01 settembre 2010

Il Papa è solo contro i crociati della disinformazione

In anteprima un brano del libro di Rodari e Tornielli che smaschera la campagna mediatica contro il Pontefice. Troppi uomini di Chiesa non aiutano il loro capo quando è messo sotto attacco
di Paolo Rodari e Andrea Tornielli
Esce oggi in libreria Attacco a Ratzinger. Accuse e scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI (Piemme, pagg. 322, euro 18), il libro scritto dal vaticanista del Giornale, Andrea Tornielli, e dal vaticanista del Foglio, Paolo Rodari, dedicato alle crisi dei primi cinque anni del pontificato di Papa Ratzinger. Pubblichiamo quasi integralmente la prefazione degli autori.

«Ricordo ancora, come fosse oggi, le parole che sentii dire da un cardinale italiano, allora molto potente nella Curia romana, all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI. “Due-tre anni, durerà solo due-tre anni...”. Lo faceva accompagnando le parole con un gesto delle mani, come per minimizzare... Joseph Ratzinger, il settantottenne Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede appena eletto successore di Giovanni Paolo II doveva essere un Papa di transizione, passare velocemente, ma soprattutto doveva passare senza lasciare troppa traccia di sé... Certo, un accenno alla durata del pontificato la fece Ratzinger stesso, nella Sistina. Disse che sceglieva il nome di Benedetto per ciò che la figura del grande santo patrono d’Europa aveva significato, ma anche perché l’ultimo Papa che aveva preso questo nome, Benedetto XV, non aveva avuto un pontificato molto lungo e si era adoperato per la pace. Ma un pontificato non lungo, a motivo dell’età già avanzata, non significa passare senza lasciare traccia. Anche quello di Giovanni XXIII doveva essere – e dal punto di vista meramente cronologico è stato – un pontificato di transizione. Ma quanto ha cambiato la storia della Chiesa... Ci ho ripensato molte volte: visto che non è passato così velocemente come qualcuno sperava, e visto che il suo pontificato è destinato a lasciare un segno, si sono moltiplicati gli attacchi contro Benedetto XVI. Attacchi di ogni tipo. Una volta si dice che il Papa si è espresso male, un’altra volta si parla di errore di comunicazione, un’altra ancora di un problema di coordinamento tra gli uffici curiali, un’altra di inadeguatezza di certi collaboratori, un’altra del concordante tentativo da parte di forze avverse alla Chiesa intenzionate a screditarla. Vuole sapere la mia impressione? Anche se in realtà il Santo Padre non è solo, anche se attorno a lui ci sono persone fedeli che cercando di aiutarlo, in tante occasioni egli viene lasciato oggettivamente solo. Non c’è una squadra che previene l’accadere di certi problemi, che riflette su come rispondere in modo efficace. Che cerca di far passare, di espandere l’autentico suo messaggio, spesso distorto. Così la domanda più frequente è diventata questa: a quando la prossima crisi? Mi sorprende anche il fatto che talvolta queste crisi arrivino dopo decisioni importanti... Mi sto ad esempio chiedendo che cosa accadrà ora che Benedetto XVI ha coraggiosamente proclamato l’eroicità delle virtù di Pio XII insieme a quelle di Giovanni Paolo II».
Quando questa confidenza venne fatta a uno di noi, alla vigilia di Natale del 2009, da un autorevole porporato che lavora da molti anni nei sacri palazzi, il grande scandalo degli abusi sui minori perpetrati dal clero cattolico non era ancora esploso in tutta la sua portata. C’era, sì, il gravissimo caso irlandese. Ma nulla faceva ancora presagire che, come per contagio, la situazione oggettivamente peculiare dell’Irlanda – che ha messo in luce l’oggettiva incapacità di diversi vescovi di governare le loro diocesi e di affrontare i casi di abusi sui minori tenendo presente la necessità di assistere innanzitutto le vittime evitando in ogni modo che le violenze potessero ripetersi – finisse per replicarsi, per lo meno mediaticamente, in altri Paesi. E ha coinvolto la Germania, l’Austria, la Svizzera, e di nuovo, nelle polemiche, gli Stati Uniti, dove già il problema era emerso, e in maniera piuttosto devastante, all’inizio di questo millennio.
Solo a scorrere le rassegne stampa internazionali, bisogna ammettere l’esistenza di un attacco contro Papa Ratzinger. Un attacco dimostrato dal pregiudizio negativo pronto a scattare su qualsiasi cosa il Pontefice dica o faccia. Pronto a enfatizzare certi particolari, pronto a creare dei «casi» internazionali. Questo attacco concentrico ha origine fuori, ma spesso anche dentro la Chiesa. Ed è (inconsapevolmente) aiutato dalla reazione a volte scarsa di chi attorno al Papa potrebbe fare di più per prevenire le crisi o per gestirle in modo efficace.
Questo libro non intende presentare una tesi precostituita. Non intende accreditare in partenza l’ipotesi del complotto ideato da qualche «cupola» o Spectre. È però innegabile che Ratzinger sia stato e sia sotto attacco. Le critiche e le polemiche suscitate dal discorso di Regensburg; il caso clamoroso delle dimissioni del neo-arcivescovo di Varsavia Wielgus a causa di una sua vecchia collaborazione con i servizi segreti del regime comunista polacco; le polemiche per la pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum; il caso della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, che ha coinciso con la trasmissione in video dell’intervista negazionista sulle camere a gas rilasciata a una Tv svedese da uno di loro; la crisi diplomatica per le parole papali sul preservativo durante il primo giorno del viaggio in Africa; il dilagare dello scandalo degli abusi sui minori, che non accenna ancora a placarsi. Di bufera in bufera, di polemica in polemica, l’effetto è stato quello di «anestetizzare» il messaggio di Benedetto XVI, schiacciandolo sul cliché del Papa retrogrado, depotenziandone la portata.
Ma questo attacco non ha mai avuto un’unica regia. Ha avuto, piuttosto, un’assenza di regia. Anche se non si può escludere che in più occasioni, pure nel corso della crisi per gli scandali per la pedofilia del clero, si sia verificata un’alleanza tra ambienti diversi ai quali può far comodo ridurre al silenzio la voce della Chiesa, sminuendo la sua autorità morale e il suo essere fenomeno popolare, magari con la segreta speranza che nel giro di una decina d’anni essa finisca per contare sulla scena internazionale quanto una qualsiasi setta.
«Il Giornale» del 25 agosto 2010

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