04 gennaio 2011

Il petrarchismo laurenziano o neoplatonico

Il petrarchismo di maniera del primo Quattrocento
Nel Quattrocento si compongono numerosi «canzonieri», a riprova che il modello petrarchesco comincia ora ad agire, soprattutto per quel che riguarda la forma del "libro di rime", ovvero l’andamento "narrativo" di una raccolta di rime. E però, quella quattrocentesca, una produzione di livello piuttosto modesto. È un "petrarchismo" di maniera (Croce parla di un «vero e proprio epigonismo»), che si avvale di una «trama amorosa di fondo» e su di essa si compiace di giochi retorici, bizzarre metafore e lambiccati artifici che sembrano piuttosto precorrere il concettismo della lirica barocca. Il primo di questi canzonieri è La giusta mano del poeta bolognese Giusto De’ Conti, del 1440: una raccolta di rime sul tema della mano della donna amata, evidente ricalco del tema petrarchesco svolto in un gruppo di sonetti definiti «del guanto»; fin dal titolo si può arguire l’estrema artificiosità di questa produzione e l’angolatura parziale della scelta tematica.
Nella seconda metà del Quattrocento una profonda trasformazione è in atto: cade l’illusione che il latino possa rinascere come lingua letteraria privilegiata, e inizia quel che è stato definito l’«Umanesimo volgare». A Firenze, sotto l’illuminata guida di Lorenzo il Magnifico si crea uno straordinario cenacolo di artisti, letterati e filosofi, tra cui Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Poliziano, Pulci, il giovane Michelangelo e lo stesso Lorenzo.

Petrarchismo e neoplatonismo
Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola sono i due massimi filosofi della corrente neoplatonica che si sviluppa a Firenze nella seconda metà del Quattrocento, e che trova espressione sul versante letterario soprattutto nella teoria dell’amor platonico ripercorsa da Bembo negli Asolani e da Castiglione nel Cortegiano. Secondo la concezione neoplatonica, il desiderio connaturato nell’uomo è di raggiungere la bellezza ideale attraverso un amore speculativo e contemplativo, al di là della caducità e contingenza delle cose terrene. In quest’ottica la bellezza della donna amata è soltanto un riflesso di quella Bellezza eterna, di quell’idea innata che l’uomo persegue attraverso le tante approssimazioni concrete che cadono sotto i suoi erronei sensi. L’esperienza amorosa diventa dunque un’avventura spirituale, un itinerarium ad Deum che si serve delle suggestioni terrene.
È proprio l’unione di petrarchismo e neoplatonismo che fonda la sostanza della poesia lirica di fine Quattrocento e poi del Cinquecento: alla concezione petrarchesca della donna come "pensiero amoroso", del tutto avulso da ogni realizzazione concreta, si aggiunge il concetto di "idea" platonica, per cui l’amore cantato in versi è un’immagine solo mentale e la donna è una figura pensata, oggetto di scrittura, protagonista di una narrazione fittizia, che si muove su schemi prestabiliti e canonici.

Lorenzo de’ Medici
Il Canzoniere di Lorenzo il Magnifico è forse il primo che ripercorre in modo più aderente, ma anche più nuovo, il Canzoniere petrarchesco, fondendo la poetica del Petrarca, lo Stilnovismo e il neoplatonismo. A quindici anni, nel 1464, Lorenzo inizia a scrivere componimenti d’amore per la coetanea Lucrezia Donati, che sarà la sua "Laura"; continua a scrivere anche dopo l’assunzione del potere (1469) e nel 1474 decide di raccoglierli (sono ormai una settantina) in un corpus sul modello dei Fragmenta petrarcheschi, cioè secondo lo schema narrativo di una «amorosa istoria», che ne faccia un vero e proprio "libro di rime". Tra il 1480 e il 1484 Lorenzo lavora a quello che si può definire il suo secondo canzoniere, il Comento de’ miei sonetti, una raccolta di poesie ancora dedicate alla sua D. (così viene nominata Lucrezia Donati, dove D. sta per Donati ma anche per Diana, senhal con il quale Lorenzo canta la sua donna). Questo canzoniere è però del tutto particolare, perché è "commentato": ogni componimento è seguito cioè da un commento in prosa, esegetico e filosofico, scritto dall’autore; il modello dunque non è più solo Petrarca, ma soprattutto il Dante della Vita Nova e del Convivio: l’intento di Lorenzo infatti non è soltanto di continuare il suo libro d’amore per Lucrezia, ma di fare anche opera di filosofia, in linea con i filosofi del suo entourage, tra i quali Giovanni Pico della Mirandola che in una lettera loda la sua poesia perché presenta un giusto equilibrio tra la perfezione puramente formale del Petrarca e la sostanza di pensiero, tipica invece della poesia dantesca.
Negli ultimi anni della sua vita, tra il 1487 e il 1491, Lorenzo tornerà al suo Comento per farne una sorta di testamento spirituale, e per trasformarlo in modo ancora più evidente in una vera e propria fabula philosophica, perseguendo quell’ideale di nobilitazione del volgare al quale si dedicò prima della sua immatura fine, nel 1492.

