04 settembre 2010

Cosa serve davvero agli studenti. Puntare sulla qualità dell'insegnamento

di Roger Abravanel
Ricomincia l’anno scolastico e i genitori italiani devono confrontarsi con i problemi di sempre: professori precari che protestano, cattedre vuote, costo dei libri di testo e via dicendo. Poi, tra qualche settimana, la scuola (ri)passerà in ultimo piano di fronte ai problemi economici, della sicurezza, della salute. L’interesse si risveglierà quando arriverà un brutto voto e a quel punto i genitori reagiranno prendendosela con i figli o con gli insegnanti.
Questo atteggiamento non è utile. Ormai sappiamo che in Italia (più al Centro-Sud, ma anche al Nord) i voti degli insegnanti spesso significano poco: da anni lo “scandalo dei voti” alla maturità rivela impietosamente che i 100 e lode al Sud sono il doppio che al Nord, mentre le uniche misure obbiettive, i test internazionali PISA e quelli dell’INVALSI (rilanciati coraggiosamente dal Ministro Gelmini), dimostrano che in molte scuole del Centro-Sud i risultati sono pessimi, anche se gli insegnanti danno voti alti come quelli del Nord.
I genitori italiani dovrebbero preoccuparsi meno dei voti e più della qualità reale dell’insegnamento, che è un mezzo disastro al Sud e anche al Nord è ben lontano dall’eccellenza, che è in Finlandia, Singapore e Hong Kong, come dimostrano appunto i test PISA. Ciò nonostante, secondo le indagini OCSE l’80 per cento degli italiani sono contenti delle proprie scuole, molto di più degli abitanti di Hong Kong e della Finlandia, e continuano a credere in vecchi miti, per esempio che“le scuole elementari italiane sono ottime”.
Eppure le ragioni per preoccuparsi seriamente ci sono: i test PISA e INVALSI misurano infatti la capacità dei bambini e dei ragazzi di ragionare con la propria testa, di capire ciò che ascoltano e leggono (ricordate il caro vecchio “riassunto”?), di risolvere problemi, di maneggiare i numeri. Queste forme di intelligenza cognitiva, assieme alla capacità di comunicare e interagire con gli altri, costituiscono le “competenze della vita” necessarie per avere successo nelle società post-industriali, che sono sempre meno “fabbriche” e sempre più “servizi” (commercio, turismo, professioni, banche). Un architetto che non è in grado di interagire con i colleghi, un primario di ospedale che non sa organizzare il lavoro della sua squadra, un dirigente incapace di leggere e sintetizzare miriadi di fatti e prendere decisioni, non hanno le “competenze della vita” per avere successo. Non deve quindi stupire se esiste una correlazione fortissima tra i risultati di questi test su uno studente a 14 anni e il suo reddito di adulto a 37.
Cosa deve preoccupare davvero i genitori italiani alla riapertura dell’anno scolastico?
Una sola cosa: la qualità degli insegnanti, l’unica variabile che determina il rendimento degli studenti, come provato da innumerevoli ricerche sulle migliori scuole del mondo. Non la dimensione delle classi. Non le ore di insegnamento. Non quanto si spende nella scuola. Quello che conta è la qualità degli insegnanti. Da noi quelli bravissimi sono tanti, come numerosi sono quelli scarsi. Ma una famiglia può capire se un insegnante è bravo e no solo quando l'anno scolastico già avanti ed è troppo tardi per rimediare. Un genitore potrebbe sapere molto di più sulla qualità della scuola se i risultati dei test aggregati venissero resi noti prima del momento dell’iscrizione. Solo così una mamma italiana potrà capire che forse la scuola media un po’ più lontana da casa è migliore perché i suoi studenti hanno ottimi risultati in italiano e matematica.
Trasparenza sui risultati per fare sorgere la meritocrazia: di questo devono pretendere i genitori italiani ora che riaprono le scuole.
«Corriere della Sera» del 4 settembre 2010

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