08 gennaio 2011

Paul Verlaine, Languore (1884)

Io sono l'Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti in aureo stile
in cui danza il languore del sole.
L'anima solitaria soffre di un denso tedio.
Laggiù, si dice, lunghe battaglie cruente.
Oh, non potervi, così debole nei miei lenti desideri,
oh, non volervi fiorire un po' quest'esistenza!
Oh, non volervi, non potervi un po' morire!
Ah, tutto è bevuto! Batillo, hai finito di ridere?
Ah, tutto bevuto, tutto mangiato! Più nulla da dire!
Solo, una poesia un po' sciocca da gettare nel fuoco,
solo, uno schiavo un po' frivolo che vi trascura, solo,
una noia di chissà cosa che vi affligge!

Il sonetto ricostruisce - attraverso riferimenti ed emblemi storici - il sottile legame che unisce la bellezza evanescente della parola poetica al senso di corruzione e di decadenza che affiora dall'estenuazione di un'intera età, privata di valori, ideali, programmi d'azione.
L'età del Basso Impero è evocata come emblema di minacciose insicurezze: i barbari del nord alle porte, forti e terribili nel loro imminente urgere ai confini... ed intanto la fuga di una miope aristocrazia nel piacere, nell'eccesso, nel lusso raffinato che vuole l'evasione fatua del divertimento e del sogno, in quanto è incapace di fronteggiare i pericoli incombenti. E' la crisi di un mondo che rinuncia all'azione ed alla sua stessa difesa. La fine dell'800 appariva un'età altrettanto malata, attaccata alle false certezze del progresso e della scienza, alla ricerca di un piacere sempre più bilanciato tra godimento e impulso di morte. Anche il concetto di bellezza vive di questa strana ambiguità, staccandosi dalle connotazioni forti, dalla vitalità della natura, dalla sua tensione interna che l'artista romantico riflette e quasi assorbe. Quest'idea di bellezza è invece incapace di forza e di tensione: si adagia nelle mezze tinte, nella musicalità sottile, nello sfumato, nell'indeciso..... Il verso è impari; colori e suoni sono mescolanze, fusioni, frutto di raffinate e cangianti sensazioni sempre aperte e imprevedibili nei loro sviluppi.

Sono acrostici indolenti quelli che il poeta può produrre in questo tempo, versi in cui si esprime un compiaciuto ripiegamento sulle fragili parvenze della natura; una natura in cui danza il languore del sole, scenario tacito, dissolvenza di luce e calore, raffinata evanescenza.
Postato l'8 gennaio 2011

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