01 gennaio 2011

Cicerone, Pro Archia poeta oratio

Brano tratto da Casillo – Urraro, Iter ad sensum, I, Le Monnier

In questa orazione Cicerone difende il poeta Archia, nato ad Antiochia di Siria il 120 a.C. circa. Ancora giovane, costui si allontanò dalla sua città e compì numerosi viaggi in Asia Minore, in Grecia, nella Magna Grecia e, alla fine, a Roma.
Nelle città dell’Italia meridionale che egli visitò, ottenne grandi successi in campo poetico tanto che gli fu da esse conferita la cittadinanza onoraria.
A Roma egli giunse nel 102, e fu accolto presso le famiglie più importanti del momento. Qui egli si esibiva in improvvisazioni poetiche suscitando ammirazione in tutti coloro che lo ascoltavano, soprattutto in Cicerone che nella Pro Archia, VIII, 18, ne parla diffusamente.
Dallo stesso Cicerone (IV, 6) siamo informati circa un viaggio di Archia in Sicilia al seguito di Lucio Lucullo e sulla cittadinanza conferitagli ad Eraclea, città per la quale il poeta passò durante il ritorno.
Nel 62 un certo Grattio lo accusò di indebita permanenza a Roma in quanto non fornito di una regolare cittadinanza, il che provocò il processo nel quale Archia fu difeso da Cicerone.
In base all’accusa di Grattio, personaggio oscuro, conosciuto soltanto per questo suo atto e per essere stato nominato alcune volte da Cicerone nel corso dell’orazione, Archia doveva essere espulso da Roma a norma della Lex Papia de civitate del 65. Infatti Grattio sosteneva che la cittadinanza di cui Archia diceva di essere in possesso, quella conferitagli ad Eraclea, non risultava da alcun documento in quanto gli elenchi anagrafici di quella città erano andati distrutti in un incendio durante la guerra italica. Né il nome di Archia figurava negli elenchi dei cittadini censiti ad Eraclea in due momenti successivi. D’altra parte, sosteneva l’accusa, sulle liste redatte dai pretori secondo il dettato della Lex Plautia et Papiria dell’89, in base alla quale potevano ottenere la cittadinanza romana coloro che si trovavano in una determinata posizione (essere cittadini di una città federata; avere il domicilio in Italia; aver fatto registrare le proprie generalità davanti al pretore entro 60 giorni dalla promulgazione della legge), gravavano sospetti di manipolazione, sicché il fatto che in tali elenchi comparisse il nome di Archia, non era una prova certa della sua posizione giuridico-legale.
Cicerone, nel corso della sua arringa, come si vedrà lungo lo studio dell’orazione, smonta tutto l’apparato accusatorio di Grattio per cui non è azzardato ritenere che Archia sia uscito assolto dal processo.

Struttura dell’orazione
Le parti di cui si componeva un’orazione a Roma erano normalmente quattro: exordium, narratio, tractatio, peroratio. Ma ci sembra più aderente all’impostazione e allo svolgimento del discorso ciceroniano suddividere la tractatio in due momenti: la demonstratio e la digressio, per cui proponiamo la seguente struttura dell’opera:
1) exordium, l’introduzione (capp. 1-2);
2) narratio, l’esposizione dell’oggetto in discussione (cap. 3);
3) demonstratio, l’esposizione degli argomenti in difesa di Archia (capp. 4-5);
4) digressio, l’elogio della poesia, che costituisce appunto una digressione (capp. 6-11);
5) peroratio, la conclusione (cap. 12).

Exordium (capp. I-II)
Elogio del poeta Archia
Nel cap. I Cicerone elogia il poeta Archia per gli insegnamenti che ne ha ricevuti. Infatti egli afferma che tutte le arti concorrono alla formazione culturale dell’uomo in quanto omnes artes, quae ad humanitatem pertinent, habent quoddam commune vinculum et quasi cognatione quadam inter se continentur («tutte le arti, che riguardano la cultura dell’uomo, hanno un certo vincolo in comune e sono congiunte insieme come da una certa parentela»).
Un tema inconsueto in un processo
Nel cap. II Cicerone chiede al tribunale di concedergli la possibilità, dato il carattere particolare del processo che si sta celebrando, di uscire dai consueti canoni comportamentali e di affrontare argo-menti anomali rispetto alle abitudini forensi. Infatti egli intende parlare della poesia e del suo valore nella società, argomento insolito per un processo giudiziario pubblico, argomento che, d’altra parte, richiede un linguaggio altrettanto insolito per le aule di un tribunale.

