29 luglio 2010

La «libera Chiesa» secondo Cavour

Mangiapreti o buon cristiano? A duecento anni dalla nascita, storici a confronto sui rapporti tra lo statista e il cattolicesimo
di Edoardo Castagna
La formula era quella, celeberri­ma, della «Libera Chiesa in libe­ro Stato». Ma cosa Cavour esat­tamente intendesse con quel suo e­nunciato resta oggetto di dibattito fra gli storici. L’artefice dell’Unità, nato a Torino il 10 agosto di due secoli fa, «fu uno statista dal respiro europeo – no­ta Andrea Riccardi, storico della Chie­sa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio –, che fece entrare il picco­lo Piemonte nel grande gioco conti­nentale. Mise al servizio dell’unifica­zione e delle ambizioni di casa Savoia la sua cultura europea; non era un teo­rico, ma un pragmatico che marciava verso il suo obiettivo, l’Unità. Per lui la Chiesa era un problema sia verso la creazione di uno Stato liberale, con il fo­ro ecclesiastico che sottraeva i sacer­doti ai tribunali statali e i vasti posse­dimenti in mano ai religiosi, sia verso l’Unità, con l’esistenza stessa dello Sta­to pontificio. Tutto questo lo portò i­nevitabilmente allo scontro con un pa­pa che invece concepiva la Chiesa en­tro l’orizzonte culturale della Restau­razione. Per Pio IX – ma sarebbe stato così anche con Leone XIII, fino alla co­siddetta 'conciliazione silenziosa' di Benedetto XV – il potere temporale e­ra la garanzia della libertà spirituale della Chiesa. Una visione certo datata, da Antico regime, ma è corretto che il papa non sia suddito di alcuno Stato, secondo il principio che infatti sareb­be stato alla base dei Patti lateranensi del 1929: immaginiamoci che cosa sa­rebbe accaduto, se il papa non fosse stato protetto dalla sua sovranità, nel­­l’Italia del fascismo, dell’occupazione nazifascista, e giù giù fino alla politica e alla magistratura di oggi… Pio IX non aveva la cultura politica necessaria per comprendere l’Unità, eppure la sua in­tuizione era giusta».
All’interno del movimento risorgi­mentale, tuttavia, di pulsioni anticleri­cali ce n’erano. «Mazzini – prosegue Riccardi – voleva senza mezzi termini sradicare la Chiesa dall’Italia, conside­randola un fenomeno retrivo, una pia­ga nazionale. Ma tutta la laicità italia­na era connessa a certi filoni massoni­ci, fin dalla Carboneria». E con questi filoni, sia pure nelle varianti più mo­derate, lo stesso Cavour era in contat­to. Spiega Massimo Introvigne, diret­tore del Cesnur: «Cavour non era affi­liato, non c’è alcun documento che lo dimostri – sebbene a rigore non ve ne siano nemmeno che lo escludano. Tut­tavia, se non possiamo dire che Cavour fosse massone, certo lo era la suo cer­chia politica». Uno statista circondato da famelici mangiapreti, quindi? «Un momento. La massoneria dell’epoca e­ra divisa in due riti, cui corrispondeva­no differenze di atteggiamento. I man­giapreti erano quelli di rito scozzese; nelle cerchia di Cavour c’erano invece i massoni del rito simbolico, secondo i quali la Chiesa non solo non andava attaccata, ma anzi applaudita con tut­ti gli onori: ma solo finché si occupava di coscienze, dell’uomo come indivi­duo singolo. Guai, però, se pretendeva di dire la sua sui problemi economici, sociali e politici; una posizione, questa dei massoni di rito simbolico, che arri­vava addirittura a incontrarsi con quel­la di certo cattolicesimo liberale, alla Lamennais seconda maniera. Il mas­sone vicino a Cavour è quello in redin­gote e cravatta del suo amico Pier Car­lo Boggio, suo punto di riferimento nel­l’elaborazione teorica dei rapporti tra Stato e Chiesa; quello che incensa la Chiesa quale bellissima istituzione, u­tile per la pubblica morale, purché se ne rimanga nelle sue sagrestie. Per que­sto le gerarchie ecclesiastiche dell’e­poca consideravano, non senza ragio­ne, il massonismo moderato del rito simbolico non meno pericoloso di quello che faceva capo al rito scozze­se, alla Garibaldi, che con la bava alla bocca si piazzava davanti a una chiesa il Venerdì Santo e agitava il cosciotto di maiale urlando volgarità».
