Rivoluzioni:diamo valore alle esperienze solo se possiamo condividerle online. Émile Zola aveva capito tutto: con qualche allarmeFacebook, dunque sono
di Nathan Jurgenson
Vivere la vita con un obiettivo: documentarla
Nel 1901 Émile Zola pronunciò la famosa frase: «Secondo me non si può dire di aver veramente visto una cosa finché non la si è fotografata». Oggi circola una battuta analoga: «Se la cosa non è stata pubblicata su Facebook, non è avvenuta». Chi utilizza Facebook, ha molti «amici» sul social network e vi accede parecchie volte al giorno, tende a percepire il mondo inmodo diverso. Siamo sempre più attenti all’impressione che darà di noi una foto su Facebook, all’aggiornamento del nostro profilo o a collegarci.
Mentre scrivo questo articolo in un caffè americano, posso accedere a Foursquare — il social network che permette di condividere la propria posizione geografica —, riportare su Twitter una battuta spiritosa sentita al tavolo accanto e scattare un’interessante fotografia della perfetta schiuma che aleggia sulla superficie del mio cappuccino. È facile: con il mio telefono posso fare in pochi minuti tutto questo e molto altro. E, soprattutto, le mie iniziative avranno un pubblico. Centinaia delle persone a cui sono più vicino le vedranno e qualcuno risponderà con commenti e con un «mi piace».
Mi sono abituato così a vedere il mondo in termini di quello che posso pubblicare (o non pubblicare) in Internet. Ho imparato a vivere e a presentare una vita che possa piacere. Molti hanno criticato Facebook perché trasforma la bellezza non quantificabile dell’esperienza umana in qualcosa che si possa inserire in un database, o perché abusa di quel database per procurarsi profitti favolosi. Sono critiche valide, ma la mia preoccupazione è che il vero potere dei social media sia quello di insinuarsi dentro di noi, cambiando il modo in cui la nostra coscienza percepisce il mondo, anche quando siamo disconnessi.
La fotografia di cui parlava Zola è stata inventata circa 150 anni fa e le nuove possibilità che ha aperto hanno fatto scalpore ovunque: potevamo documentare in modo nuovo noi stessi e il nostro mondo conmaggior dettaglio e in forma assai più duratura. Oggi i social media forniscono anch’essi un sistema nuovo, di ambito più largamente sociale, di documentare noi stessi, la vita e ilmondo. Mai prima d’ora era stato possibile registrare e mostrare a tutti i nostri amici un flusso di foto, pensieri e opinioni con questa intensità e facilità. Il potere di trasformazione dei social media è sicuramente di portata e significato simile all’invenzione della fotografia.
Il fotografo sa bene che dopo aver fatto molti scatti acquista un «occhio fotografico»: si comincia a vedere la realtà attraverso un mirino, a ragionare con la logica della macchina fotografica, in termini di inquadratura, luce, profondità di campo, messa a fuoco, movimento e così via. Anche senza avere la macchina a portata dimano, il mondo si trasforma in un potenziale set fotografico.
Oggi c’è il pericolo di acquisire un «occhio da Facebook»: il nostro cervello è sempre alla ricerca delle occasioni in cui il volatile momento dell’esperienza vissuta possa essere meglio tradotto in un post su Facebook, in un messaggio che possa attrarre il maggior numero di commenti e di gradimenti. Facebook fissa sempre il presente come un passato futuro. Con questo voglio dire che gli utenti dei social media sono sempre consapevoli che il presente è qualcosa che si può pubblicare online e che sarà consumato da altri. Siamo così presi dal pubblicare la nostra vita su Facebook da dimenticarci di viverla nel presente?
Pensate a una volta in cui avete fatto un viaggio con una macchina fotografica in mano e poi a un’altra in cui non l’avevate. L’esperienza è leggermente diversa. Abbiamo un rapporto diverso con la realtà quando non dobbiamo curarci di documentarla.
Oggi i social media ci mettono nella condizione di essere sempre in viaggio con la macchina fotografica in mano (metaforicamente e spesso letteralmente), di essere sempre in grado di documentare. Ultimamente, assistendo a spettacoli di musica dal vivo, ho notato che sempre più spesso la gente si distrae dallo spettacolo perché vuole scattare foto e riprendere video da mettere su Facebook e su YouTube. Quando la scorsa settimana ho preparato una colazione particolarmente appetitosa, ho messo la foto su Facebook ancor prima di assaggiarla. «L’occhio da Facebook» in azione.
