09 maggio 2011

G. Ungaretti, analisi di Tutto ho perduto (tratto da Il dolore)

Tratto dal volume Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Paravia, volume III, tomo 2/b, pp. 774 ss

di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria


Lirica «che apre Il dolore» e «che ne è il frontespizio». Sebbene i versi siano volti «alla La perdita trepida rievocazione dei lutti domestici, in realtà non ricordano che la perdita dell’infanzia. dell’infanzia Persino il labile accenno alla scomparsa del fratello ("Di me rammento che esultavo amandoti") si configura come venir meno dell’ultimo "testimone" e perciò evocatore (difatti il testo dice: "Di me rammento... ") dell’infanzia. La storia entra dunque nella poesia di Ungaretti come perdita dell’infanzia: essa diviene ora la "spada invisibile", il diaframma che separa dal presente e insieme dal paradiso perduto. Ecco perché la storia, lungi dal rivelare la crescita dell’esperienza, non è che la coscienza della privazione, l’allegoria dell’impotenza quale la metafora "roccia di gridi" denuncia [...]. Privata della sua reversibilità nelle origini, del suo ritorno all’infanzia, la vita rimane disperante progressione e crescita di assenze: "Disperazione che incessante aumenta"» (Ossola).
Sotto forma di una confessione autobiografica, il poeta denuncia subito la perdita dell’infanzia, o meglio di tutto ciò che ne costituiva l’essenza. Il discorso riguarda, in particolare, il ruolo della memoria, che porta dentro di sé i ricordi dolorosi della vita; l’infanzia, Il dolore invece, non ha memoria, in quanto vive unicamente in un rapporto spontaneo e felice con e la memoria la realtà del presente, senza preoccuparsi del passato. "Smemorarsi" significava allora perdere il peso di un passato doloroso (un uso analogo della poesia di C. Sbarbaro, Talora nell’arsura della via) e tornare alla fanciullezza felice, di cui è simbolo il «grido», elemento vitalistico e gioioso, che diventa strumento di liberazione. Su questa base si costruisce il percorso analogico della poesia, nel rapporto che la ripresa del termine stabilisce fra la prima e l’ultima strofa. Sul piano dell’immagine, i «gridi» che non possono più uscire (e quindi liberare il poeta) si sedimentano e si rapprendono «in fondo alla gola» (v. 13), trasformandosi in una dura e impenetrabile «roccia». In questa parola si concretizza la «disperazione» del poeta, che, nel suo crescere «incessante», ha oramai privato la vita di ogni speranza. Le strofe centrali preparano e articolano questa conclusione: "sotterrando" l’infanzia, il poeta ha «perduto» se stesso (si notino anche le corrispondenze con il verso iniziale); non resta che il buio della morte, dilatato a dismisura dalla ripresa «nel fondo delle notti» (v. 5) e «in infinito delle notti» (v. 10), collocata in una posizione di perfetta simmetria.

Postato il 9 maggio 2011

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