22 giugno 2010

Renso Foa e l'utopia defunta

Il percorso sofferto dell'ex direttore dell'«Unità» scomparso lo scorso anno
di Pierluigi Battista
Dal fallimento del comunismo alla riscoperta della spiritualità. Il simbolo della svolta: celebrò il suo addio al quotidiano fondato da Antonio Gramsci comprando una Mercedes rossa in segno di liberazione dall'ideologia

Il comunismo era l'ossessione culturale di Renzo Foa. Il centro della sua passione politica, il fulcro del suo percorso esistenziale. Renzo Foa raccontava il comunismo, ne frequentava i protagonisti, i luoghi e i libri. Nell'«Unità» e con «l'Unità», il comunismo diventava racconto giornalistico, cronaca di un mito che facendosi storia e cronaca mostrava il suo vero volto. Cercava l' impossibile: la conciliazione tra comunismo e libertà. Quando capì definitivamente che quella conciliazione sarebbe stata impossibile, non fece finta di niente e divenne fieramente un ex del comunismo. Lo fu fino alla fine dei suoi giorni, fino alla morte di un anno fa. Per questo un suo libro che si intitola Ho visto morire il comunismo (Marsilio) assume un valore particolare: testimonia di un lavoro inconcluso, l'abbozzo di una riflessione mai terminata. Come tutti i comunisti inquieti, Renzo Foa era alla ricerca spasmodica dei segni che potessero incrinare la compattezza di un sistema, quello del «socialismo reale» in tutte le sue articolazioni, che sembrava indistruttibile. Ancora il 1° gennaio dell'89, scriveva, la stragrande maggioranza degli osservatori riteneva impossibile che quel muri potesse crollare: accadde invece proprio in quell'anno. Negli anni che precedettero l'89, Renzo si appassionava alle vittime del comunismo. Si formava l'elenco di uomini e donne con cui Renzo Foa si trovava In cattiva compagnia, come recita il titolo di un suo bellissimo libro scritto per le edizioni Liberal e di cui si ritrovano ampi stralci in questo Ho visto morire il comunismo. Nell' elenco spicca la figura di Alexander Dubcek, il leader cecoslovacco simbolo della primavera di Praga e che il Pci e «l'Unità» volevano dimenticare, trattare con freddo rispetto, ma senza mai il coinvolgimento che si deve a chi aveva sfidato i carri armati del totalitarismo. Quel coinvolgimento che invece era la cifra del rapporto tra Renzo Foa e Dubcek, come si vede in queste pagine. O le figure dei dissidenti polacchi che con Solidarnosc colpirono per primi il muro apparentemente infrangibile del comunismo realizzato. O quelle dei dissidenti cubani, ignorati mentre la sinistra comunista, spento l'entusiasmo per i lugubri regimi dell'Est, ancora si commuoveva per l'epopea castrista, indifferente alle galere, ai campi di concentramento, ai poeti in esilio in cui l'esperimento cubano si era andato materializzando. Particolarmente interessanti sono le note che Renzo Foa dedica al Vietnam, di cui, giovanissimo, aveva seguito l' epica battaglia contro gli Stati Uniti. Al clima cupo, tutt'altro che festoso, respirato nelle strade di Saigon dopo il trionfo dei nordvietnamiti e dei vietcong. Alla mattanza polpottista in Cambogia. Alla guerra fratricida tra vietnamiti e cambogiani che, nel nome di due comunismi in guerra tra loro, prefiguravano il titolo di questa raccolta di scritti: Ho visto morire il comunismo. Quando Renzo Foa sentì morire il comunismo dentro di sé, visse quell' evento come una liberazione: una liberazione intellettuale, etica, conoscitiva, esistenziale. Lucetta Scaraffia, nella sua prefazione al libro, racconta che Renzo volle regalarsi una fiammante Mercedes rossa come simbolo e segno di quella liberazione, che pure coincideva con l'abbandono dell'«Unità» di cui era stato primo direttore non dirigente di partito, con un passaggio difficile e persino drammatico della sua vita professionale. Con un senso di solitudine sempre più acuto l'ex comunista Renzo Foa accoglieva con un sorriso amaro e mite le accuse che si addensavano attorno alla sua figura. Molti lo consideravano un «traditore», uno che aveva oltrepassato la soglia della sinistra per finire nelle mani del nemico. Renzo soffriva quelle accuse, sebbene ritenesse di non dover dare peso a quei residui di una ritualità tribale molto frequentata nel mondo che aveva appena abbandonato. E seguiva il suo percorso di avvicinamento verso le «cattive compagnie», gli autori che avevano subito le stesse accuse quando però il comunismo era all'apice della sua forza e dunque la solitudine appariva totale, assoluta, irrimediabile. Seguiva il percorso di Arthur Koestler, uno degli eroi culturali più citati in questo come nel suo precedente libro, il simbolo incarnato dell'ex comunismo, l'autore di Buio a mezzogiorno su cui si scaricarono le accuse più furibonde, le insinuazioni più meschine, gli epiteti più minacciosi. E Renzo si interrogò con ostinazione sul destino di Margarete Buber-Neumann, la donna «prigioniera di Stalin e di Hitler» che prima era stata inghiottita nel Gulag e poi consegnata dagli aguzzini sovietici a quelli della Gestapo per essere rinchiusa nel lager di Ravensbrück, assieme alla Milena di Kafka, insultata dalle deportate comuniste che consideravano il suo racconto del Gulag come una bugia propagandistica (o una verità da non rivelare mai, in nessuna circostanza). Renzo Foa ebbe come «cattiva compagnia» anche la figura di Giovanni Paolo II, prima attratto dalla figura del Papa polacco che aveva assestato il primo colpo che avrebbe portato alla fine del comunismo, ma poi colpito sempre più dai contenuti di fede che quella figura rappresentava con tanta forza. Lucetta Scaraffia ci rivela qui l'intensità drammatica di un passaggio, di cui molti suoi amici non immaginavano la portata, che Renzo volle imboccare negli ultimi momenti della sua vita, momenti di dolore e sofferenza. Fu nella sofferenza, simboleggiata dai patimenti di Giobbe che si sentiva abbandonato dal suo Dio, che Renzo cercò strade inedite, in cui il comunismo, l'ossessione politica e culturale della sua vita, appariva comunque più piccolo. E comunque, rispetto ai significati della sofferenza di Giobbe, sin troppo immerso nella sua transitoria storicità.

Esce in libreria mercoledì 9 giugno il volume di Renzo Foa Ho visto morire il comunismo (pagine 207, € 15), edito da Marsilio a cura di Lucetta Scaraffia, che firma l'introduzione
Il libro raccoglie una serie di scritti, alcuni inediti, che Foa andava organizzando per un libro sulla caduta del blocco sovietico nel 1989. Tra gli argomenti trattati: il comunismo indocinese, la politica di Gorbaciov, il crollo dei regimi oppressivi nell' Est europeo, il dissenso cubano

«Corriere della Sera» del 6 giugno 2010

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