Susan Sontag ha scritto che «tutto esiste per finire in una fotografia»; oggi potremmo dire che, sempre più, la maggior parte di quel che facciamo esiste per finire su Facebook. Il cane dell’esperienza vissuta viene fatto scodinzolare dalla coda Facebook.
(Traduzione di Maria Sepa)
Mentre scrivo questo articolo in un caffè americano, posso accedere a Foursquare — il social network che permette di condividere la propria posizione geografica —, riportare su Twitter una battuta spiritosa sentita al tavolo accanto e scattare un’interessante fotografia della perfetta schiuma che aleggia sulla superficie del mio cappuccino. È facile: con il mio telefono posso fare in pochi minuti tutto questo e molto altro. E, soprattutto, le mie iniziative avranno un pubblico. Centinaia delle persone a cui sono più vicino le vedranno e qualcuno risponderà con commenti e con un «mi piace».
Mi sono abituato così a vedere il mondo in termini di quello che posso pubblicare (o non pubblicare) in Internet. Ho imparato a vivere e a presentare una vita che possa piacere. Molti hanno criticato Facebook perché trasforma la bellezza non quantificabile dell’esperienza umana in qualcosa che si possa inserire in un database, o perché abusa di quel database per procurarsi profitti favolosi. Sono critiche valide, ma la mia preoccupazione è che il vero potere dei social media sia quello di insinuarsi dentro di noi, cambiando il modo in cui la nostra coscienza percepisce il mondo, anche quando siamo disconnessi.
La fotografia di cui parlava Zola è stata inventata circa 150 anni fa e le nuove possibilità che ha aperto hanno fatto scalpore ovunque: potevamo documentare in modo nuovo noi stessi e il nostro mondo conmaggior dettaglio e in forma assai più duratura. Oggi i social media forniscono anch’essi un sistema nuovo, di ambito più largamente sociale, di documentare noi stessi, la vita e ilmondo. Mai prima d’ora era stato possibile registrare e mostrare a tutti i nostri amici un flusso di foto, pensieri e opinioni con questa intensità e facilità. Il potere di trasformazione dei social media è sicuramente di portata e significato simile all’invenzione della fotografia.
Il fotografo sa bene che dopo aver fatto molti scatti acquista un «occhio fotografico»: si comincia a vedere la realtà attraverso un mirino, a ragionare con la logica della macchina fotografica, in termini di inquadratura, luce, profondità di campo, messa a fuoco, movimento e così via. Anche senza avere la macchina a portata dimano, il mondo si trasforma in un potenziale set fotografico.
Oggi c’è il pericolo di acquisire un «occhio da Facebook»: il nostro cervello è sempre alla ricerca delle occasioni in cui il volatile momento dell’esperienza vissuta possa essere meglio tradotto in un post su Facebook, in un messaggio che possa attrarre il maggior numero di commenti e di gradimenti. Facebook fissa sempre il presente come un passato futuro. Con questo voglio dire che gli utenti dei social media sono sempre consapevoli che il presente è qualcosa che si può pubblicare online e che sarà consumato da altri. Siamo così presi dal pubblicare la nostra vita su Facebook da dimenticarci di viverla nel presente?
Pensate a una volta in cui avete fatto un viaggio con una macchina fotografica in mano e poi a un’altra in cui non l’avevate. L’esperienza è leggermente diversa. Abbiamo un rapporto diverso con la realtà quando non dobbiamo curarci di documentarla.
Oggi i social media ci mettono nella condizione di essere sempre in viaggio con la macchina fotografica in mano (metaforicamente e spesso letteralmente), di essere sempre in grado di documentare. Ultimamente, assistendo a spettacoli di musica dal vivo, ho notato che sempre più spesso la gente si distrae dallo spettacolo perché vuole scattare foto e riprendere video da mettere su Facebook e su YouTube. Quando la scorsa settimana ho preparato una colazione particolarmente appetitosa, ho messo la foto su Facebook ancor prima di assaggiarla. «L’occhio da Facebook» in azione.
Susan Sontag ha scritto che «tutto esiste per finire in una fotografia»; oggi potremmo dire che, sempre più, la maggior parte di quel che facciamo esiste per finire su Facebook. Il cane dell’esperienza vissuta viene fatto scodinzolare dalla coda Facebook.
(Traduzione di Maria Sepa)
«Corriere della Sera» - suppl. "La Lettura" di febbraio 2012
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