Nulla di più distante, anche caratte­rialmente, dall’accorto primo ministro sabaudo. Anzi, puntualizza ancora In­trovigne, «può darsi che, esaurito il pe­riodo giovanile di a­teismo, Cavour con­servasse nel suo cuo­re un genuino rispet­to per la Chiesa e una certa nostalgia del cattolicesimo pie­montese profondo». Conferma lo storico Ernesto Galli della Loggia: «Cavour non era assolutamente un massone; un anticlericale, sì, nella misura in cui lo erano tutti i liberali compresi quelli cattolici come Manzoni o Fogazzaro. Perché nell’Italia dell’Ottocento non poteva essere diversamente: la Chiesa con l’enciclica Mirari vos del 1832 si e­ra schierata recisamente non tanto contro l’indipendenza italiana, ma contro la stessa libertà di coscienza. E­ra la tragica contrapposizione tra la Chiesa dell’epoca e la modernità, i di­ritti civili e politici, i governi rappre­sentativi fondati sulle elezioni. Per que­sto i liberali non potevano non essere anticlericali; il che, nella politica con­creta di Cavour, significava rimuovere dall’ordinamento piemontese tutti i re­sidui di Antico regime, dal foro eccle­siastico che minava il principio dell’uguaglianza davanti alla legge alla ridu­zione del potere economico della Chie­sa. Certo, per farlo furono adottati prov­vedimenti prevaricatori: ma anche la riforma agraria voluta da De Gasperi fu prevaricatrice... Che alternativa c’era? Forse sostenere che fosse giusto per la Chiesa possedere enormi proprietà ter­riere, spesso improduttive? Dubito che oggi la dottrina sociale della Chiesa approverebbe una cosa del genere; per questo è bene evitare di combattere sterili battaglie di retroguardia, come pure qualche studioso si ostina a fare». La contrapposizione tra movimento nazionale e temporalismo della Chie­sa era inevitabile; «eppure personal­mente – rimarca Galli della Loggia – Ca­vour non rinnegò mai la sua apparte­nenza cattolica. Sul letto di morte vol­le i conforti religiosi, e in seguito perfi­no 'L’Armonia', giornale cattolico di Torino che tante volte l’aveva contestato, gli tributò l’onore delle armi con un bellissimo necrologio, nel quale si ri­cordava come spesso lo statista avesse fatto, segretamente, molta beneficen­za, e proprio attraverso istituzioni cattoliche. Cavour non condivise mai l’i­dea, propria invece di altri settori del fronte risorgimentale, di 'scattolicizzare' l’Ita­lia. Anzi, cercò di get­tare le basi per una so­luzione politica del temporalismo, più o meno nella direzione poi adottata dal Concordato del 1929». Paolo VI, un secolo dopo, avrebbe definito «provvidenziale» la fine del potere temporale della Chiesa. «Io aggiungo – conclude Riccardi – che anche la per­dita dei possedimenti fondiari in qual­che misura lo fu. Ma una cosa va det­ta: venne perseguita con metodi gia­cobini, colpendo anche i poveri che dai conventi soppressi ricevevano assi­stenza. Nel nuovo sistema liberal-bor­ghese la mendicità divenne reato, co­sa ben lontana dall’attenzione ai de­boli propria della Chiesa, oggi come al­lora».
Lo Stato pontificio era un ostacolo oggettivo all’unificazione nazionale, mentre l’evoluzione in senso liberale dello Stato era frenata da fori ecclesiastici e possedimenti degli ordini religiosi, spesso improduttivi
«Avvenire» del 29 luglio 2010

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