09 gennaio 2011

L’esaltazione delle madri single «per scelta»

L’amore materno non può togliere il padre al figlio
di Francesco D'Agostino
Lascio volentieri ad altri le analisi sociologiche, giuridiche, politico– sociali, psicologiche in merito al costante aumento del numero delle madri “single”, consapevolmente, intenzionalmente, coraggiosamente, felicemente (?) “single”. Anche in Italia il fenomeno si sta manifestando in tutta la sua rilevanza, acquistando il dovuto spazio su grandi giornali di informazione. Ed è da facili profeti ipotizzare anche da noi la prossima nascita di associazioni militanti, del tipo “Single mothers by choice” (madri sole per scelta), che dilagano da tempo nel mondo anglosassone. Ciò su cui mi interessa riflettere è piuttosto la reazione ideologica a tale notizia da parte di alcuni settori della cultura laica, o più propriamente laicista.
«È la vittoria dell’indipendenza femminile», si è arrivati a dire. Saremmo di fronte alla prova provata di quanto sia superflua, o almeno non necessaria, la figura maschile e paterna nel contesto familiare. Basta poi fare un ulteriore piccolo passo (e alcuni commentatori l’hanno già fatto) per tornare ad auspicare, a partire da questa notizia, la morte della famiglia “tradizionale” o almeno una sua radicale metamorfosi. Si tratta di reazioni imprudenti, nel caso migliore ingenue, nel caso peggiore biasimevoli.
Dando infatti per scontato che ogni nascita è una benedizione non solo per i genitori, ma per tutta l’umanità, va ribadito con fermezza che la decisione di dare la vita a un figlio privandolo intenzionalmente della figura paterna è di notevole gravità morale. Una gravità che diviene assoluta quando, usando ben note tecniche di procreazione assistita, si tolga ogni possibilità al figlio di poter venire mai a conoscere l’identità del proprio padre biologico.
Quello che è propriamente in gioco, in tale questione, non è tanto il venir meno della figura paterna in quanto tale (figura peraltro preziosissima, perché, come ci ha definitivamente spiegato Lacan, è quella che ci trasmette la “legge”, così come la figura materna è quella che ci trasmette l’ “amore”). Il problema è piuttosto quello del venir meno della doppia figura genitoriale. Privato del padre, il bambino non può che avere la figura della madre come unico punto di riferimento nel lungo e complesso itinerario della costruzione della propria soggettività. La madre, infatti, non solo può assumere, ma è inevitabile che assuma nei confronti del figlio un ruolo totalizzante («sei mio e solo mio»!), perché proprio questa è stata la sua intenzione fin dall’inizio, fin da quando cioè ha preso la decisione di procreare, sottraendo intenzionalmente al figlio la possibilità di conoscere il padre. Una decisione “coraggiosa”, “ammirevole”, “rispettabile”? Perché definirla in questo modo? Si tratta piuttosto di una decisione radicalmente narcisistica, che può essere assunta solo da donne che siano assurdamente convinte che il figlio, nel corso della sua vita, avrà bisogno solo di loro e di nessun altro.
Quello che è forse il peggior virus della modernità, cioè l’individualismo, sembra che trovi nella scelta delle madri “single” il suo punto estremo.
Quale può essere l’esito ultimo e reale di simili scelte?
Mettiamo da parte i pur pesanti problemi sociali creati dalla crisi della famiglia coniugale e dall’aumento delle famiglie monoparentali, soprattutto nelle società secolarizzate, che, senza il fattivo contributo delle famiglie “tradizionali”, divengono sempre meno in grado di garantire il welfare per i malati e gli anziani.
Limitiamoci a un’elementare considerazione antropologica. Quando la scelta di mettere al mondo figli senza padre ha un’evidente radice narcisistica, il suo esito estremo è ineluttabile: una profonda delusione, per la donna narcisista che giunga alla fine a scoprire il vuoto della sua intenzionale identità di “single”, di quell’identità che essa riteneva assolutamente giustificata e insindacabile; e il sottile dolore di chi, giungendo a riconoscere come irrimediabilmente ingiusta la decisione narcisistica di chi lo ha messo al mondo senza dargli la possibilità di conoscere il padre, arrivi a percepire nell’amore della madre nei suoi confronti (un amore che può sicuramente essere molto profondo) una tragica e insanabile incrinatura. È un vero paradosso che l’amore materno, cioè la forma di amore più limpido che ci sia dato conoscere, possa smarrire a tal punto la consapevolezza di come il vero bene del bambino trovi il suo fondamento nel “triangolo” padre– madre–figlio.
«Avvenire» del 9 gennaio 2011

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