di Juan Carlos de Martin
Sul rapporto tra Web e democrazia si è scritto e detto molto, a partire da Obama 2008 per arrivare ai successi del Movimento 5 Stelle in Italia e del Partito Pirata in Germania. È stata una discussione spesso poco produttiva. Un anno fa , ad esempio, in molti criticarono la tesi che Twitter e Facebook avessero direttamente causato la Primavera araba.
Peccato, però, che nessuno di serio sostenesse tale tesi. Come è chiaro, infatti, anche al più entusiasta fan dei social network, tali strumenti sono facilitatori di determinati movimenti sociali, non certo cause prime. Per non parlare del fatto che Twitter e Facebook possono anche essere usati a fini di sorveglianza, delazione e propaganda. Insomma, un ruolo complesso, impossibile da ridurre a formule semplicistiche né in un senso (Internet non conta nulla) né nell’altro (Internet provoca rivoluzioni).
Più di recente, parlando di Movimento 5 Stelle e di Partito Pirata, si è diffusa una posizione anch’essa, a mio avviso, di scarsa utilità analitica: “la democrazia non può ridursi a Internet”, spesso accompagnata da allusioni a presunti pericoli della Rete. Di nuovo, tutti d’accordo: ovvio che la democrazia non possa ridursi a Internet. Ma proprio per questo, osservazione poco utile.
Molto più fruttuoso porsi, invece, la domanda: Internet, mezzo di comunicazione con aspetti oggettivamente diversi rispetto alle tecnologie precedenti (telefono, radio, TV), quale ruolo può avere nella democrazia di inizio 21° secolo? Più specificamente, quale ruolo nel plasmare le interazioni tra Stato e cittadini? Quale ruolo nel rendere possibili partiti diversi dagli attuali? Quale ruolo nello strutturare nuove e più efficaci forme di dialogo tra eletti ed elettori? Quale ruolo nel dar forma a una sfera pubblica migliore, non solo a livello locale e italiano, ma anche europeo e globale? Il tutto - e così prevengo un’altra osservazione piuttosto diffusa - tassativamente non in alternativa alle forme pre-esistenti di interazione - di persona e tramite i media tradizionali - ma al fianco di esse, in costante arricchimento reciproco.
Sono queste alcune domande chiave se vogliamo parlare di Internet e democrazia. E sono domande a cui è terribilmente difficile dare risposta perchè, data la potenza di Internet, ci impongono - se si vuole essere seri - un ripensamento radicale di come strutturare, per esempio, un partito politico. Prendiamo proprio il partito come caso di studio: con Internet a disposizione (oltre a sedi fisiche, volantini, eccetera), nel 2012 come faremmo un partito politico se potessimo partire da zero? Domanda che non significa affatto, come a volte qualcuno sembra credere, voler intaccare la dignità dei partiti, ne’ men che meno ignorare la loro storia o la mole di conoscenze disponibili sull’argomento, anzi. Significa porsi onestamente la domanda di come sarebbe ottimale strutturare un partito avendo a disposizione una tecnologia che consente, con bassi costi e grande intuitività, di mettere in contatto - in tutti i modi: uno-a-uno, unoa-molti, molti-a-molti - militanti e dirigenti, eletti ed elettori, simpatizzanti e iscritti, partito e altri partiti, partito e istituzioni, eccetera. Per scambiare informazioni, per discutere, per educare, per decidere, per raccogliere fondi. Significa chiedersi seriamente cosa conservare e cosa buttare della forma partito attuale; cosa tenere identico e cosa mutare poco o tanto. Perchè è chiaro a chiunque conosca la Rete che il potenziale di miglioramento rispetto alla situazione attuale è molto grande.
Fatta questa analisi, sulla forma partito come sugli altri aspetti Internet e democrazia, il resto (software incluso) segue. Ma è un’analisi ardua, sia per le difficoltà concettuali che pone, sia per le ovvie resistenze dell’esistente, che non ama mai farsi mettere in discussione, soprattutto se il cambiamento rischia di toccare la mappa del potere. Una sfida impegnativa. Tuttavia i primi che l’affronteranno con serietà si ritroveranno in mano i mattoni con cui verrà costruita la democrazia dei prossimi decenni. Superiamo dunque le reazioni istintive, che ci lasciano in superficie, e concentriamo le energie a progettare il futuro. E’ un compito particolarmente rilevante per le forze politiche che sinceramente credono nella democrazia: se non si guadagneranno la guida del cambiamento, infatti, saranno - per legge inesorabile della politica - altri a farlo. Col rischio che questi altri usino la Rete più per cementare il proprio potere che per favorire lo sviluppo di una democrazia più compiuta di quella attuale. E’ un rischio che non possiamo permetterci di correre. Per cortesia, dunque, mettersi intorno alla lavagna coi computer sulle ginocchia: c’è molto da pensare, c’è molto da fare.
