13 luglio 2010

Sangue finto, birra vera e testamenti on line: i libri si vendono così

Il nuovo marketing editoriale: il passaparola ormai è superato. Gli editori ricorrono a strategie sempre più aggressive. Il mercato italiano è in ritardo, chi sfrutta bene la rete e i gadget fa man bassa. Il lancio "virale" sul web e l'uso di altri media portano copie su copie
di Matteo Sacchi
Il refrain di tutte le case editrici, quello più usato nella fascetta dei libri che vendono davvero è: «L’autore divenuto celebre grazie al passaparola». Oppure: «X milioni di copie grazie al passaparola dei lettori». Sarà, eppure nell’editoria si assiste ad un fenomeno sempre più diffuso: il marketing d’assalto, quello fatto come si deve, con campagne studiate sino all’ultimo dettaglio e senza risparmiare sui gadget. Che il fenomeno esista non c’è alcun dubbio e gli addetti ai lavori non possono non accorgersene. Tanto per dire: quando piove vado in giro con un ombrello che mi ha spedito Longanesi con sopra il logo dell’Ipnotista, un bestsellerone a firma Lars Kepler dotato anche di sito promozionale autonomo, oltre che di booktrailer (ormai quello lo fanno a tutti). E da domani potrò trascinarmi a spasso una borsa in plastica nera molto sadomaso con scritto sopra: La psichiatra. Questa volta me l’ha spedita Corbaccio per presentare il suo nuovo titolo da combattimento a firma di Wulf Dorn. Allegata anche brochure che fa presente al giornalista tutto quello che deve sapere, in comodi capitoletti, debitamente posizionati in ordine di importanza: «Il caso editoriale», «Il passaparola», «La stampa», «Il romanzo» e «L’autore». E se non bastasse nella quarta del fascicolo è elencato anche quello che arriverà ai librai per sostenerli nella promozione del tomo. Tra le altre: «Espositore da terra da 20 copie»; «Cartello sagomato cm 100x140»; «Segnalibri» (il booktrailer non lo cito più, ça va sans dire)...
E questo proliferare di oggettistica, magliette, chiavette usb (andavano per la maggiore l’anno scorso, la mandò l’editore Nord per lanciare La biblioteca dei morti di Gleen Cooper) e campagne mirate farà arrabbiare i puristi, tutti quelli abbonati al «com’era bello prima». Quale sia poi questo prima è difficile deciderlo: potrebbe essere quel lontano «prima» in cui gli editori spingevano Salgari a suicidarsi a furia di mancati pagamenti o quel «prima» in cui il Dottor Zivago di Boris Pasternak faticava a trovare un editore per motivi ideologici. Ma polemiche a parte la realtà è che il marketing funziona ed è quello che consente agli editori di uscire dalla crisi, di permettersi anche gli sfizi colti che mandano in solluchero i critici. Insomma quando Moccia si carica su un pullman un sacco di ragazzine (che tra l’altro gli hanno spedito dei racconti e quindi quantomeno scrivono) e presenta l’ultimo libro, con un cappellino a tema sulla testa, gli altri autori del gruppo, doverosamente, ringrazino. Anzi se c’è una speranza di tenere a galla il mercato editoriale risiede proprio nel variegato mondo del marketing e delle sinergie multimediali che per primi hanno messo in atto autori come la Rowling (tutti sul treno di Harry Potter) o quel furbastro di Dan Brown (tutti in tour sui luoghi del Codice Da Vinci).
Per rendersene conto basta fare due chiacchiere con Salvatore Cobuzio, l’uomo marketing che ha ideato alcune delle campagne più riuscite di un editore che delle invenzioni per vendere sta facendo un cavallo di battaglia: Fazi. «Gli editori sono spesso legati a logiche vecchie - spiega Cobuzio - e in molti casi pensano ancora che basti avere un “commerciale”, uno che compra delle pubblicità, mentre in realtà è necessario progettare delle vere e proprie campagne, magari utilizzando anche sistemi virali o di guerrilla».
E infatti Fazi negli ultimo anni ha utilizzato tutti i canali non convenzionali che le sono capitati a tiro: per pubblicizzare Bright star, la vita autentica di John Keats ha inserito un codice nel libro che consentiva di andare a vedere gratuitamente al cinema l’omonimo film di Jane Champion; chi acquista Le maschere della Notte del giallista Pieter Aspe se vince il concorso collegato al libro a Bruges ci va davvero (ma c’è anche il co-marketing con la Duvel la birra preferita dal protagonista del romanzo); per I falsificatori hanno mandato delle strane cartoline e dei finti articoli via mail per incuriosire i librai e gli «opinion leader dei siti target».
I risultati secondo Cobuzio, che non si è negato nemmeno gli antistress a forma di goccia di sangue per lanciare l’autrice del libro da cui è stato tratto il telefilm True blood, sono indiscutibili. «Il marketing funziona, e i vantaggi sono misurabili. Il passaparola? C’è anche quello ma diventa efficace se lo inserisci in una strategia. Ormai nel mercato librario bisogna usare le stesse tecniche che vengono usate in altri mercati. Nello specifico quello che conta è azzeccare l’idea e tenere presente che per realizzarla ci sono dei budget che possono essere più risicati che in altri settori».
Insomma c’è un percorso di cui il romanzo è una tappa fondamentale, ma una tappa: «In questo mondo, dove le caratteristiche del prodotto costituiscono l’elemento centrale del significato stesso di fare marketing, l’antico concetto di promozione non è più valido. Il marketing dovrebbe essere il risultato di un intero progetto: inventare, pensare, progettare, creare, produrre, definire il prezzo e vendere. Mettere a punto e studiare i mezzi più idonei per raggiungere il target».
Pensate che a Cobuzio manchi una rotella? Beh, guardate cosa ha fatto per lanciare il libro Il testamento di Salvatore Siciliano. Ha fatto arrivare a tutti i gruppi Facebook un finto testamento in cui Salvatore Siciliano confessava tutta la verità su se stesso e sulle sue insospettabili colpe di manipolatore occulto della Rete - il migliore, il più pagato - per conto di potenti multinazionali e oscuri gruppi di potere. Per ora l’hanno cliccato in 10milioni (poi si vedrà come va il libro, che ha scritto lo stesso Cobuzio). Con buona pace di tutti quelli che credono che il mondo giri tutto attorno alla loro recensione, o al loro documentario.
«Il Giornale» del 13 luglio 2010

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