13 luglio 2010

"Alieni, vampiri e fantasmi. Siamo noi allo specchio"

L'intervista a Sebastiano Fusco. Una collana riscopre i classici della fantascienza e del fantasy: "Nomi nuovi? Molto deludenti. Ma la prossima generazione..."
di Daniele Abbiati
Con Gianfranco de Turris, da decenni è un punto di riferimento per gli italiani appassionati di letteratura «di genere». Fantasy e fantascienza sono i territori preferiti di Sebastiano Fusco, romano, classe ’44, che li ha scandagliati in lungo e in largo con l’aiuto dei big e degli autori da noi trascurati, quando non del tutto ignoti. E ora, dopo esser stato direttore editoriale dell’editrice Fanucci e delle riviste I Misteri, Occulto, Fictionaire e Mystero, sempre in coppia con l’amico si occupa della neonata collana «Ai confini dell’immaginario» per Coniglio Editore. Il ciclo completo di Solomon Kane, l’intrepido spadaccino del XVI secolo in lotta contro le forze del male creato dallo statunitense Robert Ervin Howard (1906-36) e Schiavi degli invisibili, il romanzo dell’inglese Eric Frank Russell (1905-78) in cui gli alieni Vitoni minacciano l’umanità sono i primi titoli della serie, in uscita domani, proprio in concomitanza con l’arrivo nelle sale italiane del film Solomon Kane di Michael J. Bassett con James Purefoy e Max von Sydow.

Fusco, il recupero di opere come quelle di Howard e Russell non rischia di apparire come il rilancio di una... letteratura di retroguardia? E fantasy e fantascienza sono ponti lanciati verso il futuro o verso il passato?
«Ma quale retroguardia... Il fantasy e la science fiction non si rivolgono né al passato, né al futuro. Letteratura di questo tipo c’è sempre stata. Per il semplice fatto che mette in evidenza le emozioni di base: la paura, l’amore, il gusto per l’avventura».

Ma qual è la differenza tra fantasy e fantascienza?
«La fantascienza parte dal possibile, è ancorata alle conquiste della scienza, alla scoperta di nuovi pianeti, per esempio. Il fantasy, al contrario, parte dal radicalmente alternativo, si muove nella zona d’ombra del terrore, del non vero, dell’ipotetico. E su questo universo alternativo costruisce un universo coerente».

Schiavi degli invisibili è una narrazione fantascientifica un po’ nello stile di Stanislaw Lem, l’autore di Solaris...
«Sì, perché come in Lem l’obiettivo è creare nuovi universi».

Solomon Kane, invece, che tipo è? Un intrepido cavaliere o un eroe a spasso fra i secoli?
«Ha qualcosa di Tarzan, dei Tre Moschettieri, di Robinson Crusoe... Ma, in quanto bell’esempio di heroic fantasy, è proiettato in un universo falsamente storico, quindi ha a che fare con fantasmi, vampiri...».

Ci può dire qualcosa sulle prossime uscite della collana?
«Sto ritraducendo un ottimo romanzo fantastico del belga Jean Ray (pseudonimo di Raymundus Joannes de Kremer - 1887-1964, ndr), Malpertuis».

Ci nomini tre grandi del fantasy e tre grandi della fantascienza da consigliare al lettore.
«Tolkien, Lovecraft e Howard per il fantasy. Howard è una specie di fusione fra Salgari e Verne, anche se di lui in Italia si conosce poco. Per la fantascienza dico senza dubbio Philip K. Dick. Fra l’altro lo conoscevo bene, avendo avuto con lui una lunga amicizia epistolare. Poi Ray Bradbury, in assoluto la penna migliore, nel suo campo. Quindi Robert Anson Heinlein, un gigante. È l’Hemingway della fantascienza, robusto, sanguigno... Invece Arthur Charles Clarke è invecchiato, non dà più le emozioni di un tempo».

E oggi?
«Da un bel po’ non vedo grandi cose, tutta roba infantile che nell’epoca d’oro, diciamo dal 1850 al 1950, non si sarebbe neppure stampata. Ma c’è una variabile che può dare buoni frutti: l’informatica. Quando sarà diventata vera cultura popolare, avremo nuovo materiale da cui attingere».
«Il Giornale» del 13 luglio 2010

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