Narratio (cap. III)
Cicerone nel cap. III presenta la narratio, ossia quella parte dell'orazione nella quale viene esposto l'oggetto in discussione nella causa. Oggetto che questa volta è rappresentato dall'accusa di indebita appropriazione della cittadinanza romana da parte del poeta Archia, di cui Cicerone tratteggia la biografia mettendone in risalto i dati salienti, cioè quelli relativi alla sua cultura e ai successi dovunque da lui riportati.
Archia nacque ad Antiochia, città una volta fiorente di studi e centro culturale frequentatissimo (celebri quondam urbe et copiosa atque eruditissimis hominibus liberalissimisque studiis adfluenta), dove il poeta intraprese gli studi dell'arte della scrittura (se ad scribendi studium contulit).
Ma Antiochia era un luogo troppo piccolo per il grande ingegno di Archia che intraprese molti viaggi in città dell'Asia e della Grecia, dovunque ottenendo grandissimi successi ed onori.
Di poi visitò moltissimi luoghi della Magna Grecia ricevendo la cittadinanza onoraria da importanti città, quali Taranto, Locri, Reggio e Napoli. Infine giunse a Roma, sotto il consolato di Mario e Lentulo, cioè nel 102 a.C. Qui egli frequentò le più nobili famiglie romane e stabilì rapporti di grande intimità con i personaggi più in vista degli ambienti politici e culturali. Ma, soprattutto, a Roma ebbe la possibilità di dare la più alta testimonianza di sé, tanto che era onorato e stimato (adfuiebatur summo honore) da tutti, sia da coloro che accorrevano ad ascoltarlo per apprendere qualcosa o per provare grande diletto, sia da coloro che simulavano interessi culturali e letterari (qui forte simulabant) perché, data la notorietà del personaggio, volevano comunque apparire interessati ai suoi precetti e, pertanto, tributargli onori.
L'importanza della narratio nell'economia dell'orazione
L'importanza della narratio nell'economia dell'orazione è tutta nei grandi elogi della personalità di Archia, della sua cultura e della presa che egli esercitava su tutti coloro che, per un fine o per un altro, avevano la ventura di ascoltare la sua parola. Elogi che hanno uno scopo pratico in quanto l'esaltazione della personalità di Archia costituisce il motivo fondamentale su cui Cicerone imposterà le parti successive della sua causa.

Demonstratio (capp. IV-V)
La demonstratio comprende i capp. IV e V nei quali Cicerone controbatte le accuse di Grattio, che avevano provocato il processo, e, con una serie di argomentazioni, smonta tutta l'impalcatura di tali accuse affrontandole una per una, con puntiglio precisione e ironia.
Cicerone, infatti, afferma che Archia, che aveva accompagnato Lucio Lucullo in un viaggio in Sicilia, di ritorno dall'isola si era fermato con lo stesso Lucullo ed Eraclea, l'odierna Policoro in provincia di Matera, dove aveva ottenuto la cittadinanza sia per i suoi meriti personali che per diretto interessamento dello stesso Lucullo.
Questi fatti si situano intorno all'anno 92 a.C. Nell'89 M. Pluzio Silvano e C. Papirio Carbone presentarono una legge che da loro prese nome (Lex Plautia-Papiria) secondo la quale si concedeva la cittadinanza romana a patto che fossero soddisfatte le seguenti condizioni: I) che gli aspiranti alla cittadinanza fossero già iscritti negli elenchi anagrafici di una delle città federate a Roma; Il) che all'atto della promulgazione della legge avessero il domicilio in Italia; III) che entro 60 giorni dalla data di promulgazione della legge avessero fatto registrare i loro nomi presentandosi davanti al pretore.
Archia legittimo civis Romanus
Archia si trovava nelle condizioni ideali per poter ottenere la cittadinanza. Infatti egli era stato iscritto ad Eraclea, si trovava a Roma da molti anni (dal 102) e si era fatto registrare dal pretore Quinto Metello. A questo punto, afferma Cicerone, la causa potrebbe anche essere considerata chiusa. Ma l'oratore continua il suo intervento dichiarando che niente di quanto è stato da lui affermato può essere messo in discussione. Infatti alla testimonianza di Lucio Lucullo si aggiunge quella dei cittadini di Eraclea giunti a Roma con il compito di testimoniare, a nome della città, a favore di Archia. Sicché è inutile, da parte dell'accusa, richiedere i documenti scritti, cioé i registri pubblici di Eraclea, quando tutti sanno che essi erano andati distrutti durante la guerra sociale del 91 a.C.
Per quanto riguarda la mancata registrazione del nome di Archia sui registri dei censimenti tenuti a Roma, sulla quale pare puntasse in modo particolare l'accusa, Cicerone ha buon gioco nel sostenere che all'epoca dei censimenti Archia si trovava lontano da Roma al seguito di Lucio Lucullo.

