04 gennaio 2011

Il petrarchismo atipico di Michelangelo

Michelangelo scrisse piu di trecento componimenti poetici, la maggior parte dei quali sono poesie d’amore, ma non li raccolse mai in un canzoniere: li scriveva ai margini di fogli, su disegni e schizzi. Sono poesie dedicate ad almeno tre persone importanti nella sua vita: il giovane nobile romano Tommaso Cavalieri, che conobbe nel 1532; Vittoria Colonna, vedova del marchese di Pescara Francesco d’Avalos, poetessa di grande valore, conosciuta nel 1536, alla quale fu legato da profonda amicizia; infine una donna anonima, detta «la bella e crudele» (che però potrebbe o non esistere o rappresentare comunque la Colonna). Le rime sono variamente e per lo più quasi indistintamente riferibili a questi tre personaggi, tre volti di uno stesso sentimento d’amore che, secondo i canoni del petrarchismo-neoplatonismo del tempo, è soprattutto un fatto mentale, un’idea, una tensione morale.

Il petrarchismo di Michelangelo è atipico, peculiare, intanto perché la sua produzione poetica non arriva a consolidarsi in un vero e proprio libro, unito da una trama narrativa com’era per il Canzoniere petrarchesco e per tutti i canzonieri posteriori che ad esso s’ispiravano; poi perché la poesia di Michelangelo non si presenta "monotonale" come quella petrarchesca, bensì estremamente varia, sia nei temi che nello stile. Anche quando il motivo centrale è quello amoroso, lo svolgimento è poi originale, soprattutto dove si mescola con il discorso estetico. Il suo è un corpus fondato sulla varietà degli stili e dei temi: stile alto-petrarchesco, ma anche citazioni dantesche e stile comico-burlesco; il tema d’amore, ma anche lo sdegno contro i papi o il racconto autobiografico del proprio lavoro di artista, delle proprie fatiche, della propria caparbia e tragica solitudine.
La maggior parte delle Rime presenta immagini metaforiche molto vive che intessono di un forte realismo simbolico la scrittura e una sintassi aspra, concisa al limite della comprensibilità: una poesia "difficile", di ardua lettura, intellettualistica, metafisica, cioè astratta e concettuale come sarà la poesia dei “metafisici” inglesi XVII secolo, insieme a un uso originale e irregolare della tradizione: forse la poesia più alta, più "geniale" del nostro Cinquecento.

Michelangelo Buonarroti, Non ha l’ottimo artista alcun concetto
In questo sonetto, fra i più famosi di Michelangelo, è espressa la sua idea dell’arte, della .scultura in particolare: il marmo grezzo contiene già il «concetto», l’idea, la “forma mentale”, ma nascosta e chiusa in un superfluo di materia; tocca all’«ottimo artista» togliere quel superfluo e far emergere l’idea sbozzando il pezzo di marmo secondo quel che gli suggerisce l’intelletto, in cui l’idea, ovvero il «concetto», è presente e chiara (Rime 151).

Non ha l’ottimo artista alcun concetto
ch’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all’intelletto.
Il mal ch’io fuggo, e ‘l ben ch’io mi prometto,
in te, donna leggiadra, altera e diva,
tal si nasconde; e perch’io più non viva,
contraria ho l’arte al disiato effetto.
Amor dunque non ha, né tua beltate
o durezza o fortuna o gran disdegno
del mio mal colpa, o mio destino o sorte;
se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che ‘l mio basso ingegno
non sappia, ardendo, trarne altro che morte.

Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE.
1. Non ha... concetto: anche il più bravo scultore non ha alcuna intuizione artistica.
2-3. ch’un marmo... superchio: che un unico blocco di marmo non racchiuda già in sé, nel suo eccesso di materia («superchio» ), eccesso che l’artista eliminerà per realizzare la statua.
3-4. e solo... all’intelletto: e solo a quello, cioè all’eliminazione del superfluo, arriva l’artista che segua l’idea che vede delinearsi nella sua mente. «Intelletto» è esattamente la facoltà di discernere i «concetti», ovvero la capacità di trovare sulla terra l’immagine, la traccia della bellezza divina.
5-7. Il mal... si nasconde: allo stesso modo («tal») il male che fuggo, e il bene che mi ripropongo, sono celati in te, donna bella, nobile e divina.
8. contraria... effetto: la mia arte è incapace di raggiungere quel che desidero, cioè far emergere in te il bene che vi si nasconde.
11. Amor dunque... sorte: nessuno dunque è colpevole del mio male: non Amore, né la tua bellezza e la tua crudeltà, né la sorte o lo sdegno o il mio destino.
12-14. se dentro... morte: se tu porti sia il bene sia il male, sia la morte sia la pietà, e se il mio ingegno è troppo «basso» per saperne trarre altro che non sia morte.


Michelangelo Buonarroti, Giunto è già ‘l corso della vita mia (Rime 285)
Questo sonetto è fra i più noti dell’ultima fase della poesia michelangiolesca. Michelangelo lo inviò a Giorgio Vasari il 19 settembre 1554. È un periodo piuttosto duro della sua vita: ormai solo, amareggiato per le pesanti critiche mosse al suo Giudizio Universale, accusato di spirito eretico-riformistico, si dedica quasi esclusivamente a progetti di architettura.
In questo sonetto si esprime l’amarezza dei suoi ultimi anni, quando tutto ormai sembra vano e senza senso, anche l’amore che fu, e l’arte a cui Michelangelo si dedicò per tutta la vita: più niente vale davanti alla prospettiva della morte che è l’unica vera.

