08 settembre 2010

Dio e la scienza, l'ammonimento di Karl Popper

di Piero Benvenuti
L’onda mediatica generata dalla dichiarazione del cosmologo inglese Stephen Hawking («non c’è posto per Dio nelle teorie sulla creazione dell’Universo»), merita qualche ulteriore commento. L’evento può essere archiviato classificandolo per quello che è: un’astuta azione di marketing editoriale che, approfittando della imminente visita di Benedetto XVI in Inghilterra, ha ottenuto un duplice vantaggio. Quello di trovare gratuitamente ampio spazio nei media anglosassoni, particolarmente aggressivi nei confronti del Pontefice, e di conseguenza di far rimbalzare in tutto il mondo la notizia dell’uscita del nuovo libro di Hawking The Grand Design, proiettandolo tra i best seller del momento. Nulla da eccepire sulla machiavellica efficacia dell’azione, ma a quale prezzo? Dal punto di vista scientifico e filosofico Hawking non ne esce molto bene, mostrando di credere apoditticamente nella Teoria del Tutto, cioè in una teoria astratta in grado di spiegare ogni fenomeno fisico osservabile nell’Universo.
Fino ad una decina d’anni fa, i cosmologi, pur disponendo di un modello soddisfacente di evoluzione dell’Universo, non sapevano ancora nulla della cosiddetta 'energia oscura', un’entità fisica che, unitamente alla materia non luminosa distribuita nel Cosmo, rappresenta il 95% di tutto ciò che esiste. La presenza di questa nuova entità è stata evidenziata dalle osservazioni di galassie lontanissime, ottenute con strumenti spaziali fino ad allora non disponibili. Di conseguenza i modelli di evoluzione dell’Universo hanno dovuto essere opportunamente modificati, ma chi ci assicura che nuove osservazioni non rivelino altre 'entità', altri dettagli che li 'falsifichino' e impongano nuove modifiche? Credere di poter giungere al capolinea della scienza con una teoria astratta che tutto spiega appare di una incredibile ingenuità epistemologica, soprattutto dopo che filosofi come Karl Popper e Thomas Kuhn hanno teorizzato il progredire del metodo scientifico proprio grazie alle 'crisi' derivanti dalle nuove osservazioni, grazie alla intrinseca falsificabilità della scienza. È curioso come Hawking non si renda conto che credere nella Teoria del Tutto, sia assimilabile ad un atto di fede, indimostrabile con un processo razionale, così come lo è l’atto di fede in Dio. Da qui discende l’altra ingenuità filosofica e teologica di Hawking: il 'dio­demiurgo' da lui descritto non ha nulla a che fare con il Dio in cui credono i cristiani. Ipotizzando un incontro tra il fisico inglese (tra l’altro membro dell’Accademia Pontificia) e Benedetto XVI durante la sua prossima visita, sarebbe bello che il Papa gli facesse omaggio della sua Enciclica Deus Caritas est, così forse Hawking si renderebbe conto che il 'dio' che pretende di eliminare non è né il Dio di Abramo, né il Logos incarnato, né alcun’altra Persona della Santissima Trinità. Rimane comunque l’impatto mediatico che affermazioni ateistiche del genere riescono ad avere quando provengono da personaggi di grandissima notorietà come Hawking Vista la superficialità delle loro esternazioni, di atei come questi non se ne sente davvero la necessità. Lo scienziato credente si alza molte volte ateo al mattino e lotta tutta la giornata per cercare di coricarsi la sera nuovamente credente. In questo combattimento quotidiano sarebbe bello potersi accompagnare con un 'fratello ateo, nobilmente pensoso' che onestamente si confronti con noi sul terreno della razionalità e con cui sperare, 'attraversando assieme il deserto e superando la foresta delle fedi', di veder scoccare all’orizzonte la scintilla della Verità. Questi sono gli atei di cui abbiamo nostalgia.
«Avvenire» del 7 settembre 2010

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