03 settembre 2010

Pascal dava i numeri: finalmente c'è la prova

Tracce di un teorema fra i Pensieri. Scoperto il primo manoscritto del filosofo dedicato ai temi matematici: smentito il "collega" Cartesio
di Tommy Cappellini
Sul retro di un frammento di una pagina dei suoi Pensieri, è stato ritrovato per caso un manoscritto inedito sulla matematica a firma del pensatore a cui dobbiamo la scoperta, inconfutabile, che tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: l’incapacità di restarsene tranquilli in una stanza.
La notizia non stravolgerà l’immagine che abbiamo di Blaise Pascal (1623-1662), ma fino a oggi - come ha sottolineato ieri a Le Figaro Dominique Descotes, professore all’Università di Clermont-Ferrand che ha fatto la scoperta durante la preparazione di una versione elettronica delle opere del filosofo - «non esisteva nessuna traccia scritta delle ricerche matematiche di Pascal. Questo ritrovamento smentisce le critiche di Cartesio che gli rimproverava di non essere competente in algebra e nelle equazioni». Sulla pagina manoscritta, in parte strappata, Pascal paragona volumi generati dalla rotazione di diverse superfici intorno a un’asse: un teorema che a un certo punto il filosofo lasciò perdere, preferendo utilizzare lo spazio libero sul foglio per alcune annotazioni su un argomento che per lui era molto più interessante: la religione e i conflitti che essa genera nell’interiorità dell’uomo e nella società. Annotazioni che in seguito riprese in un passo delle Lettere provinciali sulla disputa tra giansenisti e gesuiti, e ciò ha permesso di datare il manoscritto «matematico» tra la fine del 1657 e l’inizio del 1658.
Questo ritrovamento la dice lunga riguardo Pascal: di solito lo si vuole o soltanto scienziato o soltanto filosofo, turbato e avvinto dalla religione, ma mai le due cose insieme... Il manoscritto è come un segnale che in lui i due aspetti coesistettero nello stesso segmento biografico, sebbene a un dato momento abbia preso piede il secondo. Tuttavia si dimentica troppo spesso che Pascal si incontrava a Parigi, al convento dei Minimes, proprio con Cartesio, per parlare dei risultati delle «esperienze sul vuoto», e che spese parecchi anni a scrivere trattati come il Saggio sulle coniche, Sull’equilibrio dei liquidi e Sulla pesantezza dell’aria, nonché a perfezionare la pascaline, famosa macchina aritmetica per far di conto (di questo Pascal hanno scritto Giovanni Macchia e Paul Hazard, del quale imperdibile rimane La crisi della coscienza europea).
Solo che poi lo «scienziato» cominciò a sentire una crescente inquietudine interiore. Come scrive nei Pensieri: «Sarà bene che di un uomo non si possa dire: “È un matematico” o “È un predicatore”, ma solo: “È un uomo onesto!”». Si capisce che in mezzo a simili, e sincere, tensioni interiori, i numeri perdano un po’ di appeal. In una lettera a Fermat del 1660, il filosofo rincara la dose: «Per parlarvi della geometria... lo definisco il più bel mestiere del mondo, ma dopo tutto non è che un mestiere, e ho detto spesso che è adatta a saggiare ma non ad impiegare la nostra forza».
Il resto è storia: la mondanità perse di significato, Pascal diventò sempre più solitario, a tu per tu, ma in qualche modo «scientificamente», con l’enigma di Dio. Morì a trentanove anni. «Di vecchiaia», disse Jean Racine.
«Il Giornale» del 18 agosto 2010

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