25 ottobre 2010

I grandi traumi si superano inventandosi una nuova vita

Una sola strada: bisogna adattarsi alle diverse situazioni
di Francesco Alberoni
Il benessere, la felicità non durano mai a lungo. Gli antichi quando erano felici temevano «l'invidia degli dei». Ma non è necessario invocare gli dei, spesso basta l'invidia degli uomini. È facile passare dall'applauso alla gogna, dalla gloria all'insulto. Socrate è stato condannato a morte, Scipione all'esilio, Galileo imprigionato, il «creatore» della chimica Lavoisier ghigliottinato fra gli insulti del popolo. Ma il più delle volte il nostro benessere e la nostra felicità non finiscono a causa dell'invidia, ma per un incidente, una grave malattia, un disastro economico. E in tutti i casi il trauma è sempre improvviso, inatteso e noi reagiamo con incredulità. Ci sembra un incubo da cui possiamo svegliarci. Ci sforziamo di continuare la nostra vita normale. E solo lentamente e con angoscia ci rendiamo conto che non è un sogno, ma la realtà.
Per superare il trauma, per continuare a vivere, per ritrovare la serenità c'è solo una strada: accettare la nuova situazione, capirla, adattarsi a essa. È come essere sbarcati in un mondo nuovo e sconosciuto, non possiamo conservare le abitudini di un tempo e farci prendere dal rimpianto del passato. Dobbiamo imparare rapidamente a vivere nel nuovo ambiente, studiarlo, cercare quali sono le opportunità che ci offre, sfruttarle. Questo atteggiamento vale di fronte a una malattia che ti obbliga a fare dellelunghe cure, o che ti lascia debilitato e che ti costringe a cambiare completamente abitudini. Ma vale anche quando perdi un lavoro e devi accettarne un altro, magari più umile. O cambiare radicalmente. Ricordo dei miei amici intellettuali ungheresi che dopo la rivoluzione sono emigrati: qualcuno è rimasto in università, altri si sono messi nel commercio.
I colti ebrei dei Paesi orientali costretti a fuggire dalla miseria, dai pogrom e dalle persecuzioni, arrivati nel Nuovo mondo sono diventati commercianti, banchieri, orefici, scrittori, musicisti, cineasti, hanno creato Hollywood.
Tutto questo vale anche oggi con la globalizzazione, la concorrenza cinese, il vertiginoso sviluppo tecnologico. In poco tempo la società si è trasformata e i vecchi mestieri, le vecchie attività sono scomparsi. La scuola prepara ancora per professioni che non esistono più. In questo territorio ignoto cosa si deve fare? Osservare le gente, vedere cosa le manca, di cosa ha bisogno: lì ci sono opportunità, lì occorrono mestieri nuovi. Non serve andare, perciò, dove vanno tutti, ma dove vanno solo in pochi e dove c'è una forte domanda.
«Corriere della sera» del 25 ottobre 2010

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