Digressio (capp. VI-XI)
Il ruolo del poeta e della poesia
Nei capp. VI-XI Cicerone tratta un tema che, solo apparentemente, sembra lontano dalle normali procedure dibattimentali e dall'argomento della causa. Infatti egli affronta il problema del ruolo del poeta e della poesia, della loro funzione nella società e nell'individuo, del loro rapporto con il popolo romano e con la sua storia.
Infatti, in VI, 12 l'oratore spiega perché egli ci tenga moltissimo al destino di Archia, che ha voluto difendere in tribunale, adducendo come motivazione il fatto che il poeta «ci offre uno spazio in cui l'animo possa risollevarsi da questo frastuono del foro e le orecchie, stanche per il confuso vocio, possano riposarsi», ritenendo così la poesia non come puro diletto dell'animo, ma come sollievo dalla routine quotidiana, come una sorta di innalzamento dell'uomo dalla sfera dell'ovvio e del normale, a quella della vita dello spirito.
Ma il ruolo del poeta non si esaurisce nell'ambito della psicologia e dell'esistenzialità, perché esso condiziona in modo determinante anche l'attività pratica dell'individuo. Infatti Cicerone, ancora in VI, 12, rivolto all'accusatore Grattio, chiede e si chiede: «o forse tu credi che possa bastarci ciò che abbiamo da dire ogni giorno in tanta varietà di questioni, se non coltivassimo i nostri animi con la cultura letteraria, oppure che i nostri animi possano sopportare tanta tensione, se non li ristorassimo con la stessa cultura?». La cultura letteraria, quindi, è indispensabile all'oratore sia dal punto di vista pratico, in quanto lo sorregge nell'esercizio della sua professione, sia dal punto di vista etico-psicologico, in quanto gli offre una sorta di rifugio in cui le tensioni possano allentarsi.
La funzione della cultura letteraria
Ma lo stesso paragrafo contiene un'affermazione polemica di Cicerone nella quale egli evidenzia in modo esplicito la funzione della cultura letteraria nell'uomo:«si vergognino coloro che si sono immersi negli studi letterari in modo da non poter né trarne alcunché per la pubblica utilità né pubblicare qualcosa». Insomma l'oratore è contro una cultura che si risolva nel suo stesso ambito e non abbia alcuna possibilità di collegarsi con la società, così come è contro coloro che, non facendo conoscere i frutti dei loro studi, privano la collettività della possibilità di giovarsene. Sono concetti della massima importanza, perché sono alla base dell'ideale di humanitas, che Cicerone stesso contribuì certamente a formare.
La poesia e la sua funzione eternatrice
Ma l'oratore, che vuole evidenziare il ruolo del poeta e della poesia in tutte le sue ramificazioni, protende il suo sguardo lungo gli orizzonti della storia, quella passata e quella recente, affermando l'insostituibilità del poeta per l'acquisizione della memoria storica dell'uomo. Infatti, egli afferma, tutti i grandi uomini si son dati anima e corpo, nel senso letterale dei termini, a compiere imprese da cui ci si può attendere, come massima gratificazione, soltanto la gloria. Di «esempi sono pieni tutti i libri, sono pieni gli insegnamenti dei sapienti, è piena la storia antica» (VI, 14). Ma tali esempi di alta umanità e di eroismo «giacerebbero tutti nelle tenebre, se non vi si accostasse la luce delle lettere» (VI, 14).
E difatti, se non vi fosse la poesia, capace di cantare le imprese degli uomini, sottraendole così all'inevitabile oblio e destinandole alla memoria dei posteri, proprio grazie al potere eternatore del canto poetico, cosa resterebbe di quelle imprese? Esse sarebbero immerse nelle tenebre, privando così gli uomini, del presente e del futuro, della grande lezione del passato. E questo il più grande potere che hanno i poeti. Essi ci offrono paradigmi di comportamento di uomini eccellenti che non devono essere soltanto ammirati, ma anche imitati (non solum ad intuendum, verum etiam ad imitandum).
Ed allora la grande funzione sociale dei poeti deve essere ribadita ed apprezzata, così come i poeti stessi devono essere venerati da tutti coloro che sono in grado di comprendere il senso, appunto, di tale funzione.
Valore pedagogico ed edonistico degli studi letterari
Ma non solo per questo bisogna venerare i poeti e dedicarsi al culto degli studi letterari. Anzi, è comunque e sempre necessario coltivarli perché «questi studi guidano l'adolescenza, dilettano la vecchiezza, abbelliscono i momenti favorevoli, offrono rifugio e sollievo in quelli avversi, ci dilettano in casa, non sono d'impaccio fuori, pernottano con noi, viaggiano con noi, stanno in campagna con noi» (VII, 16).
Il poeta Archia
Perciò Archia, grande poeta, capace di improvvisare e di ripetere gli stessi concetti più volte in diversi modi, deve essere venerato, anche perché con le sue opere dà lustro a tutto il popolo romano.
E difatti, cantando le imprese di Mario nelle guerre contro Cimbri e Teutoni, le imprese di Lucullo contro Mitridate, ha cantato le imprese del popolo romano che da sempre ha ritenuto sue le imprese realizzate dai suoi comandanti. Ed allora come si fa a cacciare da Roma un poeta come Archia che ha tanto contribuito, scrivendo in greco le sue opere, a far conoscere il nome e la potenza di Roma in tutto il mondo?
E si badi bene, avverte Cicerone: tutti i grandi uomini, quelli che dedicano al loro popolo tutta la propria vita, mettendola tante volte in pericolo, sono animati soltanto dal desiderio della gloria e vogliono che le loro opere siano celebrate dal canto dei poeti (cap. X).
E nel cap. XI Cicerone porta il suo stesso esempio: Archia aveva messo mano ad un'opera in cui avrebbe dovuto narrare gli eventi relativi alla congiura di Catilina che avevano avuto come protagonista lo stesso oratore. Allora Cicerone lo esortò a portare a termine il lavoro (quod mihi magna res et iucunda visa est, hunc ad perficiendum adhortatus sum, XI, 28) perché null'altro si aspettano i protagonisti della storia e della vita politica se non l'immortalità che può venir loro soltanto dal canto dei poeti.
La digressio nell'economia dell'orazione
E così questa digressio è solo apparentemente tale, in quanto l'esaltazione del ruolo e della funzione del poeta è funzionale al dibattimento della causa e finalizzato a chiedere al tribunale che il poeta Archia, proprio per i meriti acquisiti, continui, tra tutti gli onori, ad essere civis Romanus.

