Le nuove tecnologie servono a poco senza un sostema educativo
di Roberto Carnero
Sono stati diffusi in questi giorni i primi dati relativi a una maxi-sperimentazione sull’uso delle tecnologie digitali a scuola. Il progetto si chiama Generazione Web Lombardia ed è partito l’estate scorsa su iniziativa della Regione che, insieme con il Ministero dell’Istruzione, ha stanziato complessivamente 12 milioni di euro, per dotare oltre 300 scuole superiori lombarde (licei, istituti tecnici, istituti professionali) di computer e tablet.
Prima di entrare nel dettaglio di quanto è emerso da questo primo anno scolastico di 'classi digitali', premettiamo, a scanso di equivoci, che siamo convinti che tale aggiornamento tecnologico sia positivo e necessario. I dati Ocse parlano chiaro: se a livello europeo la media degli studenti che utilizzano le tecnologie per studiare è del 48%, in Italia siamo appena al 30%. Da noi soltanto nel 16% delle classi c’è una lim (lavagna interattiva multimediale); nel Regno Unito sono all’80%. Tuttavia l’esperienza di questi mesi in Lombardia evidenzia alcune problematiche. Innanzitutto le licenze dei testi digitali hanno una scadenza: dopo un anno scolastico non sono più accessibili.
Dunque diventa impossibile andare a consultare, all’occorrenza, il volume dell’anno precedente o utilizzare il libro, poniamo, del fratello o della sorella maggiore. E qui siamo al capitolo risparmio per le famiglie, argomento tra i più gettonati dai fautori dei manuali elettronici al posto di quelli cartacei. È vero che un ebook costa meno di un tomo tradizionale (ma certamente non è gratuito: gli autori e le case editrici devono essere remunerati per il loro lavoro), però le scuole che hanno aderito alla sperimentazione si sono rese conto che mantenere in funzionamento centinaia di computer è piuttosto oneroso.
Da qui l’idea, dal prossimo settembre, di chiedere un contributo economico ai genitori. Altre criticità riguardano le connessioni web non sempre efficienti, quando nello stesso momento decine di classi di uno stesso istituto cercano di connettersi tramite i tablet. Anche in questo caso, per avere connessioni più potenti, si tratterebbe di spendere più soldi. Tutti questi che abbiamo citato sono aspetti che potrebbero essere migliorati e problemi che potrebbero essere risolti. Gli insegnanti che hanno partecipato alla sperimentazione sottolineano, però, anche una questione di ordine più generale, che ha a che fare con l’apprendimento in sé tramite strumenti multimediali: per molti ragazzi il tablet sul banco significa una potentissima possibilità di distrazione.
Quanti studenti, potendo decidere che cosa fare con il loro tablet, sceglierebbero di seguire un’impegnativa spiegazione di Storia o di Matematica? E quanti invece preferirebbero navigare in siti più ameni o magari chattare tramite skype con qualche loro compagno? Dunque, da parte dei docenti che stanno provando le meraviglie della 'scuola 2.0' emerge la richiesta di non sostituire del tutto i libri tradizionali con quelli elettronici e di non abbandonare completamente la carta a vantaggio dello schermo. Il manuale cartaceo può continuare a costituire il centro di un processo di apprendimento, integrabile, magari per i compiti e per lo studio domestico, con le nuove tecnologie.
I dati della sperimentazione lombarda danno ragione alle perplessità di molti, come il filosofo Giovanni Reale, autore, per l’Editrice La Scuola, di un pamphlet intitolato Salvare la scuola nell’era digitale (su queste pagine l’ha intervistato Roberto I. Zanini, lo scorso 1° maggio). Sarebbe illusorio e ingenuo pensare che la crisi della scuola possa essere affrontata soltanto attraverso l’introduzione delle nuove tecnologie. Queste sono strumenti, niente più. A volte pure con dei limiti. Ciò che davvero conta è ridare forza e autorevolezza a un sistema educativo e al quadro di valori su cui si fonda. E in questo il rapporto tra le persone, cioè tra gli insegnanti e gli studenti, sarà sempre più importante dell’utilizzo delle macchine.
Prima di entrare nel dettaglio di quanto è emerso da questo primo anno scolastico di 'classi digitali', premettiamo, a scanso di equivoci, che siamo convinti che tale aggiornamento tecnologico sia positivo e necessario. I dati Ocse parlano chiaro: se a livello europeo la media degli studenti che utilizzano le tecnologie per studiare è del 48%, in Italia siamo appena al 30%. Da noi soltanto nel 16% delle classi c’è una lim (lavagna interattiva multimediale); nel Regno Unito sono all’80%. Tuttavia l’esperienza di questi mesi in Lombardia evidenzia alcune problematiche. Innanzitutto le licenze dei testi digitali hanno una scadenza: dopo un anno scolastico non sono più accessibili.
Dunque diventa impossibile andare a consultare, all’occorrenza, il volume dell’anno precedente o utilizzare il libro, poniamo, del fratello o della sorella maggiore. E qui siamo al capitolo risparmio per le famiglie, argomento tra i più gettonati dai fautori dei manuali elettronici al posto di quelli cartacei. È vero che un ebook costa meno di un tomo tradizionale (ma certamente non è gratuito: gli autori e le case editrici devono essere remunerati per il loro lavoro), però le scuole che hanno aderito alla sperimentazione si sono rese conto che mantenere in funzionamento centinaia di computer è piuttosto oneroso.
Da qui l’idea, dal prossimo settembre, di chiedere un contributo economico ai genitori. Altre criticità riguardano le connessioni web non sempre efficienti, quando nello stesso momento decine di classi di uno stesso istituto cercano di connettersi tramite i tablet. Anche in questo caso, per avere connessioni più potenti, si tratterebbe di spendere più soldi. Tutti questi che abbiamo citato sono aspetti che potrebbero essere migliorati e problemi che potrebbero essere risolti. Gli insegnanti che hanno partecipato alla sperimentazione sottolineano, però, anche una questione di ordine più generale, che ha a che fare con l’apprendimento in sé tramite strumenti multimediali: per molti ragazzi il tablet sul banco significa una potentissima possibilità di distrazione.
Quanti studenti, potendo decidere che cosa fare con il loro tablet, sceglierebbero di seguire un’impegnativa spiegazione di Storia o di Matematica? E quanti invece preferirebbero navigare in siti più ameni o magari chattare tramite skype con qualche loro compagno? Dunque, da parte dei docenti che stanno provando le meraviglie della 'scuola 2.0' emerge la richiesta di non sostituire del tutto i libri tradizionali con quelli elettronici e di non abbandonare completamente la carta a vantaggio dello schermo. Il manuale cartaceo può continuare a costituire il centro di un processo di apprendimento, integrabile, magari per i compiti e per lo studio domestico, con le nuove tecnologie.
I dati della sperimentazione lombarda danno ragione alle perplessità di molti, come il filosofo Giovanni Reale, autore, per l’Editrice La Scuola, di un pamphlet intitolato Salvare la scuola nell’era digitale (su queste pagine l’ha intervistato Roberto I. Zanini, lo scorso 1° maggio). Sarebbe illusorio e ingenuo pensare che la crisi della scuola possa essere affrontata soltanto attraverso l’introduzione delle nuove tecnologie. Queste sono strumenti, niente più. A volte pure con dei limiti. Ciò che davvero conta è ridare forza e autorevolezza a un sistema educativo e al quadro di valori su cui si fonda. E in questo il rapporto tra le persone, cioè tra gli insegnanti e gli studenti, sarà sempre più importante dell’utilizzo delle macchine.
«Avvenire» del 14 maggio 2013
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