Alcune strane polemiche sull'attualissima riflessione del cardinale Scola
di Carlo Cardia
di Carlo Cardia
In un passaggio centrale
del discorso di Sant’Ambrogio quest’anno dedicato anche alla celebrazione del
XVII centenario dell’Editto di Milano del 313, l’Arcivescovo della Diocesi
Ambrosiana ha ricordato che «imporre o proibire per legge pratiche religiose,
nell’ovvia improbabilità di modificare pure le corrispondenti credenze
personali, non fa che accrescere quei risentimenti che si manifestano poi, sulla
scena pubblica, come conflitti». Il cardinale Angelo Scola ha quindi segnalato
il rischio di una laicità negativa che si afferma quando lo Stato pretende di
agire sulla società civile, comprimendone le identità più profonde, strutturando
istituti essenziali della vita collettiva in una visione secolarizzata che
diviene egemonica, dimentica il contributo che la religione e le comunità
religiose recano alla coesione, alla solidarietà, alla promozione della persona
umana.
Si tratta di una riflessione di ampio respiro sui problemi della modernità interculturale, sulle tensioni che in alcuni Paesi affiorano, si radicalizzano, per una chiusura delle leggi e delle istituzioni alla dimensione antropologica e sociale della persona. Il tentativo di fare leggi e agire nel pubblico come se la religione non esistesse è propria della tradizione illuminista e francese, ma oggi diviene più gravido di conseguenze perché si rivolge contro la concezione umanistica della nascita, del matrimonio, dell’educazione, della tutela della vita, sfiora il destino stesso dell’uomo.
Gli esempi sono davanti a noi tutti i giorni. Con grande imbarazzo, in alcuni ordinamenti si vuole stravolgere il concetto di matrimonio radicato da sempre nella storia umana, negandone la base dell’eterosessualità, con il conseguente affidamento dei minori a coppie non eterosessuali, e la definitiva aberrante conclusione di cancellare i concetti di padre e di madre, per sostituirli con quelli di genitore 1 e di genitore 2, genitore A e genitore B. In Francia, addirittura, gli interventi a difesa della naturalità della famiglia e del matrimonio dei cattolici, dei protestanti e del gran rabbino di Francia sono stati criticati come 'invasivi' del campo della politica, quasi che le Chiese e chi ha una visione antropologica umanista delle relazioni elementari debbano tacere perché lo Stato li giudica 'incompetenti' a pronunciarsi su queste materie. In altri Paesi, le comunità confessionali si vedono imporre obblighi che violano la liberta religiosa in modo clamoroso, dovendo assicurare ai propri dipendenti i mezzi per interventi contraccettivi, abortivi, o dovendo dare in affidamento i bambini che accudiscono a coppie di persone dello stesso sesso.
In Italia e in Europa si profila una strategia punitiva verso le attività senza fini di lucro che la Chiese e altri soggetti svolgono nell’educazione, nell’assistenza, nella sanità, che rafforzano l’ossatura dello Stato sociale ad esclusivo vantaggio di chi ha di meno o, come gli immigrati, non ha niente di proprio su cui sperare o investire.
Basterebbero questi riferimenti per cogliere l’attualità e il valore strategico del discorso del cardinale Scola nell’affrontare un tema che interessa tutti. Si rimane perciò stupefatti di fronte ad alcuni interventi sulla stampa che ne hanno stravolto il significato quasi che contenesse un attacco alla laicità dello Stato, alla sua neutralità in ambito religioso. La riflessione sull’Editto di Costantino dice esattamente il contrario. La libertà religiosa è conquista preziosa per la società e per l’umanità, come lo è la laicità dello Stato, ma né l’una né l’altra possono essere deformate, rovesciate per farne strumenti di emarginazione. La libertà religiosa non può diventare la libertà di praticare il culto in privato e di tacere in pubblico, come la laicità dello Stato non può essere il grimaldello per abbattere la visione solidarista dei rapporti umani e interpretarli e disciplinarli in ottica egoistica e secolarizzata. Se la laicità dello Stato comporta la cancellazione dei credenti e la riduzione dei loro diritti, se implica l’emarginazione delle Chiese a mere associazioni prive di dimensione pubblica, che devono nascondere i propri simboli e alle quali si impongono obblighi di ogni genere, anche contrari alle rispettive identità, non siamo di fronte ad una Stato laico, ma ad un ordinamento che fa della secolarizzazione una ideologia di Stato, uno strumento per dare voce solo a quanti vogliono oscurare e spegnere la voce della fede, la pratica dell’altruismo, la solidarietà per i più piccoli.