Peroratio (cap. XII)
La richiesta di assoluzione
In questo capitolo Cicerone conclude il suo intervento in tribunale con la cosiddetta peroratio che è strutturata in due momenti. Infatti all'inizio del capitolo Cicerone richiama all'attenzione dei giudici tutte le prove che egli ha portato nel processo, poi passa alla richiesta di assoluzione di Archia, che si augura venga accolta in quanto non si può disprezzare ed espellere da Roma un uomo come il poeta greco, non solo perché dotato di grande ingegno, ma anche perché si è dedicato con amore all'esaltazione delle imprese del popolo romano.


SINTESI CONCLUSIVA

In questa sintesi conclusiva vogliamo soffermarci sui temi ricorrenti in modo frequentissimo all'interno dell'orazione Pro Archia, e cioè quello dell'humanitas e quelli, ad esso strettamente collegati, degli studia e della concezione del poeta.
Infatti questi concetti costituiscono il leit motiv di tutta l'orazione, sia perché si tratta di un processo intentato contro un poeta, sia perché la lunga digressio è, in sostanza, la celebrazione dell'humanitas.
Appare evidente da un attento esame dell'orazione che Cicerone consideri il processo contro Archia come un processo contro l'humanitas. Ed allora, vogliamo qui soffermarci proprio su quelli che costituiscono il tema centrale, attraverso una ricerca sui termini, relativamente ai vari contesti e alle varie connessioni sintagmatiche, dal punto di vista semantico, il che riteniamo possa consentire una più profonda comprensione dell'opera e della sua genesi.


