12 febbraio 2012

Il potere di Internet è l’anonimato

La Primavera araba e Anonymous rilanciano la strategia dell’identità segreta online. Il progetto italiano di un’alleanza con l’Agenzia delle entrate per denunciare gli evasori
di Serena Danna
Governi e multinazionali ci spiano sul web? Le contromosse di hacker, accademici e utenti
Prima di concedere un’intervista alla «Lettura», Jacob Appelbaum, l’hacker più famoso d’America, chiede se può prendere informazioni. Apre il pc nero con etichetta TypePad e per tre minuti, sguardo fisso sullo schermo, fa vibrare la tastiera. La diffidenza dell’attivista digitale, ricercatore di computer science alla Washington University, non è eccessiva: da quando l’Fbi ha scoperto la sua attività di ambasciatore per Wikileaks — l’organizzazione internazionale guidata da Julian Assange che lo scorso anno ha fatto tremare i governi di tutto il mondo rivelando informazioni segrete — il ventottenne americano è pedinato come fosse un pericoloso terrorista.
Wikileaks è solo una delle attività di Appelbaum. Quella più importante si chiama Tor Project, un software che permette la navigazione anonima su Internet: «Con 500 mila utenti al giorno — spiega — Tor è diventato un’alternativa alla Rete sorvegliata da governi e dai colossi del web a caccia di dati personali da rivendere alle aziende».
Tre anni fa Facebook ha chiesto all’hacker di entrare nella squadra, ma Appelbaum ha rifiutato: «Rispetto Mark Zuckerberg ma il mio lavoro va in una direzione opposta: garantire a tutti gli utenti la libertà di espressione online, realizzare l’idea di democrazia alla base di Internet».
A questo servono le missioni di «alfabetizzazione digitale»: dall’Iran fino a Siria e Cina, Appelbaum tiene seminari e workshop per insegnare agli attivisti politici l’uso di Tor. «È noto come i regimi facciano un uso massiccio di sistemi di controllo e censura online», afferma. Utilizzando il sistema Tor, che tiene nascosto l’Ip della propria macchina (il codice che ne permette il riconoscimento), «la privacy degli utenti viene rispettata». Appelbaum è convinto che l’anonimato sia l’unico mezzo a disposizione dei cittadini per difendersi «dagli abusi di potere di governi e aziende».
È ormai chiaro che la direzione intrapresa da aziende come Google e Facebook vada verso una tracciabilità a 360 gradi degli utenti: il nuovo piano dell’azienda di Mountain View consiste nell’unificare in una sola normativa tutti i dati personali degli utenti provenienti dai vari servizi Google (Google+, YouTube, Gmail); quello di Palo Alto nella «condivisione senza attrito», un servizio che registra tutte le attività degli utenti fuori da Facebook per poi mostrarle sulla bacheca del social network.
Sul versante politico, negli stessi giorni in cui attivisti e utenti festeggiavano lo stop alla legge contro la pirateria informatica (Sopa), la rivista «New Scientist» pubblicava un documento secondo cui l’Fbi avrebbe aperto un bando per cercare aziende disposte a monitorare le informazioni scambiate sui social network con lo scopo di prevenire crimini e azioni terroristiche.
Una ricerca condotta nel 2010 dall’Internet Center dell’Elon University insieme al Pew Research Center’s Internet American Project ha chiesto a 895 esperti di web quale sarà il futuro dell’anonimato online: il 41% ha dichiarato che non esisterà più. Nell’ultimo anno e mezzo, le proteste che hanno interessato Medio Oriente, Nord Africa, Russia, insieme al consolidamento di organizzazioni come Anonymous, hanno ribaltato le aspettative. Dall’accademia alle strade passando per i laboratori informatici dove si sviluppano free software, la tutela dell’oblio è ritornata un obiettivo concreto: «L’anonimato è indispensabile per garantire alle persone la possibilità di comunicare liberamente senza paura di ritorsioni», spiega Appelbaum.
Ma come si fa con tutti quelli che utilizzano false identità per commettere oltraggi online? «Le persone che fanno un uso criminale della Rete — puntualizza il mediattivista — hanno i mezzi economici e cognitivi per sfuggire ai controlli, sono i “buoni” a non avere alternative: noi lavoriamo per gli utenti onesti, per garantire la loro libertà di espressione».
L’hacker invoca un principio molto dibattuto in passato dagli studiosi di new media: la net neutrality, la neutralità della Rete: «La tecnologia è un mezzo, l’uso che se ne fa non ci riguarda: ci limitiamo a mettere tutti nelle condizioni di utilizzarla».
D’accordo con Appelbaum, Arturo Filastò, programmatore informatico, conosciuto come «Hellais» nel mondo hacker. Filastò, che segue il progetto Tor per l’Italia, spiega: «Non è bloccando la produzione di coltelli che fermeremo gli omicidi nel mondo; così per la tecnologia: limitandone le possibilità, ridurremo solo lo sviluppo della società civile».