Giunto è già ‘l corso della vita mia,
con tempestoso mar, per fragil barca,
al comun porto, ov’a render si varca
conto e ragion d’ogni opra trista e pia.
Onde l’affettuosa fantasia
che l’arte mi fece idol e monarca
conosco or ben com’era d’error carca
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia.
Gli amorosi pensier, già vani e lieti,
lo che fien or, s’a duo morte m’avvicino?
D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia.
Né pinger né scolpir fie più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino
c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia.

Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE.
1-4. Giunto... pia: è la metafora, già petrarchesca, della vita come viaggio per mare, un mare tempestoso che si attraversa con una barca fragile, fino ad arrivare a quel porto comune a tutti: al porto della morte, dove si passa («varca») per rendere conto e ragione di ogni opera buona o cattiva.
5-8. Onde... desia: perciò capisco bene che quella fantasia (l’inclinazione artistica), a cui io fui legato da affetto e che mi portò a considerare l’arte idolo e sovrano della mia vita, fosse carica di errore e ugualmente capisco quel che a suo danno («a mal suo grado», ovvero «suo malgrado», «contro il proprio bene») ognuno desidera.
9-10. Gli amorosi... m’avvicino?: i pensieri d’amore, che sono stati una volta gioiosi, pure se vani, che saranno mai ora («che fien or»), dal momento che mi avvicino a due morti (quella fisica e quella spirituale)?
12-14. Né pinger... le braccia: né il dipingere né lo scolpire potranno più appagare l’anima che si rivolge a quell’amore divino che aprì, per salvarci, le braccia in croce.


Analisi
Nel sonetto Non ha l’ottimo artista alcun concetto la scultura viene presentata come «arte del levare», cioè come quell’arte in cui l’opera nasce, levando la materia in eccesso fino a liberare la forma insita in essa. Si pensi alle sculture dei Prigioni, massimo esempio del non-finito michelangiolesco, dove è particolarmente evidente l’idea del blocco di marmo sbozzato, da cui si libera, come un prigioniero, la figura scolpita. Il termine «concetto», si riferisce alla forma racchiusa in un blocco di marmo dal quale l’ottimo artista saprà ricavare l’opera d’arte, togliendo la materia superflua. Come lo scultore, anche l’amante dovrà liberare l’idea imprigionata nell’animo dell’amata, seguendo «l’intelletto», affidandosi cioè a un’immagine puramente mentale. Nella donna convivono tutti gli opposti, la morte e la vita, il male e il bene, il dolore e la felicità («Il mal ch’io fuggo, e ‘l ben ch’io mi prometto») e spetta all’amante riuscire a far emergere l’uno o l’altro. Inutile dunque incolpare la crudeltà dell’amata o il destino, ma solo la propria incapacità di trarre da quell’amore altro che dolore e morte.
Nel sonetto Giunto è già ‘l corso della vita mia la presenza di Petrarca risulta evidente fin dalla prima quartina, interamente occupata dalla metafora della navigazione. Attraverso l’immagine del porto, Michelangelo richiama l’attenzione, in particolare, sulla morte, della quale viene sottolineato l’aspetto più inquietante, legato all’idea del giudizio che attende ogni uomo, chiamato a rendere «conto e ragion d’ogni opra trista e pia». Lo stesso motivo compare anche nella seconda parte del componimento dove il poeta distingue fra la morte del corpo, certa e inesorabile, e quella dell’anima, proiettata verso una minacciosa eternità. Di fronte alla prospettiva del giudizio divino, tutto ciò per cui Michelangelo ha vissuto, in particolare l’arte e l’amore, gli pare a un tratto vano e inconsistente. La pittura e la scultura, infatti, si configurano in questi versi come il frutto di un’«affettuosa fantasia», di una fervida e piacevole immaginazione, che a poco a poco si è impossessata di lui ed è giunta a dominarlo completamente («l’arte mi fece idol e monarca»); ora però Michelangelo si rende conto che quell’arte pagana, terrena, non poteva placare da sola la sua ansia di assoluto, che solo in Dio può trovare appagamento («Né pinger né scolpir fie più che quieti / l’anima, volta a quell’amor divino»). Allo stesso modo mostrano ora tutta la loro inconsistenza gli «amorosi pensier», per quanto importanti possano essere stati nel corso della sua vita.
In questo sonetto l’influenza petrarchesca risulta evidente, oltre che nella metafora della «fragil barca», anche nell’impiego di alcune espressioni particolarmente care al poeta trecentesco, che rimandano a una dolorosa percezione della precarietà di ogni bene terreno («d’error carca»; «gli amorosi pensier, già vani e lieti»). Rispetto ai versi di Petrarca, però, quelli di Michelangelo presentano una sonorità più dura, aspra, data dall’allitterazione del suono -r- e dallo scontro di consonanti («per fragil barca»; «render si varca»; «com’era d’error carca»; «c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia»), nella quale trova piena espressione l’urgenza del suo pensiero autobiografico.

Tratto da Guerriero-Palmieri-Lugarini, Prisma, volume 1 (La letteratura dalle origini alla fine del Quattrocento), pp. 395-398

Postato il 4 gennaio 2011

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