02 ottobre 2010

Siamo tutti xenofobi, e la scienza triste della politica serve ad arginarci

Piccola glossa a un concetto che già decide il futuro d’Europa
di Alfonso Berardinelli
Glossa sulla xenofobia. Si potrebbe cominciare dai greci antichi: che trovarono normale definire “barbari”, cioè balbuzienti e incapaci di parlare come si deve, tutti gli stranieri che non conoscevano la loro lingua. La parola barbaro ci appartiene tuttora e anzi oggi è usata spesso dalla sinistra perbene, che trova barbara sempre la parte avversa e mai se stessa, nonché barbaro tutto ciò che, a torto o a ragione, non approva. Le società umane sono fatte (si sa) di classi, ceti, corporazioni, schieramenti, bande, club, tifoserie e in genere gruppi che reciprocamente si guardano storto. I gruppi sono fatti per sentirsi diversi gli uni dagli altri. Desiderano distinguersi e non confondersi. Spesso si osteggiano o si combattono apertamente con mezzi legali o illegali, corretti e più spesso scorretti. Il fatto di dover convivere nello stesso spazio sociale e nello stesso territorio geografico costituisce comunque un problema, più o meno come convivere nella stessa casa. Si sa per esempio che il vero scoglio del matrimonio e della famiglia non è l’amore, è la convivenza dentro i cinquanta o i duecento metri quadrati dello stesso appartamento. La cosa sicura è che quanto più lo spazio è limitato tanto più difficile è sopportarsi. Una volta, nei tempi preistorici nei quali non esistevano i cellulari, si litigava per l’uso del telefono fisso e per la lunghezza delle telefonate dell’uno o dell’altro membro della famiglia. Lo stesso avveniva e avviene tuttora per l’uso del televisore, della radio, del bagno, della cucina, degli armadi, ecc.
Mia sorella (si fa per dire) ha buttato fuori di casa sua figlia e suo genero, provvisoriamente ospiti, perché occupavano e usavano male, secondo lei, lo spazio domestico: si sedevano nelle sedie sbagliate all’ora sbagliata, tanto per dirne una. La gatta dei miei vicini di casa, riservata di carattere e molto signorile, non appena la bambina di un anno e mezzo ha cominciato a eccedere con lei in carezze, ha giudicato persecutorio questo slancio affettivo e per rappresaglia, un bel giorno, ha pisciato con metodo su tutti i materassi, cuscini e pigiami di casa, per significare nel modo più chiaro che era stufa della cara bambina e non ne poteva più delle sue carezze. Tempo fa, a casa di certi amici, una avvenente canarina è stata infilata, a fin di bene, dentro la gabbia abitata da tempo da un maturo e serio canarino. L’idea era che i due si sarebbero amati e fatti una piacevole compagnia; il canarino scapolo avrebbe avuto una felice vita di coppia, uscendo dalla sua deprimente solitudine. Errore. Il canarino solitario è diventato crudele, un vero mostro, con la graziosa canarina, l’ha odiata subito trattandola come un’intollerabile intrusa: non le permetteva di mangiare né di bere né di dormire, in quello spazio di gabbia che considerava assolutamente suo e da non condividere con nessun estraneo.
Qualche anno fa è stato fatto un test a un gruppo di rinoceronti nello zoo di Londra. I cinque rinoceronti mangiavano tutti insieme, in cerchio, da un unico mucchio d’erba collocato al centro. Dai campioni di saliva prelevati nelle loro bocche durante questi banchetti comunitari, risultò che tutti i rinoceronti erano piuttosto stressati. Perché? Da cosa? Si fece una prova: invece di farli mangiare tutti dallo stesso mucchio d’erba si divise il pasto in piccoli mucchi, in modo che ogni rinoceronte avesse davanti un pasto tutto per sé, lontano dai suoi colleghi di zoo. Si rifece il test della saliva e si vide che ora, ognuno per conto proprio, i rinoceronti erano più felici…
Oltre alla decadenza economica e politica, credo che l’Europa degli ultimi due decenni soffra molto a causa di grandi e incontrollabili ondate migratorie da est (Europa ex comunista, Asia) e da sud (Africa). Se l’Europa, se le sue popolazioni si sono spostate politicamente a destra è soprattutto, credo, perché lo spazio europeo, che è piccolo, stipato, gremito e carico di storia, sopporta male una tale massa migratoria, nonostante la liberalità dei suoi ordinamenti costituzionali e nonostante l’alto livello di vita, che per altro non può essere giudicato al riparo da minacce e regressioni. L’Europa, gli europei, così sensibili e sensibilizzati ai problemi del razzismo classico per averlo praticato a lungo, si sono trovati così, quasi da un anno all’altro, a nutrire sentimenti e idee che non condividevano: sono cioè, molto istintivamente, divenuti più o meno apertamente xenofobi.
La xenofobia è una reazione primaria e naturale in ogni gruppo umano che senta minacciato l’assetto, l’identità del proprio territorio. Il comportamento di un corpo sociale è molto simile a quello di un “grosso animale” e andrebbe studiato secondo etologia oltre che secondo sociologia. Siamo dunque come gli animali? In quanto società, direi che siamo più vicini agli animali (tanto da noi amati) che agli angeli. Sarebbe bene che questo elementare materialismo antropologico non venisse dimenticato dagli idealisti né occultato da chi recita da idealista. Marx e Brecht lo sapevano e lo dicevano: “Erst kommt das Fressen, dann kommt die Moral”, prima viene il mangiare e poi viene la morale. Quante famiglie italiane accetterebbero di prendersi in casa uno o due emigrati homeless? E seppure sì, per quanto tempo? A che condizioni? Trattandoli in che modo?
Qui il problema non è di Aprirsi all’Altro, ma di vivere con persone concrete. Va fatta, fra le tante possibili, almeno un’altra considerazione. L’Europa è un continente abitato da un’alta percentuale di anziani. E’ vero che senza “badanti” che provengono da altri paesi i nostri vecchi vivrebbero male. Ma è anche vero che quelli che non hanno ancora bisogno di un’assistenza quotidiana, sono socialmente ansiosi, si sentono fragili e a disagio, se non impauriti, in un ambiente e in uno spazio urbano che stentano a riconoscere, abitato da una quantità (il problema è proprio questo: la quantità) di immigrati, regolari o clandestini, con i quali non è semplice comunicare.
La xenofobia perciò è diffusa, cresce, esiste anche quando ci si vergogna ad ammetterla. E’ sotto pelle e dietro l’angolo. Le competizioni elettorali future verranno probabilmente vinte da chi saprà interpretare e neutralizzare meglio la xenofobia. La politica è una scienza non gaia, ma triste.
«Il Foglio» del 2 ottobre 2010

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