L’anonimato non tutela solo le popolazioni oppresse. Filastò illustra il progetto Globaleaks, una piattaforma per documenti e informazioni riservate, che, a differenza di Wikileaks, grazie al codice sorgente aperto, può essere utilizzata e modificata da tutti: «Permetterà a cittadini in possesso di notizie riguardanti la propria azienda, ufficio o governo di condividerli online», spiega. Un’altra applicazione possibile solo in condizioni di oblio riguarda il mondo dell’evasione fiscale: «Stiamo lavorando a un servizio “pubblico” di segnalazioni anonime di frodi fiscali. Grazie al nuovo accordo tra governo e Agenzia delle entrate — che manda nelle tasche dei Comuni il 100% delle somme recuperate — i Comuni avranno tutto l’interesse economico a segnalare i casi all’ Agenzia delle entrate». Senza la paura della vendetta del salumiere all’angolo e con i ringraziamenti del primo cittadino.
Fino a poco tempo fa, i commentatori anonimi online (quelli che amano riempire lo spazio dedicato ai commenti degli articoli con insulti e considerazioni inappropriate: «troll», in gergo) erano il primo bersaglio dei difensori della trasparenza, che vedono nel loro atteggiamento la conferma della cosiddetta «Greater Internet Fuckward Theory»: navigare online senza la responsabilità di un nome e cognome incentiverebbe comportamenti idioti e dannosi.
Come ha fatto notare Andrew Alexander, il conciliatore del «Washington Post», bisogna invece garantire agli utenti la possibilità di esprimersi attraverso qualsiasi identità: «La soluzione sta nel moderare meglio i commenti, non nel limitarli», ha scritto affidando il problema alla responsabilità di chi «gestisce» l’informazione e non a chi la produce. Insomma, quando un’opinione è interessante, lo è indipendentemente dall’identità vera o falsa dell’autore.
E se veterani della Rete come l’americano Dan Gillmor e il canadese Cory Doctorow difendono in ogni sede la possibilità di usare identità multiple online, Mariam Cook sul «Guardian» tira in ballo la Costituzione americana, che nel primo emendamento difende la tutela dell’anonimato: principio riconosciuto anche dalla Corte Suprema, che in più occasioni (l’ultima a proposito delle proteste di Occupy Wall Street lo scorso novembre), ne ha sancito l’importanza contro l’ingerenza del potere.
L’importanza assunta da Anonymous, il movimento di attivisti online e hacker che a partire dal 2008 ha messo a segno una serie di azioni contro governi e aziende, ha portato il dibattito dall’accademia dritto nell’immaginario dei cittadini di tutto il mondo. I cavalieri mascherati come Guy Fawkes (il cospiratore inglese del Seicento diventato protagonista della graphic novel V per Vendetta di Alan Moore e David Lloyd) si sono imposti nell’opinione pubblica con azioni eclatanti: guerra a Scientology, oscuramento dei siti dei governi di Tunisia ed Egitto, attacchi all’Fbi e alle banche, fino alla recente diffusione delle mail tra il dittatore siriano Assad e il suo staff.
Gabriella Coleman, docente di Scientific and Technological Literacy alla McGill University, esperta di hacking e attivismo digitale, sta lavorando a un libro sul movimento. «Ho iniziato a interessarmi al fenomeno nel 2008, mentre studiavo Scientology — racconta —. All’inizio pensavo fosse un progetto interessante ma marginale, come lo è, ad esempio, il free software: un segmento di ricerca fondamentale ma per nicchie. Certo, la prima volta che ho visto dei “geek” protestare contro una chiesa ho capito che c’era qualcosa di rivoluzionario nel metodo». Ci volevano degli hacker per sfidare il colosso Scientology: «I contestatori pre-Anonymous avevano paura di ritorsioni da parte loro», spiega Coleman.
Cosa ha trasformato un gruppo di «pirati informatici» in un movimento dal forte connotato politico? «È stato fondamentale — dice — aprire il movimento ai non-esperti di informatica, dando così la sensazione che tutti possono contribuire a cambiare il mondo attraverso Internet». L’anonimato resta cruciale: «Il fatto che nessuno conosca l’identità e il numero reale dei componenti, fa sembrare Anonymous un fenomeno molto più imponente di quello che è in realtà: 200 organizzatori/programmatori “attivi”».
Momento fondamentale per il consolidamento di Anonymous è stato per la studiosa la conferenza «Anonymous Codes: Disruption, Virality and the Lulz», tenuta il 4 febbraio al festival Transmediale di Berlino, quando sulla parete dell’aula sono apparsi due schermi: sul primo, in collegamento via Skype, c’era un rappresentante mascherato, sull’altro la proiezione di una chat del movimento che commentava in tempo reale la discussione. «Meraviglioso essere lì con il pubblico online e offline a discutere del futuro di Internet». Ma se il futuro sarà davvero anonimo è ancora tutto da vedere.
«Corriere della Sera» - supplemento "La lettuira" di febbraio 2012

Nessun commento:

Posta un commento