Lorenzo de’ Medici, Felice terra, ove colei dimora
In questo sonetto, tra i componimenti iniziali del Canzoniere laurenziano, è evidentissimo il calco petrarchesco; il tema portante è l’elogio del luogo dove vive la sua donna che per il poeta è come un secondo sole.

Felice terra, ove colei dimora
la qual nelle sue mani il mio cor tiene,
onde a suo arbitrio io sento e male e bene,
e moro mille volte e vivo, l’ora.
Ora affanni mi dà, or mi ristora,
or letizia, or tristizia all’alma viene,
e così il mio dubbioso cor mantiene
in gaudii, in pianti: or convien viva, or mora.
Ben sopra l’altre terre se’ felice,
poiché due Soli il dì vedi levare,
ma l’un sì chiar, che invidia n’ha il pianeta.
Io veduto ho sei lune ritornare
sanza veder la luce che mi queta:
ma seguirò il mio Sol, come fenice.

Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE DEC
1. Felice terra: è espressione petrarchesca: cfr. RVF, CCLXXVI, v. 11.
3. onde: per cui, per la qual cosa.
4. e moro... l’ora: e muoio e vivo mille volte all’ora.
8. or convien... mora: ora vuole vivere, ora morire.
10. due Soli: gli occhi di madonna sono il secondo sole, per metafora; oppure la donna stessa è un Sole, cfr. Petrarca, RVF, C, 1-2; CXV; CCLV, 5-6; e soprattutto CCXIX, 12-13, dove Petrarca dice che a volte egli ha veduto levarsi insieme entrambi i soli.
11. il pianeta: il vero sole.
12-13. Io veduto... queta: sono passati sei mesi senza vedere la donna amata.
14. ma seguirò... fenice: l’allusione è al mito della fenice, il favoloso uccello che ogni cinquecento anni, bruciato dal sole, risorgeva dalle proprie ceneri: così Lorenzo, bruciato dalla passione, ritorna ogni volta alla sua donna.



Lorenzo de’ Medici, Come lucerna all’ora matutina
Il sonetto è tra gli ultimi del Canzoniere dedicati a Lucrezia Donati. Lorenzo dichiara di non temere più gli assalti della passione, perché ormai il pensiero del Cielo lo avvince e li rende innocui. Siamo dunque sulla stessa linea del finale del canzoniere petrarchesco, vera e propria storia morale di un progressivo allontanamento dalle passioni terrene in vista del bene celeste.

Come lucerna all’ora matutina,
quando manca l’umor che ‘l foco tiene,
extinta par, poi si raccende, e viene
maggior la fiamma quanto al fin più inclina,
così in mia vaga mente e peregrina,
l’umor mancando d’ogni antica spene,
se maggior foco ancor vi si mantiene,
è che al fin del suo male è già vicina.
Ond’io non temo esto tuo novo insulto,
né più l’ardente face mi spaventa,
giunto al fin de’ disir’, disdegni et ira.
Più mia bella Medusa marmo sculto
non mi fa, né, Sirena, m’addormenta,
perché al suo degno amore il Ciel mi tira.


Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE
1-4. Come... inclina: Come una lampada sul far del mattino, quando vien meno l’olio («umor») che alimenta il fuoco, pare consumate («extinta»), poi si riaccende e la fiamma arde di più quanto più si avvicina alla fine. Il paragone era già in Boccaccio, nella Fiammetta (VIII, 18).
5. vaga... e peregrina: mutevole e inquieta (i due termini rappresentano una dittologia sinonimica).
6. l’umor... spene: mancando ormai l’alimento della speranza («spene») d’essere riamato.
7-8. se maggior ... vicina: se appare una fiamma maggiore delle precedenti, è il segno che la mente è giunta alla fine del suo male, cioè è il segno che l’amore sta finendo.
9. esto... insulto: questo tuo nuovo assalto (si rivolge ad Amore).
10. face: fiamma
12. Più mia... sculto: la donna amata è detta Medusa (come già la Laura di Petrarca) perché ha la capacità di trasformare in marmo l’amante: l’allusione è alla freddezza e alla crudeltà di lei.
13-14. non mi fa... tira: l’amata non è più nemmeno Sirena, non ha più cioè la capacità di affascinare col canto e inebriare: la donna perde tutte le sue arti, di fronte al «degno amore» che è quello verso Dio.
Analisi
In questi sonetti l’influenza di Petrarca risulta evidente a livello sia stilistico (nel lessico, nella sintassi, nella tessitura metrica e retorica), che semantico (nei temi e nelle immagini).
Nel sonetto Felice terra, ove colei dimora l’elogio della terra che ospita la donna amata e la metafora della donna-sole sono entrambi di matrice petrarchesca. Il luogo in cui vive Lucrezia Donati è definito «felice» perché possiede due soli: uno reale che dà luce e calore, l’altro metaforico che illumina e riscalda la vita («Ben sopra l’altre terre se’ felice, / poiché due Soli il dì vedi levare»). A queste immagini di luce è strettamente legata nell’ultimo verso quella della fenice, il mitico uccello destinato ad essere periodicamente bruciato dai raggi solari, come il poeta dalla passione amorosa, per poi rinascere dalle sue stesse ceneri («ma seguirò il mio Sol, come fenice»). Tipicamente petrarchesca è anche l’espressione di sentimenti e stati d’animo diversi e contrastanti, attraverso una fitta serie di antitesi nelle quali si coglie il senso di un’esistenza incerta, sospesa fra speranza e disillusione (male/bene; moro/vivo; affanni mi dà/mi ristora; letizia/tristizia; gaudii/pianti; viva/mora). In questi versi, inoltre, Lorenzo celebra una sorta di anniversario, o meglio sottolinea una scadenza che scandisce il tempo della sua storia d’amore: dice infatti che da sei mesi non rivede la sua donna, definita «la luce che mi queta», ma non per questo cesserà di attenderla e di seguirla col pensiero.
Anche nel sonetto Come lucerna all’ora matutina l’amore è legato a immagini di luce, ma la condizione psicologica di Lorenzo è completamente diversa. Il sonetto è giocato sul paragone tra il poeta e la lucerna, ovvero tra l’amore del poeta e l’umore della lucerna, i quali termini costituiscono una paronomasia, una delle figure retoriche più frequenti nella lirica petrarchesca. L’amore si configura come una passione bruciante (foco; fiamma; foco; ardente face) dalla quale il poeta, però, sente di essere quasi libero («al fin del suo male è già vicina»; «giunto al fin de’ disir’, disdegni et ira»).
Le immagini conclusive di Medusa e della Sirena, tratte dalla mitologia greca, suggeriscono l’idea di una pericolosa fascinazione implicita nella passione amorosa: Medusa, infatti, col suo sguardo capace di pietrificare, è emblema della durezza e della crudeltà, mentre Sirena è il simbolo di un’insidiosa grazia seduttrice, destinata a portare alla rovina chiunque si abbandoni ad essa. Lorenzo, tuttavia, si sente ormai al riparo da ogni ricaduta, perché i suoi pensieri, ora, sono rivolti all’unico essere «degno amore», cioè Dio.

Tratto da Guerriero-Palmieri-Lugarini, Prisma, volume 1 (La letteratura dalle origini alla fine del Quattrocento), pp. 391-394
Postato il 4 gennaio 2011

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