L'humanitas
Il termine humanitas, o l'aggettivo humanus, ricorre otto volte nei luoghi dell'opera qui appresso indicati:
1) I, 2: omnes artes, quae ad humanitatem pertinent: qui il termine è usato nel senso di «cultura» intesa come il mezzo attraverso il quale l'uomo riesce a sviluppare ed affinare la propria sensibilità. Si tratta, ovviamente, in modo particolare, della cultura letteraria e filosofica.
2) II, 3: haec vestra humanitate: si allude alla «preparazione culturale» dei giudici e alla loro «profonda sensibilità».
3) II, 3: de studiis humanitatis ac litterarum: si tratta qui degli studi delle «umane lettere», cioè degli studi attinenti all'essere uomo, grazie ai quali l'individuo esalta le proprie qualità etico-spirituali.
4) II1, 4: quibus aetas puerilis ad humanitatem informari solet: qui il termine ha una valenza semantica molto ambigua perché può significare «età adulta», oppure «vera formazione culturale», oppure ancora «preparazione letteraria e filosofica». Poiché l'humanitas è vista come il fine degli studi della aetas puerilis, a questo termine può essere attribuita, in questo contesto, un'accezione semantica molto varia.
5) VII, 16: hanc animi remissionem humanissimam ac liberalissimam iudicaretis: l'aggettivo humanus è qui usato nell'accezione più comune, cioè nel senso di «umano, conforme alla natura umana», nel senso di «tale da educare e sviluppare le facoltà dell'animo umano».
6) VIII, 19: humanissimos homines: qui l'aggettivo è usato nel senso di «colti, raffinati, spiritualmente fini».
7) XII, 31: Humana ... commendatio: qui il segno aggettivale è usato nel senso più ovvio di «umano», cioè «da parte degli uomini».
8) XII, 31: ut humanitate vestra levatus potius quam acerbitate violatus esse videatur: come si nota, in questo contesto il termine humanitas è posto in netta contrapposizione con acerbitas, per cui è usato con il significato di «benevolenza, bontà d'animo, generosità».
Quindi con il termine humanitas Cicerone vuole indicare: «cultura letteraria e filosofica, preparazione culturale di ampio respiro, profonda sensibilità, atteggiamenti conformi alla natura umana, raffinatezza, fine spiritualità, benevolenza, generosità». Il tutto a costituire un ideale di grande portata culturale, morale e spirituale che si è trasmesso lungo i secoli, fino a noi, come il più grande valore della civiltà romana.


Gli studia
Il termine studia ricorre frequentissimamente nel corso dell'opera. Vogliamo qui richiamare soltanto i momenti più caratterizzanti:
1) I, 1: optimarum artium studiis: questa espressione denota bene la specificità degli studia di cui parla Cicerone: si tratta degli studi delle optimarum artium, cioè delle arti liberali (grammatica, retorica, poesia, filosofia), e con tale accezione il termine viene usato per lo più nel corso di tutta l'orazione.
2) II, 3: de studiis humanitatis ac litterarum: è specificata anche qui la natura degli studia, quelli delle umane lettere, a cui Cicerone dedicherà gran parte dell'orazione.
3) VI, 12: Ego vero fateor me his studiis esse deditum ...: Cicerone confessa di essersi dedicato agli studi letterari e filosofici e di essersene sempre servito nella sua attività. Egli polemizza con coloro che, nel loro lavoro culturale, si sono sempre tenuti lontani dalla società e che non hanno fatto conoscere alla collettività i frutti delle loro ricerche.
4) VI, 13: ex his studiis haec quoque crescit oratio et facultas: e qui Cicerone afferma che determinante è stata l'influenza degli studi letterari sulla sua oratoria.
5) VII, 16: at haec studia adulescentiam agunt, senectutem oblectant, secundas res ornant, adversis perfugium ac solacium praebent, delectant domi, non impediunt foris, pernoctant nobiscum, peregrinantur, rusticantur («ma questi studi guidano l'adolescenza, dilettano la vecchiezza, abbelliscono i momenti favorevoli, offrono rifugio e sollievo in quelli avversi, ci dilettano in casa, non sono d'impaccio fuori, pernottano con noi, viaggiano con noi, stanno in campagna con noi»): e qui appare il concetto di utilità degli studi lungo tutto l'arco dell'esistenza dell'uomo.
Quindi gli studi letterari e filosofici sono indispensabili per l'uomo sia perché lo soccorrono nei momenti di difficoltà in quanto in essi egli trova possibilità di conforto, sia perché costituiscono la base su cui ogni individuo può costruire la sua crescita culturale morale e spirituale, sia perché essi sono il fondamento necessario di ogni esercizio professionale (in modo particolare di quello dell'oratoria), sia perché possono costituire motivo di diletto in quanto procurano quello che oggi chiamiamo «il piacere della lettura».
Appaiono chiari, comunque, i collegamenti tra questi studia e l'ideale di humanitas di cui costituiscono senz'altro il necessario fondamento.

