08 settembre 2010

Staminali: il Balzan al padre delle cellule «etiche»

Le sue scoperte stanno trasformando la medicina rigenerativa: ora al biologo giapponeseYamanaka va uno dei riconoscimenti mondiali più ambìti, che riceverà dal presidente Napolitano
di Viviana Daloiso
Era il 2006 quando alla ri­balta della cronaca sali­va un giovane scienzia­to giapponese, fino ad allora pressoché sconosciuto a livel­lo internazionale. Shinya Ya­manaka aveva incontrato la biologia per caso (inizialmen­te era un ortopedico) e forse anche per questo sotto la len­te del suo microscopio prese forma un’idea tanto bizzarra da far sorridere, inizialmente, colleghi e amici: quella di non usare, per costruire cellule ca­paci di riparare i tessuti (le co­siddette «staminali»), embrio­ni umani, ricominciando in­vece dal principio. Ovvero dal­la risorsa base, il bene più dif­fuso e rintracciabile, il meno problematico da un punto di vista etico: le cellule adulte. Cellule normalissime, come quelle della pelle: milioni in un piccolissimo campione di tes­suto, prelevabile in poco me­no d’un secondo e in maniera del tutto innocua.
L’idea bizzarra, che il giappo­nese nel tempo record di quattro anni ha tradotto in realtà, è stata quella di 'ripro­grammare' quelle cellule: modificarle (grazie all’inseri­mento di alcuni geni specifi­ci) in modo da farle tornare indietro nel tempo, ringiova­nirle fino al punto in cui sia­no assolutamente compara­bili a quelle embrionali. E ca­paci, come quelle, di trasfor­marsi in qualsiasi altro tipo di cellula umana.
È per questa scoperta che il 19 novembre Yamanaka riceverà dalle mani del presidente del­la Repubblica Giorgio Napoli­tano il Premio Balzan 2010 per la biologia. Un riconoscimen­to importante, e non soltanto per il prestigio. Intanto per­ché ai prescelti spetterà un milione di franchi svizzeri (ol­tre 760 mila euro), la metà dei quali dovrà essere devoluta al sostegno della ricerca. E poi, nel caso specifico di Yama­naka, per il significato che il premio riveste sul piano del­la bioetica. Molto si è discusso, infatti, a partire dall’annuncio del 2006 e tutte le volte che dai labora­tori di Kyoto sono arrivate nuove notizie circa il metodo delle riprogrammate sulla por­tata reale che la scoperta ha a­vuto in campo scientifico. «Rivoluzionaria», come più volte è stato ripetuto ieri alla Fon­dazione Corriere della Sera (dove i Premi Balzan sono sta­ti annunciati) e proprio a par­tire dal superamento della questione etica che tanto ha diviso il mondo della scienza e l’opinione pubblica negli ul­timi anni. Perché le cellule ri­programmate innanzitutto questo hanno dimostrato: che fare scienza del futuro e pen­sare di poter agguantare risul­tati straordinari nel campo della medicina rigenerativa sono traguardi non necessa­riamente raggiungibili solo u­tilizzando, manipolando e di­struggendo embrioni umani, come si è voluto far credere. Tutt’al più guardandoli passa­re sui vetrini dei laboratori – come tante volte è successo a Yamanaka – si è scelto di non sacrificare embrioni (pur la­vorando in centri di ricerca do­ve le cellule embrionali veni­vano utilizzate, e individuan­do i geni necessari alla sua sco­perta anche attingendo alla conoscenza del loro 'funzio­namento'). Ebbene: i risultati sono arrivati proprio arre­standosi davanti al confine tracciato dal rispetto per la vi­ta umana: «Ero un assistente universitario di farmacologia e lavoravo a un progetto in cui si utilizzavano anche cellule embrionali – ha raccontato Ya­manaka al New York Times in una lunga intervista, nel 2007 –. Un giorno un mio amico che lavorava in un clinica di pro­creazione assistita mi invitò a visitarla, e mi fece guardare al microscopio un embrione. Quella vista cambiò la mia car­riera scientifica. Quando vidi l’embrione, improvvisamente realizzai che c’era una picco­lissima differenza tra quello e le mie due figlie. Pensai che non potevamo continuare a distruggere embrioni per la nostra ricerca. E che ci doveva essere un’altra strada».
Oggi quella scelta – anche eti­ca – sta cambiando il volto del­la scienza e della medicina, il metodo che ne è scaturito è u­tilizzato in molti laboratori del mondo. E anche l’Italia ora lo riconosce, ai massimi livelli.
Ora è possibile far «ringiovanire» le cellule umane adulte senza più usare embrioni
«Avvenire» del 7 settembre 2010

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