamente ogni forma di indagine antropologica, psicologica, filosofica, religiosa a carico dell’omosessualità stessa. È una pretesa indebita e inaccettabile, che può arrivare a sostenere che chi si dichiara contrario alle nozze gay va ritenuto oggettivamente un omofobo.
Se i firmatari del disegno di legge contro l’omofobia sono davvero convinti che le «opinioni» devono restare libere e insindacabili, «quand’anche esse esprimano un pregiudizio», basta, per intanto che facciano una cosa: introducano nel disegno di legge un articolo di legge, nel quale si riconosca senza la possibilità di alcun equivoco l’insindacabilità giudiziaria di qualsiasi giudizio, antropologico, psicologico, religioso, pur se severamente critico, sugli stili di vita omosessuali; affermino che oltre che le pratiche materialmente violente, solo l’istigazione alla violenza contro gli omosessuali e alla loro discriminazione sociale potrà essere punibile: ma niente di più.
In buona sostanza, si tratta di estendere all’omosessualità la “clausola di garanzia” che è implicitamente in vigore negli stati liberali moderni per gli stili di vita eterosessuali, anche nelle loro forme estreme. Non ho il diritto di incitare chi mi ascolta a far perire tra le fiamme chi vive da libertino (come il Don Giovanni di Mozart), ma ho l’assoluto diritto di criticare il libertinismo sessuale, anche con le parole più dure, senza essere accusato di «sessuofobia». Tutto qui. Se dietro il dibattito sulla repressione dell’omofobia non si innestano atteggiamenti ideologici e soprattutto anticlericali, lo si dimostri.
Non tutti ne sono convinti. Molti - anche su queste colonne lo si è scritto più volte – pensano che questo progetto di legge sia superfluo, ricordando che il nostro ordinamento giuridico proibisce severamente ogni aggressione all’ integrità fisica e morale delle persone e che sono già previsti nel nostro codice come aggravanti i “motivi abietti”, quelli che stanno alla base delle violenze e delle aggressioni omofobe. Accanto a questo argomento, inoppugnabile, ne viene avanzato anche un altro e, a mio parere, di maggior rilievo. Se approvata, la nuova normativa contro l’omofobia metterebbe in pericolo la libertà di espressione, di ricerca scientifica e di religione: e questo perché qualsiasi giudizio critico che qualifichi come innaturali tutte le pratiche non eterosessuali potrebbe essere qualificato come omofobo e diventare l’occasione per aggredire penalmente chi lo avesse formulato. Si tratta di un’obiezione particolarmente pesante, perché mette in gioco né più né meno che il rispetto dei valori fondanti di una società libera come la nostra.
È indubbio che della forza di questa obiezione i promotori del disegno di legge sembra che siano ben consapevoli. La fronteggiano infatti, ed esplicitamente, nella relazione introduttiva all’ articolato, osservando che ciò che si vuole sanzionare con il loro disegno di legge non sono idee, ma «condotte», specifiche e puntuali, tali da tradursi nell’istigazione a commettere vere e proprie violenze. E per non lasciare equivoci, essi scrivono che non solo non si intende sanzionare opinioni fondate e argomentate, ma nemmeno «mere» opinioni, «quand’anche esse esprimano un pregiudizio».
Sono sufficienti queste dichiarazioni per fugare le perplessità? No. Da più parti si sottolinea che potrebbe essere denunciato come istigazione all’omofobia anche il semplice definire «perversione» l’omosessualità (utilizzando un’espressione oggi desueta, ma condivisa fino a pochi anni fa da decine di studiosi di psicopatologie sessuali) o il qualificarla «peccaminosa» (come fece, venendo poi sanzionato, un pastore luterano svedese dal pulpito della sua chiesa). Il nocciolo del problema quindi è piuttosto spinoso. È indubbio che alla convinzione diffusa e sacrosanta che ritiene intollerabile ogni forma di discriminazione sociale contro gli omosessuali, si accompagni da parte di molti militanti di movimenti gay la pretesa di squalificare ideologicamente e reprimere giuridicamente ogni forma di indagine antropologica, psicologica, filosofica, religiosa a carico dell’omosessualità stessa. È una pretesa indebita e inaccettabile, che può arrivare a sostenere che chi si dichiara contrario alle nozze gay va ritenuto oggettivamente un omofobo.
Se i firmatari del disegno di legge contro l’omofobia sono davvero convinti che le «opinioni» devono restare libere e insindacabili, «quand’anche esse esprimano un pregiudizio», basta, per intanto che facciano una cosa: introducano nel disegno di legge un articolo di legge, nel quale si riconosca senza la possibilità di alcun equivoco l’insindacabilità giudiziaria di qualsiasi giudizio, antropologico, psicologico, religioso, pur se severamente critico, sugli stili di vita omosessuali; affermino che oltre che le pratiche materialmente violente, solo l’istigazione alla violenza contro gli omosessuali e alla loro discriminazione sociale potrà essere punibile: ma niente di più.
In buona sostanza, si tratta di estendere all’omosessualità la “clausola di garanzia” che è implicitamente in vigore negli stati liberali moderni per gli stili di vita eterosessuali, anche nelle loro forme estreme. Non ho il diritto di incitare chi mi ascolta a far perire tra le fiamme chi vive da libertino (come il Don Giovanni di Mozart), ma ho l’assoluto diritto di criticare il libertinismo sessuale, anche con le parole più dure, senza essere accusato di «sessuofobia». Tutto qui. Se dietro il dibattito sulla repressione dell’omofobia non si innestano atteggiamenti ideologici e soprattutto anticlericali, lo si dimostri.
«Avvenire» del 27 giugno 2013