II poeta
Anche per quanto riguarda il ruolo del poeta nella concezione ciceroniana vogliamo qui riportare quelli che ci sono apparsi come i passi fondamentali:
1) VI, 12: (Archias) suppeditat nobis ubi et animus ex hoc forensi strepitu reficiatur et aures convicio defessae conquiescant: «(Archia) ci offre uno spazio in cui e l'animo possa risollevarsi da questo frastuono del foro e le orecchie stanche per il confuso vocio possano riposarsi»): già in questo passo appare chiaramente quello che possiamo definire il «potere della poesia» relativamente, però, alla sua incidenza sull'animo dell'uomo. Infatti sarebbe davvero molto riduttivo un concetto di poesia come ristoratrice dell'animo umano. E in effetti il potere della poesia è altro.
2) VI, 14: quae iacerent in tenebris omnia, nisi litterarum lumen accederet: e qui è proprio il ruolo delle lettere, cioè della poesia, che viene esaltato. Essa infatti, con il suo canto, sottrae alla dimenticanza, e quindi alla morte, le grandi figure della storia e dell'umanità e le consegna ai posteri. È questo uno dei più diffusi concetti della poesia nelle epoche classiche.
3) VIII, 18: poetam natura ipsa valere et mentis viribus excitari et quasi divino quodam spiritu inflari: qui vien posta la differenza tra le altre discipline che si basano su dottrina, insegnamenti e arte, e la poesia che ha una particolare specificità. Infatti, «il poeta trae forza dalla stessa natura, è stimolato dalle forze della mente ed è ispirato da un certo estro quasi divino», nel senso che la poesia è frutto di predisposizione naturale, di ardore intellettuale e di ispirazione particolare. Si riconosce, cioè, al poeta una conformazione etica, spirituale e artistica tutta particolare, e lo si colloca per qualche aspetto vicino agli dei.
4) VIII, 18: sanctos ... poetas: i poeti devono essere venerati e ritenuti sacri. Subito dopo Cicerone ribadisce il concetto (sanctum... poetae nomen).
5) VIII, 19: Saxa et solitudines voci respondent, bestiae saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt: nos instituti rebus optimis non poetarum voce moveamur?: e se anche le pietre e gli spazi deserti riecheggiano la voce del poeta quasi animandosi come percorsi da brividi, e se anche gli animali son piegati dal canto e perdono la loro ferinità, a maggior ragione gli uomini devono essere o sentirsi disponibili a commuoversi quando ascoltano o leggono i versi di un poeta. Infatti la poesia ha anche questo potere: operare nella coscienza del fruitore uno stravolgimento emozionale e psichico che stimola e accentua la sua sensibilità.
6) IX, 19: praesertim cum omne olim studium atque omne ingenium contulerit Archias ad populi Romani gloriam laudemque celebrandam: è questo uno dei momenti più importanti della digressio dell'orazione: Archia deve essere venerato dai Romani perché con il suo canto poetico ha esaltato le loro imprese, ed ha contribuito, componendo in greco le sue opere, a farle conoscere presso tutte le genti.

Come si vede, dunque, l'humanitas, gli studia e il poeta rappresentano la sintesi dei grandi valori ideali e umani su cui poggia la crescita intellettuale e morale dell'uomo. E a Cicerone, che difende la portata di tali valori con un entusiasmo tanto evidente, davvero il processo intentato contro Archia, dovette apparire come una minaccia contro tali valori, tanto da configurare la perdita della stessa identità della civiltà romana se a prevalere fosse stata la barbarie e la grettezza degli animi.
Cicerone forse presentiva i grandi sconvolgimenti che di lì a poco si sarebbero verificati a Roma, e che per tanta parte erano già in atto, sconvolgimenti che avrebbero dilaniato le coscienze e causato la crisi dei valori dell'humanitas.
Di qui l'anomalia di un processo e, ancor di più, l'anomalia di questa orazione, ben avvertita dallo stesso Cicerone. Anomalia che si tradusse in un fatto unico nel campo dell'oratoria: la digressio occupa ben sei capitoli su dodici, e in tutta l'orazione ricorrono con costante frequenza i termini che abbiamo cercato di enucleare ed esaminare.

Possiamo concludere, allora, che questa non è un'orazione in favore di un poeta, è anche questo, ma soprattutto una strenua e convinta difesa del patrimonio culturale e civile di Roma.
Postato il 1 gennaio 2011

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