09 maggio 2011

G. Ungaretti, analisi di Non gridate più (tratto da Il dolore)

Tratto dal volume Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Paravia, volume III, tomo 2/b, pp. 774 ss

di Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria


La poesia, scritta nell’immediato dopoguerra, è indirizzata a coloro che hanno superato, come dirà lo stesso Ungaretti, la «tragedia di questi anni». Il discorso, che nel testo precedente rimaneva circoscritto all’interno di un dolore individuale, si apre qui verso gli altri, sottolineando il passaggio dal registro personale al registro della storia. La forza degli imperativi non è quella del comando, ma quella di una preghiera, insieme vibrata e dolente, che invita gli uomini a salvare la loro stessa umanità, riscoprendo i valori della solidarietà e della pietà. Il motivo è diffuso nella letteratura postbellica e, in campo narrativo, verrà sviluppato con particolare intensità da Cesare Pavese, nella Casa in collina.
Attraverso un uso particolare dell’adýnaton («uccidere i morti») il poeta chiede di superare gli odi e le divisioni di parte, che ancora insanguinano la vita politica e civile italiana. Il sacrificio dei caduti è stato così inutile. Ben diversa è la lezione che possono trasmettere, e riguarda la possibilità stessa di salvare e continuare la vita. Ma bisogna raccogliersi in silenzio per poter ascoltare la loro voce, «l’impercettibile sussurro». A differenza del testo precedente, il "gridare" è visto qui come il segno di una barbarie che penetra con crudele tenacia nella storia, accanendosi oltre lo strazio della morte, in una follia che sembra non avere fine. Ad esso si contrappone la muta presenza dei morti, come un ultimo messaggio di chi può ancora testimoniare in favore della dignità dell’uomo. Si veda, in proposito, lo Spagnoletti: «Come l’erba, così i morti ci vivono accanto, ma nessuno s’accorge della loro presenza. Vedete qui, e nel verso successivo: il poeta ha già identificato la crescita dell’erba con il sussurro impercettibile dei morti. Quel prato felice che si disegna agli occhi del lettore, quel prato che è felice perché l’uomo non vi passa, ci dice abbastanza bene che i morti hanno cominciato ad abbandonarci, è cessata ogni corrispondenza fra noi e loro. Onde l’ammonimento del poeta, la sua irritazione e il malinconico sgomento di tutta la poesia». Le esortazioni (con la ripetizione insistita del v. 2) si richiamano alla tradizione della poesia civile e, in particolare, a quella del Foscolo, proprio per quanto riguarda l’insegnamento dei «sepolcri» e dei defunti, al quale è affidata la speranza nell’immortalità (v. 4: «se sperate di non perire»). In queste forme esortative, si assiste anche a una più aperta e dispiegata volontà di canto, che induce Ungaretti a recuperare le misure tradizionali del verso.

Postato il 9 maggio 2011

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