Peccato, però, che nessuno di serio sostenesse tale tesi. Come è chiaro, infatti, anche al più entusiasta fan dei social network, tali strumenti sono facilitatori di determinati movimenti sociali, non certo cause prime. Per non parlare del fatto che Twitter e Facebook possono anche essere usati a fini di sorveglianza, delazione e propaganda. Insomma, un ruolo complesso, impossibile da ridurre a formule semplicistiche né in un senso (Internet non conta nulla) né nell’altro (Internet provoca rivoluzioni).
Più di recente, parlando di Movimento 5 Stelle e di Partito Pirata, si è diffusa una posizione anch’essa, a mio avviso, di scarsa utilità analitica: “la democrazia non può ridursi a Internet”, spesso accompagnata da allusioni a presunti pericoli della Rete. Di nuovo, tutti d’accordo: ovvio che la democrazia non possa ridursi a Internet. Ma proprio per questo, osservazione poco utile.
Molto più fruttuoso porsi, invece, la domanda: Internet, mezzo di comunicazione con aspetti oggettivamente diversi rispetto alle tecnologie precedenti (telefono, radio, TV), quale ruolo può avere nella democrazia di inizio 21° secolo? Più specificamente, quale ruolo nel plasmare le interazioni tra Stato e cittadini? Quale ruolo nel rendere possibili partiti diversi dagli attuali? Quale ruolo nello strutturare nuove e più efficaci forme di dialogo tra eletti ed elettori? Quale ruolo nel dar forma a una sfera pubblica migliore, non solo a livello locale e italiano, ma anche europeo e globale? Il tutto - e così prevengo un’altra osservazione piuttosto diffusa - tassativamente non in alternativa alle forme pre-esistenti di interazione - di persona e tramite i media tradizionali - ma al fianco di esse, in costante arricchimento reciproco.
Sono queste alcune domande chiave se vogliamo parlare di Internet e democrazia. E sono domande a cui è terribilmente difficile dare risposta perchè, data la potenza di Internet, ci impongono - se si vuole essere seri - un ripensamento radicale di come strutturare, per esempio, un partito politico. Prendiamo proprio il partito come caso di studio: con Internet a disposizione (oltre a sedi fisiche, volantini, eccetera), nel 2012 come faremmo un partito politico se potessimo partire da zero? Domanda che non significa affatto, come a volte qualcuno sembra credere, voler intaccare la dignità dei partiti, ne’ men che meno ignorare la loro storia o la mole di conoscenze disponibili sull’argomento, anzi. Significa porsi onestamente la domanda di come sarebbe ottimale strutturare un partito avendo a disposizione una tecnologia che consente, con bassi costi e grande intuitività, di mettere in contatto - in tutti i modi: uno-a-uno, unoa-molti, molti-a-molti - militanti e dirigenti, eletti ed elettori, simpatizzanti e iscritti, partito e altri partiti, partito e istituzioni, eccetera. Per scambiare informazioni, per discutere, per educare, per decidere, per raccogliere fondi. Significa chiedersi seriamente cosa conservare e cosa buttare della forma partito attuale; cosa tenere identico e cosa mutare poco o tanto. Perchè è chiaro a chiunque conosca la Rete che il potenziale di miglioramento rispetto alla situazione attuale è molto grande.
Fatta questa analisi, sulla forma partito come sugli altri aspetti Internet e democrazia, il resto (software incluso) segue. Ma è un’analisi ardua, sia per le difficoltà concettuali che pone, sia per le ovvie resistenze dell’esistente, che non ama mai farsi mettere in discussione, soprattutto se il cambiamento rischia di toccare la mappa del potere. Una sfida impegnativa. Tuttavia i primi che l’affronteranno con serietà si ritroveranno in mano i mattoni con cui verrà costruita la democrazia dei prossimi decenni. Superiamo dunque le reazioni istintive, che ci lasciano in superficie, e concentriamo le energie a progettare il futuro. E’ un compito particolarmente rilevante per le forze politiche che sinceramente credono nella democrazia: se non si guadagneranno la guida del cambiamento, infatti, saranno - per legge inesorabile della politica - altri a farlo. Col rischio che questi altri usino la Rete più per cementare il proprio potere che per favorire lo sviluppo di una democrazia più compiuta di quella attuale. E’ un rischio che non possiamo permetterci di correre. Per cortesia, dunque, mettersi intorno alla lavagna coi computer sulle ginocchia: c’è molto da pensare, c’è molto da fare.
«La stampa» del 25 giugno 2012
Nessun commento:
Posta un commento