Benedetto XVI ha ripetutamente insistito su questo punto: laicità non vuol dire chiusura e ostilità alla religione, ma deve significare libertà piena, accoglienza, condivisione di valori, crescita culturale e spirituale per tutti.
Si tratta di una riflessione di ampio respiro sui problemi della modernità interculturale, sulle tensioni che in alcuni Paesi affiorano, si radicalizzano, per una chiusura delle leggi e delle istituzioni alla dimensione antropologica e sociale della persona. Il tentativo di fare leggi e agire nel pubblico come se la religione non esistesse è propria della tradizione illuminista e francese, ma oggi diviene più gravido di conseguenze perché si rivolge contro la concezione umanistica della nascita, del matrimonio, dell’educazione, della tutela della vita, sfiora il destino stesso dell’uomo.
Gli esempi sono davanti a noi tutti i giorni. Con grande imbarazzo, in alcuni ordinamenti si vuole stravolgere il concetto di matrimonio radicato da sempre nella storia umana, negandone la base dell’eterosessualità, con il conseguente affidamento dei minori a coppie non eterosessuali, e la definitiva aberrante conclusione di cancellare i concetti di padre e di madre, per sostituirli con quelli di genitore 1 e di genitore 2, genitore A e genitore B. In Francia, addirittura, gli interventi a difesa della naturalità della famiglia e del matrimonio dei cattolici, dei protestanti e del gran rabbino di Francia sono stati criticati come 'invasivi' del campo della politica, quasi che le Chiese e chi ha una visione antropologica umanista delle relazioni elementari debbano tacere perché lo Stato li giudica 'incompetenti' a pronunciarsi su queste materie. In altri Paesi, le comunità confessionali si vedono imporre obblighi che violano la liberta religiosa in modo clamoroso, dovendo assicurare ai propri dipendenti i mezzi per interventi contraccettivi, abortivi, o dovendo dare in affidamento i bambini che accudiscono a coppie di persone dello stesso sesso.
In Italia e in Europa si profila una strategia punitiva verso le attività senza fini di lucro che la Chiese e altri soggetti svolgono nell’educazione, nell’assistenza, nella sanità, che rafforzano l’ossatura dello Stato sociale ad esclusivo vantaggio di chi ha di meno o, come gli immigrati, non ha niente di proprio su cui sperare o investire.
Basterebbero questi riferimenti per cogliere l’attualità e il valore strategico del discorso del cardinale Scola nell’affrontare un tema che interessa tutti. Si rimane perciò stupefatti di fronte ad alcuni interventi sulla stampa che ne hanno stravolto il significato quasi che contenesse un attacco alla laicità dello Stato, alla sua neutralità in ambito religioso. La riflessione sull’Editto di Costantino dice esattamente il contrario. La libertà religiosa è conquista preziosa per la società e per l’umanità, come lo è la laicità dello Stato, ma né l’una né l’altra possono essere deformate, rovesciate per farne strumenti di emarginazione. La libertà religiosa non può diventare la libertà di praticare il culto in privato e di tacere in pubblico, come la laicità dello Stato non può essere il grimaldello per abbattere la visione solidarista dei rapporti umani e interpretarli e disciplinarli in ottica egoistica e secolarizzata. Se la laicità dello Stato comporta la cancellazione dei credenti e la riduzione dei loro diritti, se implica l’emarginazione delle Chiese a mere associazioni prive di dimensione pubblica, che devono nascondere i propri simboli e alle quali si impongono obblighi di ogni genere, anche contrari alle rispettive identità, non siamo di fronte ad una Stato laico, ma ad un ordinamento che fa della secolarizzazione una ideologia di Stato, uno strumento per dare voce solo a quanti vogliono oscurare e spegnere la voce della fede, la pratica dell’altruismo, la solidarietà per i più piccoli.
Benedetto XVI ha ripetutamente insistito su questo punto: laicità non vuol dire chiusura e ostilità alla religione, ma deve significare libertà piena, accoglienza, condivisione di valori, crescita culturale e spirituale per tutti.
Avvenire» dell'8 dicembre 2012
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